Grande è il disordine sotto il cielo dei 5 stelle, ma la situazione è tutt’altro che eccellente.
Dopo un negoziato tenuto rigorosamente nascosto, è stato annunciato che
i deputati del M5s sarebbero passati dal gruppo antieuropeista -con
l’Ukip e Afd- al gruppo ultraeuropeista dei liberali.
In quattro e quattr’otto è stata organizzata una consultazione on
line (con la partecipazione non oceanica di poco meno di un terzo degli
iscritti) che ha approvato con il 78% la decisione. Ma la cosa non è
servita a molto, perché, neppure sei ore dopo, erano i liberali a
rifiutare di ratificare l’accordo siglato il 6 gennaio dal capogruppo
M5s Borrelli e dal capogruppo liberale Guy Verhofstadt e tutto è andato
per aria.
Leggendo il testo del “contratto prematrimoniale” (reso pubblico da un redattore di radio radicale e consultabile sill’Hp) si capisce una cosa: che
i 5 stelle, il 17 gennaio pv, avrebbero votato per Verhofstadt quale
prossimo Presidente del Parlamento europeo ed in cambio sarebbero stati
ammessi nel gruppo liberale, ottenendone la vice presidenza e, qualora
fosse stato possibile, anche una vice presidenza dell’Assemblea di
Strasburgo, oltre alla divisione dei fondi e del personale. Una volta
queste cose si chiamavano “mercato delle vacche” in perfetto stile Dc.
L’operazione è saltata, ma per la decisione dei liberali, mentre i 5 stelle hanno ricavato un disastro di immagine. La
cosa può sorprendere ma ha una sua logica e va inquadrata in un
contesto di dichiarazioni, gesti, decisioni che dura da almeno sette
mesi.
A maggio Luigi Di Maio fece un viaggio in giro per l’Europa,
con l’evidente intento di tranquillizzare gli ambienti politici
d’oltralpe su un’eventuale ascesa al governo del M5s e non mancarono
ammiccamenti in tema d’Euro (del tipo “non mi sento più tanto antieuropeista”).
La campagna per le amministrative, l’estate, i problemi della giunta
Raggi, la campagna referendaria hanno gettato la sordina sul tema Euro.
Nei primi di dicembre Di Battista lanciava, un po’
estemporaneamente, la proposta di un referendum sui nostri rapporti con
la Ue, ma la cosa era lasciata cadere e nessuno prendeva le difese di
“Dibba” di fronte alla gragnuola di insulti dei mass media e dei partiti
che lo accusavano di non conoscere la Costituzione che vieta i
referendum in materia di trattati (ma “Dibba” aveva detto altro e su questo abbiamo scritto).
Poi c’è stata una raffica di decisioni di Beppe Grillo apparentemente slegate fra loro:
il salvataggio in extremis della Raggi dopo i casi Muraro e Marra, la
dichiarazione sul rimpatrio immediato degli immigrati irregolari (come
se sapessimo quale è il loro paese d’origine!), la svolta in materia di
avvisi di garanzia, il discorso di fine anno. Intendiamoci, tutti atti
perfettamente leciti (anche se qualcuno discutibile, come quello sugli
immigrati irregolari al solito accomunati ai terroristi) e qualcuno
perfettamente condivisibile (come quello sull’avviso di garanzia), ma
il senso politico complessivo è quello di dimostrare che il M5s è una
forza responsabile, persino moderata, quando occorre, che può andare
tranquillamente al governo senza provocare sconquassi.
Nel M5s c’è un processo di lenta trasformazione in forza di governo,
che rimuove i suoi tratti di forza “antisistema”. E il tentato passaggio
all’Alde, è stato lo sbocco naturale. Accreditarsi come forza moderata
(adesso capiamo il senso del “né di destra né di sinistra”: perché forza
“di centro”) e rimuovere l’immagine antieuropeista.
Per la verità, il regista dell’operazione, il capogruppo Borrelli
(che si è guardato bene dal darne notizia ai suoi parlamentari,
esattamente come ha fatto il suo interlocutore Verhofstadt) non ha mai
nascosto il suo “europeismo” e il suo giudizio ostile ad ogni abbandono
dell’Euro, sino ad incassare l’apprezzamento di Mario Monti. Dunque si pone il problema di definire, una volta per tutte, quale sia la posizione del M5s sull’Euro,
se c’è una revisione della posizione che era di Roberto Casaleggio (ed
anche di Beppe Grillo per quel che ricordo), lo si dica apertamente,
magari dopo una adeguata discussione seguita dal voto degli iscritti.
C’è poi un altro punto da chiarire: il nodo di eventuali accordi con
altre forze politiche. Non sono mai stato favorevole al “noi non ci
alleiamo con nessuno” ed ho sempre detto che in politica gli accordi
sono necessari, però che lo si dica e si fissino i criteri con cui li si
può concludere .
Questa sciagurata vicenda fissa un precedente: dopo
che stavi per fare addirittura un gruppo comune con una forza politica
basato solo su una spartizione (con l’Ukip, almeno, c’era il comune
terreno dell’opposizione alla Ue) come potrai declinare una proposta di
accordo di altra forza politica in Italia, opponendo il solito “noi non
facciamo accordi con nessuno”?
Quanto poi alla questione dei soldi, qualcuno
dovrebbe spiegarmi perché in Italia il M5s rifiuta il finanziamento
pubblico, mentre poi lo cerca affannosamente in Europa, al punto di
includerlo fra le motivazioni di un accordo così singolare.
Il tutto poi con questo clima clandestino da loggia carbonara:
altro che diretta streaming e trasparenza, qui si è firmato un accordo
senza che ne sapessero nulla neanche i deputati del M5s e quelli
liberali che avrebbero dovuto fare gruppo insieme: vi sembra normale?
C’è poi la questione di questa fregola governativa che ha preso il M5s.
Personalmente non capisco perché ci sia tanta fretta di cingere la
corona governativa in un biennio (tanto durerà la prossima legislatura)
durante il quale non si tratterà di una corona di alloro, quanto di una
corona di spine: pensateci cari amici del M5s.
Infine: il disastro di immagine di questa storia è troppo evidente perché se ne debba dire,
però voglio lasciarvi con un consiglio: Borrelli è un ottimo
imprenditore, indiscutibilmente bravo; dopo questo brillante esito
della sua strategia credo che non si possa provare ulteriormente
l’azienda del suo talentuoso capo. Non vi sembra il caso di restituirlo
subito al lavoro che sa fare meglio?
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