domenica 3 aprile 2016

SEMPRE DALLA PARTE DEI PADRONI!

"L'arrogante caporale del generale Marchionne". Intervento di Giorgio Cremaschi
 
In difficoltà per gli affari petroliferi il presidente del consiglio si appella ai suoi sostenitori e protettori, i grandi padroni e la grande finanza, e con suo solito modo servile e livido da crumiro impenitente esalta Marchionne e offende chi gli si oppone. Per Renzi il capo di FCA, la Fiat non esiste più, ha fatto per il lavoro più dei sindacati che lo hanno contrastato.
Lo dica ai cinque operai licenziati a Nola perché protestavano per il suicidio di una donna messa da anni in cassa integrazione. Lo dica ai migliaia di dipendenti Fiat che tuttora son in cassa e non lavorano. Lo dica ai lavoratori di Termini Imerese, a quelli della CNH di Imola, a quelli della Irisbus di Avellino a cui Marchionne ha semplicemente chiuso la fabbrica. Lo dica a quelli che lavorano con turni massacranti e straordinario obbligatorio, sì nelle fabbriche di Marchionne si fa straordinario mentre migliaia di operai stanno in cassa. Lo dica a quegli operai che parlano delle loro condizioni di lavoro solo se si garantisce l'incognito, perché nella moderna FCA vige il più antico e feroce autoritarismo e ogni offesa alla libertà e alla dignità della persona è giustificata in nome della competitività. E se non vuol dire nulla agli operai perché in fondo ne ha paura e li odia, dica qualcosa a quei tecnici che lamentano la crisi dei progetti e dei programmi, sì la FCA ex Fiat non ha in Italia alcun vero programma per il futuro, se non quello di essere un decentramento degli stabilimenti USA, dove si è trasferito il comando vero del gruppo. E se non vuole parlare neppure di questo, chieda almeno al suo ministro del Tesoro qualche spiegazione sul fatto che la sede fiscale dell'azienda di quello che lui chiama benefattore si è trasferita a Londra per pagare meno tasse.
Ma a Renzi di tutto questo non importa, lui verso Marchionne così come verso tutti i poteri forti e le multinazionali che lo hanno messo lì dove sta, lui può solo essere riconoscente. Al massimo può sperare che qualche auto americana della FCA si chiami Leopolda.
Renzi è il presidente del consiglio ma parla come un caporale che guidi l'auto contro un picchetto di sciopero. Renzi è il presidente del consiglio più servo dei grandi padroni e dei loro interessi di tutta la storia della Repubblica. Renzi è lì solo per distruggere ciò che resta della repubblica fondata sul lavoro. E lo fa con sfacciataggine, ignoranza, arroganza. Renzi rappresenta al meglio il degrado del paese, quando ce ne liberemo sarà sempre troppo tardi.
"Stare sempre dalla parte dei padroni. E' questa la scelta strategica dell'ex sindaco di Firenze". Intervento di Franco Astengo 
Ha fatto più Marchionne per l’Italia che certi sindacalisti”: questa frase pronunciata da Matteo Renzi alla cosiddetta scuola di partito del PD non può essere lasciata sotto silenzio e merita un commento perché costituisce la testimonianza di una vera e propria collocazione di fronte (un tempo si sarebbe detto “dall’altra parte della barricata”) già evidente da tempo ma che molti si rifiutano di riconoscere.
Questa frase contiene tre elementi da sottolineare: il primo riguarda l’ennesimo attacco ai corpi intermedi, in questo caso il sindacato, usando termini classici del populismo; certo che l’operato di determinati sindacalisti è da censurare e che il sindacato nel suo insieme, almeno in Italia, ha smarrito il senso complessivo della lotta di classe ma l’obiettivo di Renzi è ben altro, è quello di confondere artatamente questo dato esprimendo, invece, l’esaltazione di un meccanismo di vera e propria delega al padrone della rappresentanza stessa del lavoro. Attenzione del lavoro in quanto tale, non del mondo del lavoro.
Il secondo elemento riguarda ancora una volta la vena populistico – nazionalista che pervade il modello comunicativo del Presidente del Consiglio e Segretario del PD e che appare permeare una parte maggioritaria di quel partito: un nazionalismo di lega molto bassa, “fare per l’Italia” quasi un accento dannunziano invece della necessità di affrontare il senso collettivo dello stare assieme nell’operare in funzione del lavoro come leva di un modello di sviluppo. Si tratta di un tema di fondo che non può essere affrontato in questa sede con compiutezza ma soltanto accennato ma che si lega, pericolosamente, proprio al punto della delega al padrone, addirittura in senso nazionalista, del tema proprio del lavoro.
Terzo punto quello dell’esaltazione appunto di chi (personalizzando per di più) fa dell’intensificazione dello sfruttamento l’ideologia per il rovesciamento della condizione di classe: proprio la lotta di classe portata avanti dall’alto, com’è avvenuto nel corso di questi anni imponendo un pauroso arretramento nell’insieme delle dinamiche sociali.
Renzi nega, come da sempre, l’idea stessa del lavoro come valore e come capitale sociale dichiarando l’impossibilità di un riscatto che serva per operare nuovi livelli di dignità collettiva nella convivenza sociale.
Una frase di stampo esclusivamente reazionario che indica con chiarezza una collocazione prima di tutto ideale che politica.
Stare dalla parte dei padroni: un tassello fondamentale nella costruzione di un regime personalistico e autoritario, ben sorretto dai potentati economici.
Si potrà ancora disvelare appieno il grande inganno nel quale è avviluppata la vicenda italiana di questo scorcio di secolo?

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