lunedì 6 maggio 2013

"Dissobbedire al ricatto della speculazione e allo sfruttamento". Il seminario di economia del Prc ieri a Roma



Basterà la disobbedienza a sottrarsi dalla morsa della speculazione internazionale nel brutto pasticcio dell’euro?
Nel ciclo di seminari del Prc sui temi che occorre approfondire per capire le ragioni della sconfitta alle elezioni di febbraio, quello sull’economia (ieri alla sala in via Galilei a Roma dalle 10 alle 17,
video)è tra quelli più complessi, ma anche più ricco dal punto di vista delle ricadute sull’azione politica della rifondazione comunista.
Paolo Ferrero nel fare l’introduzione alla giornata, che ha visto la partecipazione di Emiliano Brancaccio, Antonella Stirati, Gabriele Pastrello, Riccardo Bellofiore, Mimmo Porcaro, e Giovanni Mazzetti, ha sottolineato proprio l’importanza del “che fare”, sia nella versione dell’indicazione di un punto preciso nel programma politico, sia dell’interrogarsi camminando, sia, infine, per dirla con le parole di Mazzetti, dell’essere immersi in un processo non alla ricerca di risposte immediate nel tentativo di togliersi dall’eccessiva internità al paradigma dato.
La disobbedienza ai trattati è una idea della sinistra francese, costretta a percorrere, più dei disincantati compagni italiani, lo stretto territorio del consenso a base nazionalista, elemento che pure è riecheggiato nell’intervento di Porcaro. Ed è una opzione che, ovviamente, presuppone uno scenario in cui, come oramai ammettono tutti gli esperti, la via dell’austerity è segnata dal fallimento totale. E quindi, in un momento in cui anche il cosiddetto “piano B” – trattativa con la Germania, più o meno alta nei toni – sfuma, l’urgenza è di cercare una protezione contro la speculazione internazionale interrompendo il ricatto e riconnettendo in questo modo i fili di un discorso politico non più basato sull’emergenza. Perché se da una parte, come dice Brancaccio, “l’inferno è qui ed ora”, l’ipotesi di uscita dall’euro non è certo il paradiso. Tanto più che, nello stesso tempo, occorre costruire un esito di classe alla crisi dell’economia reale in cui le domande fondamentali tornino ad essere “cosa e come produrre?”, “come redistribuire la ricchezza?”, “quale priorità dare ai bisogni?”.
Pur con tante sfumature, tutti hanno più o meno concordato che la fase davanti a noi verrà disegnata (o forse è meglio usare il presente) da un perimetro in cui a tema non c’è più l’euro, “che pure la sinistra antagonista aveva finito per accettare pur rifiutando i parametri”, come appunta Bellofiore provocando su questo una autocritica esplicita di Ferrero . Un euro ammazzato da una parte dalla difficoltà strutturale a rispondere alle tensioni provocate dalla crisi finanziaria importata dagli Usa, dall’altra dal rimanere incastrato nella lotta tra capitali che a ondate si va scatenando nel Vecchio continente. “E il conflitto tra capitali – sottolinea Brancaccio – porta all’insolvenza delle banche”. Una lotta molto cruenta in cui lo stesso Draghi rischia di passare come un “pericoloso rivoluzionario”. Ma ormai anche il punto di caduta a cui allude il presidente della Bce, ovvero tirare la corda fino a mettere la Germania di fronte alla valutazione sul danno che le deriverebbe da una unione in frantumi, sembra perdere sempre più di peso. E l’unico a non accorgersene è il presidente del Consiglio Letta.
Il movimento della crisi non è più centripeto, al contrario. Al massimo ciò che si potrà consolidare è una dilazione dell’ora “X”, che equivale però all’istituzionalizzazione di una lenta agonia. E nella lenta agonia non è che non ci siano interessi che si vanno riorganizzando a spese di classi sociali sempre più disarticolate, come mette in evidenza Mimmo Porcaro. Su questo, sembrerà strano, ma il terreno principale è ancora una volta quello della politica. E per la sinistra antagonista vuol dire costruire una ipotesi credibile anche attingendo alla via dell’unità sul piano europeo, che pure attualmente non ha al suo attivo grandi risultati. Può essere la scadenza delle elezioni europee del 2014, come hanno messo in evidenza nel corso del dibattito sia Alfonso Gianni che Roberto Musacchio, un momento costituente, magari facendo leva sul risultato politico di Syriza? Porcaro su questo esprime tutto il suo dissenso. Semmai, la sfida è quella di trovare un altro orizzonte – Brics o anche un’area mediterranea – dopo aver consolidato una egemonia sul fronte nazionale.
Tutti scenari futuribili per propiziare i quali non si può non fare i conti con la drammatica concretezza dei passaggi intermedi. Concretezza che Ferrero nelle conclusioni fa partire da una presa di coscienza della mancata risposta della sinistra alla crisi della fase keynesiana del capitalismo e da una parallela valutazione sull’impossibilità a stare nell’alternativa, “paralizzante”, “dentro/fuori” rispetto all’euro.
E così da una parte ci sono “forme di nazionalizzazione del debito” con Bankitalia che compra i titoli fornendo a garanzia la terza riserva aurea del mondo, e dall’altra gli interventi sui prezzi e le tariffe che in qualche modo dovrebbero fermare la perdita del potere d’acquisto dei salari (Stirati), valutata tra il 20% e il 30%, qualora si dovesse tornare alla moneta nazionale. In mezzo, naturalmente, ci deve essere anche una qualche forma di controllo sui movimenti di capitale e l’aumento delle esportazioni, che in qualche modo può essere considerata la “ricetta regina”.

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