di A. De Angelis, huffingtonpost.it
Alle 14,10 Massimo D’Alema
arriva alla sintesi del suo lungo e chirurgico ragionamento. Per un’ora
invoca un “cambio di rotta” del Pd, indicandone i punti fondamentali:
lavoro, sociale, “più Europa, ma un’altra Europa”. E chiede un
congresso, per discutere, prima del voto. Ragionamento di scuola, alto,
che parte dall’analisi della situazione internazionale e arriva
all’emorragia di voti nelle periferie romane. A quel punto, dopo una
pausa più lunga, guarda la sala e scandisce: “Se ci troveremo di fronte
alla sordità di un gruppo dirigente e prevarrà l’idea di andare ad
elezioni senza un progetto politico e di governo, con l’obiettivo di
normalizzare il Pd e ridurre i gruppi parlamentari all’obbedienza, beh,
allora deve essere chiaro, lo dico con assoluta serenità: una scelta di
questo tipo renderebbe ciascuno libero”.
Applauso, quasi
liberatorio, di quelli che viene giù la sala, a sottolineare che il Pd,
per come l’abbiamo conosciuto, già non c’è più. E che, i partiti sono
già due. Poi, il secondo passaggio: “Aggiungo che alcuni di noi, che
ritengono di avere responsabilità e obblighi nei confronti della
sinistra italiana, e della sua storia, non sarebbero neanche liberi di
decidere. Avrebbero il dovere di agire”. Frase che suona come una
chiamata alle armi, una scossa per gli indecisi, un invito ad accelerare
sulla fase operativa, perché il tempo stringe.
Centro congressi
Frentani, luogo storico per la sinistra, dove una volta c’era la
federazione romana del Pci, quando prendeva il 34 per cento. La riunione
dei comitati del No per “un nuovo centrosinistra” si trasforma, di
fatto, nell’annuncio di un nuovo partito, “se Renzi non inverte la
rotta”. Eventualità a cui non crede nessuno. “Consenso” il nome
dell’associazione, o del movimento, in cui i circoli del no cambiano
ragione sociale, diventando i circoli di un possibile nuovo partito.
Partito nuovo, di sinistra, per quelli che vedono nel Pd un partito
senza il suo “senso originario”. “State pronti a ogni eventualità”, dice
D’Alema, che invita ad aprire circoli, a raccogliere fondi: “La
discussione sul SI e sul No è finita, l’hanno chiusa i cittadini. Ora
rivolgiamoci al mondo del centrosinistra italiano, un mondo disperso,
spesso non iscritto a nessun partito”.
In sala ci sono Arci, Cgil,
segretari di federazioni del Pd, soprattutto del Sud. Ma soprattutto
molti che raccontano che hanno lasciato il Pd perché “ha cambiato pelle
da tempo”. Stumpo e Zoggia parlano fitto al bar. “Inevitabile”, così
parlano della rottura. Nessuno crede che Renzi possa frenare e aprire
una discussione: “Al momento delle liste proverà a sbatterci fuori o ci
mette al Senato per non farci eleggere. Noi stiamo dentro e chiediamo il
congresso però se forza...”. Ci sono Gotor, Danilo Leva, la Agostini.
Si rivede un film già proiettato ai tempi del referendum. Quando Massimo
D’Alema partì per primo: “L’Italicum non si cambia, si abbatte. E c’è
un solo modo per abbatterlo, votare No al referendum”. La Ditta arrivò
con un po’ di travaglio, dopo mesi di “se non cambia l’Italicum”.
Stavolta i più giovani hanno il quadro chiaro. Più prudente Bersani.
Roberto Speranza, prima di D’Alema, ci va giù duro: “Le sentenze si
rispettano, ma il potere su una materia così spetta al Parlamento e
vorrei che il Pd fosse protagonista di una grande iniziativa
parlamentare. Mai più un Parlamento di nominati: i deputati devono
rispondere ai territori e non al capo. Altrimenti si costruisce un
partito di servi e non di persone perbene”.
Insomma, s’ode a
destra uno squillo di tromba con Orfini e lo stato maggiore renziano che
recapita ultimatum. A sinistra risponde uno squillo, con l’annuncio che
la scissione è nel conto. Dice Roberto Speranza, uno abituato a
misurare le parole: "Se il Pd diventa il partito dell'avventura, non c'è
più il Pd". Ecco, stavolta la rottura fa meno paura, anzi potrebbe
essere una tentazione irresistibile: “Renzi – spiegano – il 40 non lo
fa. Dovrebbe essere lui ad avere interesse ad averci dentro, visto che
c’è un sistema proporzionale”. Caustico il leader maximo, che nei
momenti che contano dà sempre il meglio di sé: “Quando vedo il
presidente del gruppo parlamentare che a me sta anche simpatico dire che
si può andare a votare perché la sentenza della Consulta conferma
l’impianto dell’Italicum… Direbbe il poeta: non so se il riso o la pietà
prevale. È difficile anche aprire un dibattito, in questi casi arriva
uno con il camice bianco... Noi abbiamo la responsabilità di correre in
soccorso di un gruppo dirigente che sembra avere smarrito il senso della
ragione”.
La sala è molto Pci, nel senso di gente tosta, che
vuole un partito vero. E che sa far di conto. Ti spiegano: “Lo spazio
c’è. Ci sono milioni di voti di sinistra che non vogliono più votare
Renzi e non vogliono consegnarsi a Grillo”. Tommaso Sasso, che avrà un
ruolo operativo nel coordinamento dei circoli di Consenso,
dice: "C'è un popolo senza partito che non possiamo permetterci di
perdere". Il progetto è ancora in fieri, ognuno ci entra con le truppe
che ha. Francesco La Forgia, un brillante milanese che ha lasciato col
suo gruppo Cuperlo. Un pezzo di Sinistra Italiana, da D’Attorre a
Scotto. Che col suo intervento dal palco sancisce la spaccatura con
l’ala di Fassina e Fratoianni. Manda un saluto Michele Emiliano, che
sulla carta potrebbe essere il leader del listone della sinistra. Gli ex
Pci non lo amano particolarmente e lui non ama D’Alema, però c’è una
convergenza oggettiva. In questo clima di rabbia e protesta il
governatore della Puglia funziona.
All’uscita si sentono
“compagni” che si danno appuntamenti sui territori. Fissano riunioni.
Altri, stanchi, risalgono sui pullman dove hanno viaggiato tutta la
notte. Come accadeva e accade con i partiti veri.
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