giovedì 24 agosto 2017

Sgomberi a Roma, la guerra ai poveri spacciata per emergenza migranti


Sgomberi a Roma, la guerra ai poveri spacciata per emergenza migranti       
di Francesca Fornario
 
«Vogliamo giocare!» 
gridano i bambini affacciati alla finestra dello stabile sotto sgombero, sventolando un lenzuolo bianco con scritto «Non siamo terroristi, vogliamo una casa dove vivere». Decine di piccole teste che si sporgono dalla balaustra: «Vogliamo andare in piscina! Vogliamo andare ai giardini!». Da quattro giorni non escono di casa. Casa, per loro che qui sono cresciuti, è lo stabile sotto sgombero in Piazza Indipendenza, a due passi dalla stazione Termini e dalla scuola che frequentano. Un palazzone di sei piani che appartiene a un fondo immobiliare, in disuso da anni prima che qui trovassero rifugio centinaia di rifugiati provenienti dall’Etiopia e dall’Eritrea. Bambini, donne e uomini che – secondo quanto ha stabilito la legge esaminando ogni caso – hanno diritto alla protezione umanitaria, perché fuggono da guerre e persecuzioni.
«Dicono che prendiamo 35 euro al giorno, ma non è vero!», protesta Alem seduta sulla sua valigia, una delle decine accatastate in strada: sacchi neri, scarpe, stampelle, scolapiatti, peluche. Si riferisce alla bufala che circola in rete, periodicamente rilanciata dai giornali di destra. Trentacinque euro a persona – quasi interamente provenienti da fondi europei erogati allo scopo – sono in realtà i soldi percepiti dalle cooperative e che gestiscono i centri di accoglienza per richiedenti asilo.
 «Se non vi piace stare in Italia, perché non ve ne andate?», le ha chiesto un ragazzo attirato in piazza dalle proteste. «Perché non possiamo», risponde Alem: «La legge ci obbliga a restare qui». Alcuni ci hanno anche provato ad andarsene, come del resto ci proviamo noi. Un diciottenne italiano su due sogna di andare a lavorare all’estero, e da anni il numero di italiani che lasciano il paese per sfuggire al lavoro precario e sottopagato e agli affitti astronomici è superiore al numero dei migranti che sbarcano qui. «Mi hanno rispedito indietro», racconta Buru, infermiere: «Dal Belgio, dove ho provato a raggiungere mio fratello, e dalla Franciadove abitano i miei cugini che mi avrebbero ospitato. Mi hanno detto che dovevo tornare in Italia». Anche questo prevede la legge. L’obbligo di chiedere asilo nel paese dove si approda, l’obbligo di restarci se la domanda viene accolta. «Ma vivere in Italia è impossibile. Il lavoro non si trova. Quando lo trovi, non trovi la casa: leggi l’annuncio, telefoni, prendi appuntamento per visitare l’appartamento e quando vedono che siamo neri non ce le danno. Sono mesi che cerco una casa da dividere con due amici. Potremmo pagare, ma niente».
«Io sono venuta qui per stare vicino a mia figlia», racconta Bogalech, diventata madre a 15 anni. Vivevo a Lecce, facevo le pulizie, guadagnavo abbastanza per pagare l’affitto, che a Lecce era di 250 euro». A Roma, con quella cifra, non ti affittano nemmeno un posto letto in una stanza doppia. «Lavoravo tutto il giorno e non sapevo a chi lasciare la bambina. Non avevo nessuno. È dura senza la mamma», dice parlando di sé stessa, e di sua figlia. «È venuta a Roma per stare con il padre, che ora ha un’altra compagna. Soffrivamo troppo a stare lontane, la bambina piangeva sempre, così ho lasciato la Puglia e ho cercato lavoro qui. Però qui non ce la faccio a pagare l’affitto».
Cinque piani sono stati sgomberati da uomini e cose. Al primo piano resistono, asserragliati, donne e bambini: «Vogliamo giocare! Vogliamo giocare!».
