venerdì 15 febbraio 2013

TANGENTI: Il Cavaliere sì che se n’intende di Marco Travaglio, L'Espresso


Ci sarà anche un condono tombale sulle tangenti se vince Berlusconi. Che prima confessa di aver manipolato l'appalto per il Ponte sullo Stretto. Poi difende Scaroni sull'affaire algerino. A tutto detrimento della credibilità del sistema Italia.
Il vero condono tombale non è quello fiscale o edilizio che Berlusconi promette, ma non avrà mai più i voti per realizzare. Il vero condono tombale è quello politico e culturale che gli consente di dire le più ciclopiche enormità senza mai pagare pegno. E non parlo tanto delle bugie, che non sono certo una sua esclusiva, specie in campagna elettorale. Ma di tutto il resto, che è anche peggio.

Domenica sera, in diretta tv, il Cavaliere ha confessato un reato (una turbativa d'asta) da arresto immediato e ne ha giustificato uno non suo (una corruzione internazionale) mostrandosene molto, troppo informato. La turbativa d'asta l'ha commessa lui e, se lo dice lui, c'è da credergli: «Per i lavori del Ponte sullo Stretto ho parlato personalmente con i principali operatori internazionali perché non partecipassero alla gara, così il mio governo li ha appaltati a un'azienda italiana (Impregilo, ndr), che poi ha affidato i subappalti a ditte italiane». Ora, per opere di quell'entità (roba da 7-8 miliardi di euro), è arcinoto che si richiedono gare internazionali per coinvolgere le migliori imprese e scegliere l'offerta più convincente e conveniente. L'idea che un governo possa dissuadere le imprese straniere dal concorrere è non solo un plateale delitto, punito in tutto il mondo, ma anche il sintomo di una concezione sovietica, da gosplan, dell'economia; nonché un segnale devastante ai mercati, visto che l'Italia dovrebbe far di tutto per attrarre capitali e investimenti dall'estero, non certo bloccarli alla frontiera.

La corruzione internazionale è quella di cui è accusato il gruppo Eni e per cui è indagato l'amministratore delegato Paolo Scaroni in una storia di presunte tangenti al governo algerino in cambio di appalti a Saipem. Berlusconi si guarda bene dallo scagionare l'Eni dell'amico Scaroni, anzi, dà per scontate le mazzette. Ma le giustifica e le elogia, sostenendo che la magistratura non dovrebbe occuparsene per non «danneggiare l'economia» (diversamente dal caso Montepaschi, per cui invece invoca qualche bell'arresto elettorale). Perché - sostiene testualmente - «a livello internazionale, quando si contratta con governi non democratici, ci sono delle combinazioni da attivare» per sbaragliare la concorrenza. Insomma, se i pm italiani pretendono che le aziende italiane non sborsino bustarelle in giro per il mondo, gli appalti se li pappano le aziende straniere che invece pagano senza rischiare nulla.

Debole in diritto, nonostante la laurea in legge, Berlusconi non sa, o finge di non sapere, che la corruzione (tanto più quella internazionale) è punita in tutto il mondo, e molto più severamente che da noi. Grazie a lui, in Italia le aziende possono tranquillamente falsificare bilanci e accumulare fondi neri per pagare mazzette: il che scredita tutto il nostro sistema imprenditoriale, anche chi eventualmente avesse bilanci regolari e non pagasse tangenti in cambio di appalti: perché nessun concorrente straniero si azzarda a sfidare i gruppi italiani partecipando a una gara che lui non può truccare, mentre i nostri sì. Ecco un altro fattore che respinge gli investimenti esteri di cui avremmo bisogno come del pane.

La doppia confessione di Berlusconi non ha suscitato alcun moto di sdegno fra i suoi avversari in campagna elettorale. Anche perché Scaroni ha sempre goduto di appoggi trasversali, da destra al centro a sinistra. Un altro manager ambidestro, Cesare Geronzi, nel libro "Confiteor", vaticinava pochi mesi fa che «un eventuale Monti bis potrebbe comportare la nomina di Scaroni come ministro degli Esteri». Eppure, a prescindere dalla fondatezza o meno di quest'accusa di corruzione, nessuno è autorizzato a meravigliarsene. La prima volta che Scaroni balzò agli onori delle cronache giudiziarie fu nel 1992, quando era amministratore della Techint e il pool Mani Pulite lo fece arrestare per aver pagato tangenti da centinaia di milioni di lire al Psi in cambio di appalti dall'Enel. Patteggiò 1 anno e 4 mesi, poi Berlusconi lo promosse amministratore delegato dell'Enel. Per competenza specifica.

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