Il patto tra azienda e
lavoratore era di tipo schiavistico - certo - ed era anche grottesco:
eppure era un patto definito, un accordo triste ma rassicurante,
ingiusto ma solido [A. Gilioli]
Ho capito che Paolo Villaggio non aveva
inventato niente il giorno in cui, in una grossa azienda editoriale del
nord, ho visto che c'erano due ascensori uno accanto all'altro. Uno era
normale, l'altro con la boiserie. Davanti al secondo c'era scritto:
«Riservato Alta Dirigenza».
Il mondo del lavoro descritto nei libri e
nei film di Fantozzi era così: pacchiano nel suo classismo, volgare
nella sua esibizione della gerarchia, violento nello scontro quotidiano
tra l'alto e il basso, tra il capo e il sottoposto.
Eppure era un mondo a suo modo limpido,
"onesto", trasparente. Non c'erano gli infingimenti cosmetici con cui
oggi vengono mascherati divari di potere e di reddito che peraltro nel
frattempo sono aumentati, non diminuiti.
Il sottoposto era appunto un sottoposto,
non si faceva finta che fosse un "collaboratore". La sua prestazione
non era a cottimo, né forzatamente notturna e festiva - come oggi
avviene nei magici mondi della gig economy e della logistica,
ma non solo - bensì legata a precisi orari diurni, terminati i quali i
dipendenti avevano diritto perfino a scappare dalla finestra, pur di non
regalare un minuto di più all'azienda.
Lo stipendio era garantito (garantito,
incredibile!) così come garantite erano le ferie, che Fantozzi poi
trascorreva sotto la sua consueta nuvola.
Il patto tra azienda e lavoratore era di
tipo schiavistico - certo - ed era anche grottesco: eppure era un patto
definito, un accordo triste ma rassicurante, ingiusto ma solido, che
non rischiava di dover essere riscritto ogni giorno e ogni giorno
peggiorare, o semplicemente sparire - puf, oggi non ci servi.
E ancora, non c'era bisogno di
dissimulare coinvolgimento motivazionale negli obiettivi dell'azienda,
fosse essa pubblica o privata. Non c'era bisogno di mettere in scena la
grande ipocrisia dell'identificazione, degli obiettivi,
dell'"empowerment". Né si era costretti al sorriso perenne e alla
disponibilità 7/24, che sono la galera dei free agent attuali,
delle partite Iva attuali, dei "rider" attuali. Potevi limpidamente
odiarla la tua azienda, potevi odiarlo il tuo ufficio, anzi era scontato
che tu lo odiassi. I ruoli erano più onesti, in fondo.
Villaggio ha descritto lo schiavismo
umiliante del mondo del lavoro com'era prima della globalizzazione e
prima che l'epocale vittoria del liberismo estremo polverizzasse ogni
argine, ogni regola, ogni patto. Ci faceva ridere, perché caricaturava e
portava all'estremo quello che milioni di persone realmente vivevano
nei loro polverosi e grigi luoghi di lavoro. Lo schiavismo di oggi non è
nemmeno caricaturabile perché è già all'estremo in sé, non può essere
portato oltre con la chiave del grottesco.
Non si riesce più nemmeno a ridere, parlando di lavoro, oggi.
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