“Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio“, grida il poliziotto durante lo sgombero. Il bilancio delle cariche a piazza Indipendenza sarà infatti di piedi e nasi rotti, lividi che passeranno e ferite che no, perché si cancella il sangue dall’asfalto ma non il segno che lascia assistere, da bambino, alle manganellate inflitte a tuo padre
dai poliziotti armati che irrompono in casa all’alba (è questo che
ricorderanno le decine di bambini portati via a forza dallo stabile in
cui vivevano da cinque anni).
E tutti, sui social, a prendere le parti, convinti
da una narrazione giornalistica sciatta e in malafede che le parti in
campo fossero poliziotti contro migranti, “Che però uno ha lanciato una
bombola del gas”. “Che però era vuota”. Convinti che tra loro vadano cercati i violenti.
Le testimonianze dei presenti circolano secondo la risonanza che
trovano: “Ma quella donna l’hanno sbattuta a terra con l’idrante e poi
le usciva il sangue dal naso e da un’orecchio!” (commento su Facebook).
“La carezza del poliziotto a una migrante disperata” (home page di
Repubblica).
A piazza indipendenza io c’ero. Avrei potuto scrivere ieri di quello che ho visto, ho preferito scrivere oggi di quello che so, perché temo che si scriva solo degli effetti e non delle cause; solo della violenza in piazza – raccontata con parole sbagliate: “gli
scontri”, che in realtà sono cariche,
una parte armata ne carica una disarmata – e non, invece, della
violenza più impetuosa e virulenta che innesca le cariche, generando
l’esclusione sociale che porta alle occupazioni abusive e agli sgomberi.
Il termine “violenza” ha, sul vocabolario, due sfumature di senso. Violenza è la furia aggressiva delle cariche e dei manganelli, quella di quando chi la esercita e chi la subisce vengono immortalati nella stessa inquadratura, consentendo a chi commenta la foto sui social di discettare su chi ha aggredito chi.
Ma
questa violenza di piazza non esisterebbe senza quell’altra, più
esecrabile perché esercitata da chi avrebbe il compito di “rimuovere gli
ostacoli che limitano l’uguaglianza tra i cittadini e impediscono il
pieno di sviluppo della persona”, come recita la Costituzione.
La violenza dei poliziotti
non si abbatterebbe sui profughi, sugli studenti, sui lavoratori in
sciopero se non fosse preceduta dalla violenza dei governanti:
dall’abuso, la prevaricazione, la violazione del diritto. “Violenza” è violare la Costituzione
che contempla la casa e il lavoro tra i diritti fondamentali – come il
diritto dell’esule a ricevere protezione – bloccando l’assegnazione
delle case popolari e sbloccando le concessioni edilizie ai palazzinari.
Violenza è la prevaricazione dei molto ricchi sui molto poveri, il privilegio metodicamente concesso per legge ai più facoltosi, anche tra gli immigrati:
gli stranieri con grandi patrimoni vengono invitati a stabilire in
Italia la residenza godendo di un formidabile sconto sulle tasse per
poter fare la bella vita; gli stranieri senza grandi patrimoni vengono respinti
nei paesi dai quali fuggono per sopravvivere. Questa violenza feroce
non si accanisce solo sui migranti ma sui poveri in genere, perché il potere – a differenza dei poveri cristi che umilia e perseguita – non è razzista: è classista. Agli
sceicchi arabi le istituzioni destinano lo scudo, ai profughi eritrei
il manganello, a chi costruisce ville abusive lo scudo e ai senza tetto
che occupano uno stabile abbandonato il manganello.
Mai il contrario: avete mai visto la polizia caricare i banchieri
che truffano i pensionati o pestare gli industriali che sfruttano i
lavoratori? “Creare le condizioni minime di uno Stato sociale,
concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un
fondamentale diritto sociale, quale quello all’abitazione, contribuire a
che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana,
sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso”, recita una
sentenza della Corte costituzionale (n. 217 del 25 febbraio 1988).
Questo “diritto inviolabile all’abitazione” viene invocato per il miliardario che non paga tasse sulla prima casa
e calpestato per l’esule del quale le istituzioni dovrebbero farsi
carico: violato per l’esule sotto protezione come per il cassaintegrato
sotto sfratto, per il precario che vive con i genitori perché senza un
contratto stabile la banca non concede il mutuo e via elencando le
miserie dei miseri che si accaniscono gli uni contro gli altri invece di
coalizzarsi per ribellarsi a chi li riduce in miseria.
La violenza andata in scena a Roma – e nel resto del Paese – è questa. La sistematica difesa del privilegio,
il pervicace oltraggio del diritto. Sono queste le cause dell’emergenza
abitativa che – come ho scritto qui – non è un’emergenza: non è un
accidente imprevisto ma è il frutto di precise scelte politiche. È
vile
prendersela con chi per disperazione ha lanciato una bombola, è troppo
comodo prendersela solo con la Polizia. Bisogna condannare i violenti
che hanno fermato l’assegnazione delle case popolari esistenti e
impedito che se ne costruissero di nuove con fondi già destinati e su aree pubbliche di piccole dimensioni perché “Siamo contro il consumo di suolo” e, contemporaneamente, hanno accordato ai privati il permesso di cementificare 20 ettari di suolo per costruire lo stadio.
