martedì 12 febbraio 2013

Lo Ior è la causa delle dimissioni. E il papa l'ha lasciato capire

Della successione a Ratzinger è un po’ che si parla. Dei suoi rapporti non proprio idilliaci con il “partito italiano” nel Vaticano, che in questi lunghi anni ha più volte tentato di riorganizzare le sue fila, e con il suo maggior rappresentante, Tarciso Bertone, altrettanto. Arrivano al pettine alcuni nodi decisivi, dalle rivalità nazionali tra i cardinali, ai temi europei, dalla “gestione della cassa” alle scelte teologiche per un futuro meno tormentato della chiesa nel mondo passando per i rapporti con l’Islam. E sinceramente questa storia della malattia non è che regga più di tanto. O meglio, regge in un quadro politico-teatrale in cui a nessuno è concesso di sottrarsi al proprio ruolo. Non regge in un quadro di fatti sostanziali, alcuni dei quali messi in evidenza da alcune testate come la Repubblica e il Sole 24 ore proprio in questi giorni. La Repubblica, nell’inserto Affari e Finanza, con un articolo a corredo della vicenda Mps in cui si sofferma sullo Ior.
La coincidenza delle date tra l’uscita di scena del capo del cattolicesimo e l’arrivo del nuovo vertice dell’istituto è impressionante. Perché il papa ha scelto di uscire di scena il 28 febbraio? Semplice, perché quel giorno finisce la tormentatissima vicenda della commissione cardinalizia che dovrebbe nominare il nuovo capo della cassaforte vaticana. Al posto di due membri di sicura fede “papale”, il francese Tauran e l’italiano Nicora arrivano gli uomini del “partito italiano”. Nicora è il cardinale che alla fine ha dovuto mettere da parte le sue smanie di trasparenza nell’attività delle “sfere finanziarie” scontrandosi su questo proprio con Bertone e tutta la congrega del cattolicesimo affaristico-politico. Ha perso una battaglia il Santo Padre, anzi la guerra. E se ne deve andare. Evidentemente, al punto in cui è arrivato il groviglio tra i vari interessi, le questioni finanziarie in Vaticano non si possono gestire in regime di ‘grosse coalition’. Il fronte del “rinnovamento” sembra soccombere di fronte alla tresca dell’armata degli amici dei banchieri, che ha sicure aderenze anche in Italia. E’ impressionante, infatti, il coro di “recitanti”, da Napolitano ai vari rappresentanti dei poli, che va accompagnando con frasi di convenienza l’uscita del Santo Padre. Malattia? Stanchezza? E cos'altro? Ratzinger non se ne è andato, ha semplicemente sbattuto la porta. E' diverso. Non si è dimesso ma si fa da parte con un certo rumore. Aver scelto la data del 28 febbraio è stato una sorta di marchio impresso sul suo addio. Togliersi l’abito di San Pietro non è come sfilarsi i calzini o la camicia, naturalmente. Se la numerologia delle date è ancora il linguaggio dei cardinali, la coincidenza tra la formazione del “nuovo” Ior e l’abbandono di Benedetto XVI ha un significato stellare. A questo intellettuale ex nazista lo “stile” italiano, tutto inciuci e cattiva politica, non è mai andato giù. E gli altri cardinali non sono stati certo a guardare la sua lenta, ma decisa, costruzione del redde rationem. Evidentemente qualche errore l'ha fatto pure lui. Un errore temporale, settore in cui un teologo-mistico come lui ha poca dimestichezza.
La vicenda Mps, in cui i magistrati stanno indagando in diverse direzioni, tra cui quella del riciclaggio, evidentemente è arrivata ad un punto tale da richiedere la “mossa regina”. Ma il “bene della Chiesa”, come ha detto Ratzinger, non lo consente.

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