Non c’è pace a sinistra. Per l’ennesima volta l’area grigia che sta
alla sinistra del PD fatica a trovare una linea politica e continua a
dividersi su formule politiciste come il centrosinistra e sulla figura
di Renzi. Definirsi in base a cosa non si è o alle alleanze che si
vogliono o non vogliono fare è una scorciatoia comprensibile, ma
culturalmente subalterna. E parte dalla
mancanza di una analisi seria sulle tendenze del capitalismo di questo
inizio Millennio. Senza una comprensione di processi complessi che vanno
ben oltre le piccolezze di Renzi e del PD, la linea politica ed il tema
delle alleanze diventano un inutile esercizio da salotto.
Partiamo da alcuni dati strutturali. La socialdemocrazia post-89 – ed
in generale le formule di centrosinistra – sono in rotta un po’
ovunque. Hanno avuto un senso politico in quegli anni in cui la crescita
economica – drogata e insostenibile – portava ad una illusoria
espansione della classe media, quando dunque si doveva lottare per
conquistare il consenso al centro. In Italia questa formula era già
allora poco ancorata ad una realtà di declino economico cominciato ad
inizio anni ’90 e si è, in realtà, trasformata in un sistema di alleanze
anti-berlusconiane piuttosto che in un progetto politico coerente. In
ogni caso in quella direzione andava il PD ben prima di Renzi e già, in
effetti, dal primo governo Prodi.
Non è stata una formula di successo, ma poco importa: era almeno figlia di quegli anni. Oggi non ha più senso.
La crisi economica – che, ricordiamolo, è solo l’effetto e non la
causa dei vasti cambiamenti in atto dall’inizio degli anni ’80 – ha
modificato drammaticamente la struttura sociale e, di conseguenza,
quella politica del mondo Occidentale, e sono i partiti socialisti
tradizionali a pagare il prezzo più alto. Non è però soltanto un
problema di legittimità politica, persa a forza di sostenere il mercato
prima e l’austerity dopo. E’, soprattutto, una questione di struttura
sociale: il mercato che hanno sostenuto e l’austerity che hanno
praticato ha divaricato le diseguaglianze, frantumato la classe media,
aumentato la disoccupazione giovanile. Lo sfondamento al centro non è
ormai più praticabile per mancanza di elettori centristi.
Non a caso il bipolarismo è entrato in crisi: il disagio sociale, la
povertà, la disoccupazione hanno riportato al centro della politica
milioni di elettori che erano precedentemente considerati marginali.
Masse di nuovi diseredati che hanno spesso rinforzato le fila di
movimenti politici di vario genere, spesso consolidatisi intorno a
istanze mono-tematiche: dalla rivolta anti-casta, a quella anti-europa,
fino a movimenti razzisti e anti-migranti.
E’ su quel terreno che si gioca una sfida politica decisiva. Anche in
sistemi bipolari come USA e UK, e a maggior ragione in altri paesi con
sistemi politici in sfacelo, non si lotta più per conquistare il voto
dell’elettore mediano, quanto piuttosto quello della massa di giovani
precari, di classe media decaduta, di disoccupati di mezza età.
La sinistra si trova davanti ad un bivio. La frantumazione sociale ha
disgregato le classi tradizionali il che, unito ad una diversa
organizzazione del lavoro e alla completa assenza di una proposta
politica di sinistra per oltre 30 anni, ha cancellato quel sentimento di
appartenenza politica e quell’identificazione sociale che è stata la
base delle social-democrazie pre- e post-89. Avendo dunque perso il
proprio elettorato di riferimento, la sinistra può essere inglobata in
un progetto politico neo-centrista, come quello incarnato da Renzi e
Macron, che va verso il superamento completo di formule obsolete come
centrodestra e centrosinistra, verso partiti, composti sempre più di
quel che rimane della borghesia e da anziani, e che si pongono in difesa
dello status quo. O può puntare su una svolta radicale a sinistra,
rigettando non solo formule centriste ma contendendo alla destra la
rappresentanza di queste nuove figure. Lo hanno fatto Corbyn che è
andato a prendersi molti voti dello UKIP, Sanders che parla alla white
working class che ha fatto vincere Trump, e Melenchon che è andato a
cercarsi i voti nelle banlieu e tra la classe lavoratrice disoccupata
che spingeva la LePen.
Se questo è lo scenario politico cui ci troviamo davanti, i temi
dell’alleanza col PD, di Renzi, del centrosinistra, sono francamente
inattuali. Il problema non è una alleanza neo-moderata per sbarrare il
passo alle destre, è contendere alle destre milioni di voti in libera
uscita e senza fissa dimora. E lo si può fare solo con una proposta
politica radicale, che dia un taglio netto non solo con Renzi, non solo
col PD ma anche col centrosinistra del passato – delle privatizzazioni,
del pareggio di bilancio, del pacchetto Treu, dell’agenda Monti. Parlo
di una forza politica che non sia autonoma dal PD, quanto piuttosto che
vada oltre la stessa idea che è alla base della nascita di quel partito.
Solo formando una massa critica autonoma si potrà, nel caso, provare a
interagire con il centrismo moderato, un po’ come ha fatto Podemos che,
pur non vincendo le elezioni, è riuscito a forzare un cambiamento di
rotta del PSOE e riportarlo su posizioni quantomeno progressiste.
Ripartendo magari dai giovani, che in Gran Bretagna, in Francia, in
Spagna, e financo negli Stati Uniti sono l’asse trainante della nuova
sinistra e che chiedono una vera svolta. E questa voglia di cambiamento
non può essere tradotta in formule politiciste ormai vuote e senza
senso.
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