Con i violenti che tolgono un tetto sopra la testa a decine di famiglie per restituirlo a un fondo immobiliare che ne farà un centro commerciale. Con i violenti che hanno scritto e votato una legge
concepita allo scopo di respingere gli esuli lasciandoli morire in mare
e nelle carceri libiche. Con i violenti che hanno scritto e votato una
legge che consentire lo sfruttamento dei richiedenti asilo (è di ieri il
caso della cooperativa di Treviso che proponeva alle aziende del
territorio ragazzi “gentili, umili, volenterosi, con un’ottima
resistenza fisica e che non avanzano alcuna pretesa dal punto di vista
retributivo, professionale o di turnazione” disposti ad accettare una
paga di 40 euro al giorno), ultima di molte leggi violente scritte per consentire lo sfruttamento di tutti i lavoratori.
I violenti sono quelli che mandano in pensione a 68 anni un metalmeccanico
che lavora all’altoforno – condizione che determina una riduzione
dell’aspettativa di vita di sette anni – e non ci mandano affatto un precario. Sono quelli che poi mandano la polizia a caricare migranti, metalmeccanici e precari.
“Devono sparire”, ha detto ai suoi il poliziotto riferendosi ai
rifugiati, come direbbe un netturbino diligente dei mozziconi di
sigaretta. La violenza delle manganellate contro gli inermi
è l’inevitabile conseguenza del reagire alla povertà come si reagisce
allo sporco sui marciapiedi, trattando gli esseri umani peggio delle
cose: picchiando i primi per proteggere le seconde.
Le manganellate, quando si affida la gestione del disagio abitativo a persone armate di manganello, non sono un incidente. La violenza non è un incidente. È il nuovo – vecchissimo – imperativo morale del potere. Dopo il fascismo, avevamo scritto una Costituzione che aveva tra gli scopi più nobili quello di combattere le disuguaglianze e la povertà.
L’abbiamo tradita per combattere i poveri. Con una furia che oltre che
ignobile è demenziale: dopo 20 anni di leggi e politiche che hanno
diligentemente concesso sconti e agevolazioni fiscali ai ricchi,
precarizzato il lavoro, compresso i salari e i diritti,
alimentato le speculazioni immobiliari, fermato l’edilizia popolare,
tagliato i servizi e l’assistenza mentre si acquistavano
cacciabombardieri tornado, i poveri sono triplicati. Sono quasi cinque milioni gli italiani in povertà assoluta,
circa otto quelli in povertà relativa, più di dodici quelli che
rinunciano alle cure mediche perché non possono permettersele. Gli
stessi che hanno votato e scritto le leggi che hanno moltiplicato i
poveri, sguinzagliano in strada i poliziotti per farli sparire.
A Roma la polizia è stata schierata contro i profughi senza casa,
in difesa del capitale di un fondo immobiliare, a conclusione di un
ciclo storico coerente: prima abbiamo invaso e saccheggiato l’Etiopia e l’Eritrea, depredato quei paesi di ogni risorsa, riducendo in schiavitù donne e bambine. Poi abbiamo armato e finanziato il regime di un dittatore sanguinario come Afewerki, accusato dall’Onu di crimini contro l’umanità. Infine, abbiamo sfrattato i profughi etiopi e eritrei
che la legge ci impone di accogliere e proteggere (la legge, non il
buon cuore) e manganellato quelli che resistevano allo sfratto. Il
tutto, da un secolo a questa parte, per accumulare ricchezze nelle mani di pochi sempre più ricchi a scapito dei molti sempre più poveri.
La violenza inferta ogni giorno da chi dovrebbe proteggerci è questa e il razzismo, oggi come allora, è solo il veleno iniettato alle masse attraverso la propaganda mediatica per evitare che ogni povero si accorga che ogni altro povero gli somiglia.
La violenza inferta ogni giorno da chi dovrebbe proteggerci è questa e il razzismo, oggi come allora, è solo il veleno iniettato alle masse attraverso la propaganda mediatica per evitare che ogni povero si accorga che ogni altro povero gli somiglia.
P.s.: Qualche giorno fa, preoccupati per
l’attacco alle Ong, abbiamo scritto un appello. Lo abbiamo firmato quasi
in quindicimila. Tra i primi, lo hanno condiviso Erri De Luca, Vauro,
Michela Murgia, Padre Alex Zanotelli, Tomaso Montanari, Anna Falcone,
Alberto Prunetti, Moni Ovadia, Marco Revelli, Livio Pepino, Marta Fana,
Christian Raimo, Mauro Biani, Giulio Cavalli, Alessandro Gilioli. Tanti i
portavoce di associazioni e le realtà di base impegnate
nell’accoglienza, da Filippo Miraglia dell’Arci a Giuseppe De Marzo di
Libera; Monica Di Sisto di Stop Tiip e Ceta, Patrizio Gonella di
Antigone, Domenico Chionnetti della Comunità Don Gallo, Baobab
Experience, l’Ex-Opg occupato di Napoli, la Casa Internazionale delle
Donne, Tpo Bologna e Labas occupato, sindacati come Si Cobas, i
segretari di molti partiti che mettono la questione sociale tra le
priorità: Maurizio Acerbo di Rifondazione, Nicola Fratoianni di Sinistra
Italiana, Giuseppe Civati di Possibile, DeMa: il movimento di Luigi De
Magistris, gli europarlamentari de L’Altra Europa, tantissimi comuni
cittadini, ricercatori, persone impegnate nell’accoglienza. La nostra
preoccupazione non sembra condivisa dalla maggioranza delle persone. Non
lo era nemmeno quella dei professori universitari che si opposero a
Mussolini rifiutandosi di aderire al Fascismo: furono appena 12 su 1250.
Moltissimi altri cambiarono idea, col tempo.
È qui, vi invito a firmarlo: www.progressi.org/iopreferireidino
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