«Ho visto su Facebook le foto del terremoto. Persone rimaste senza la casa, come noi, con tutte le loro cose rimaste dentro, sotto ai sassi. E tutti offrivano aiuto perché senza la casa non si può vivere». È un terremoto anche questo, per chi lo subisce, ma previsto e innescato dalle istituzioni. Dalla prefettura che spiega che la responsabilità è del Comune, dal sindaco e dall’assessora ai servizi sociali che non si sono fatti vedere. Dalla sala operativa del Comune che spiega che gli occupanti hanno rifiutato la soluzione proposta ad alcuni di loro: un centro accoglienza dall’altra parte della città o, per qualche famiglia, una villetta per sei mesi, a Rieti. «A Rieti?! Ma i bambini vanno a scuola qui! Hanno fatto le iscrizioni a giugno, tra pochi giorni cominciano… Ora scriveranno che siamo degli ingrati, che abbiamo rifiutato le villette, ma se ai terremotati di Ischia proponessero come soluzione la villetta a Rieti? Sarebbero considerati ingrati, se rifiutassero?».
E se ai terremotati proponessero un centro accoglienza, con orari per entrare e uscire e camerate separate per uomini e donne?
Tanti di questi uomini e donne parlano un italiano fluente, romanaccio i bambini, che pretendono quello che pretendono i bambini che parlano romanaccio: «Annà al parco». Annà a scuola e a giocà, dormì a casa. È più facile comprendere i torti e le ragioni vedendo questa storia con gli occhi dei bambini. La casa è un diritto fondamentale di tutti, come ribadisce la Costituzione e numerose sentenze della Consulta  («È doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione», «Il diritto a una abitazione dignitosa rientra, innegabilmente, fra i diritti fondamentali di una persona»). Così l’istruzione e un lavoro decente («che concorra al progresso materiale o spirituale della società») e decentemente pagato («il lavoratore ha diritto a una retribuzione in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»). È la stessa Costituzione che enuncia tra i principi fondamentali la tutela dello straniero e la protezione del richiedente asilo: «Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica».
L’emergenza abitativa – collegata a quella lavorativa dei gli impieghi sottopagati, in costante violazione della Costituzione – non è tale. Non è una circostanza imprevista, un accidente: è la conseguenza voluta di scelte politiche che hanno legalizzato le speculazioni immobiliari e il lavoro precario e sottopagato. Gli stranieri diventano il capro espiatorio. Sono le vittime – come lo sono gli italiani – di quelle scelte, ma vengono accusati dai responsabili di essere la causa della disoccupazione e della carenza di alloggi. «Vengono qui a rubarci il lavoro», «Prima gli italiani», «Aiutiamoli a casa loro», dicono i politici, anche nei confronti degli esuli che la Costituzione ci impone di aiutare a casa nostra, perché a casa loro vengono perseguitati dai regimi che si sono insediati con la complicità dei nostri governi, sterminati dalle guerre combattute con le armi prodotte in Italia.
Una delibera regionale del 2014 ha previsto lo stanziamento di 200 milioni per affrontare “l’emergenza abitativa”. Centoventi appartamenti sono già stati acquistati. Altri, con quei fondi, verranno ristrutturati. Ma sono sono vuoti. Una delibera del commissario Tronca, confermata dalla giunta Raggi, ha reso di fatto inapplicabile l’assegnazione: per procedere, la Regione chiede al Comune di compilare una lista delle famiglie senza casa – circa 2500 – mentre il Comune esige gli appartamenti senza presentare la lista di chi ne ha bisogno.
È questione di ore – tempo che sfollino i giornalisti e i curiosi – e lo sgombero sarà condotto a termine. Le famiglie sbattute in strada o dall’altra parte della città, le loro cose gettate nella spazzatura, l’edificio restituito al fondo Omega che ne farà un centro commerciale. Gli italiani se la prenderanno con gli stranieri che si accampano in strada, gli stranieri con l’Italia che non li lascia andare via, la Costituzione resterà lettera morta e questa storia sarà archiviata nei server dei giornali online sotto la categoria “emergenza immigrazione” mentre è l’ennesima storia di diritti negati, sistematicamente, a chi non è ricco abbastanza.
il Fatto quotidiano, 23 agosto 2017

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