Quella che sta svolgendosi in queste ore, sotto i nostri occhi, è la rappresentazione plastica di un disastro politico, economico e morale. Si badi: non c’è, in questa affermazione, alcuna enfasi propagandistica, né alcun compiaciuto retrogusto polemico. Perché parliamo del disastro di un’Italia a tal punto svenata e sgovernata che tutto sembra precipitare in un abisso senza fondo. Le frane di Maierato e di San Fratello, che stanno letteralmente ingoiando quei paesi, fanno da raccapricciante contrappunto simbolico al grumo di malversazione, di concussione, di corruzione che sta emergendo dalla vicenda della Protezione civile. Di giorno in giorno, il fronte di quest’altra frana si allarga e assume un profilo inquietante. Vedremo presto sin dove è risalita la cancrena, quali stanze del potere ha contaminato.
Toccherà ai magistrati accertare le violazioni di legge e le responsabilità penali, che sono personali. A noi compete e interessa invece un ragionamento politico, per istruire il quale abbiamo già a disposizione il materiale necessario. I fatti sono che la Protezione civile, la quale istituzionalmente avrebbe dovuto occuparsi di prevenire, per quanto possibile, attraverso opere di bonifica ambientale, eventi di dissesto geologico, ha progressivamente ampliato a dismisura il perimetro del proprio intervento sino a spostarne il baricentro in tutt’altra direzione. E lo ha fatto utilizzando sino in fondo le facoltà discrezionali che con interessata generosità il governo e la presidenza del consiglio le hanno riconosciuto. Col risultato che sotto l’egida dell’emergenza e attraverso procedure incontrollabili si sono messi in moto interessi voraci, capaci di divorare ingenti risorse pubbliche, messe a disposizione di una rete di faccendieri, speculatori, profittatori. Il mercimonio sessuale che fa da sordido contorno a questo banchetto non è che l’epifenomeno di un sistema, di un modello degenerato di gestione del potere che concede a chi lo detiene la possibilità di elargire favori, garantire coperture e protezioni.
L'altra faccia di questa medaglia è la disperazione della gente dell’Aquila, l’abbandono delle popolazioni messinesi che in queste ore stanno perdendo tutto nel più prevedibile degli eventi calamitosi; è la condizione dei lavoratori che stanno subendo licenziamenti di massa senza poter contare su alcuna tutela; è lo stato desolante della scuola pubblica, prosciugata sino a pregiudicare il diritto all’istruzione; è la condizione di totale precarietà in cui una generazione intera dibatte la propria esistenza grama, espropriata di fondamentali diritti di cittadinanza; è lo stato di ormai cronica marginalità sociale, di sfruttamento, quando non di persecuzione cui è sottoposta la popolazione migrante. Tutto questo, che sta passando nel tritacarne la vita di milioni di persone, scassandone il presente e ipotecandone il futuro, è considerato meno di nulla dal presidente del consiglio. Il quale, di fronte al verminaio che lambisce (o attraversa) la corte dei suoi sodali, riesce a dire che si tratta soltanto di «piccole volpi nel pollaio». L’impressione è che le volpi siano molte e, soprattutto, si trovino perfettamente a loro agio in un contesto politico nel quale, come abbiamo ripetutamente spiegato, le regole, le procedure, i vincoli, la trasparenza sono considerati soltanto ostacoli. Esattamente come la democrazia costituzionale, osteggiata e sbeffeggiata come un fastidioso balzello che si oppone all’esercizio spregiudicato della «politica del fare».
Toccherà ai magistrati accertare le violazioni di legge e le responsabilità penali, che sono personali. A noi compete e interessa invece un ragionamento politico, per istruire il quale abbiamo già a disposizione il materiale necessario. I fatti sono che la Protezione civile, la quale istituzionalmente avrebbe dovuto occuparsi di prevenire, per quanto possibile, attraverso opere di bonifica ambientale, eventi di dissesto geologico, ha progressivamente ampliato a dismisura il perimetro del proprio intervento sino a spostarne il baricentro in tutt’altra direzione. E lo ha fatto utilizzando sino in fondo le facoltà discrezionali che con interessata generosità il governo e la presidenza del consiglio le hanno riconosciuto. Col risultato che sotto l’egida dell’emergenza e attraverso procedure incontrollabili si sono messi in moto interessi voraci, capaci di divorare ingenti risorse pubbliche, messe a disposizione di una rete di faccendieri, speculatori, profittatori. Il mercimonio sessuale che fa da sordido contorno a questo banchetto non è che l’epifenomeno di un sistema, di un modello degenerato di gestione del potere che concede a chi lo detiene la possibilità di elargire favori, garantire coperture e protezioni.
L'altra faccia di questa medaglia è la disperazione della gente dell’Aquila, l’abbandono delle popolazioni messinesi che in queste ore stanno perdendo tutto nel più prevedibile degli eventi calamitosi; è la condizione dei lavoratori che stanno subendo licenziamenti di massa senza poter contare su alcuna tutela; è lo stato desolante della scuola pubblica, prosciugata sino a pregiudicare il diritto all’istruzione; è la condizione di totale precarietà in cui una generazione intera dibatte la propria esistenza grama, espropriata di fondamentali diritti di cittadinanza; è lo stato di ormai cronica marginalità sociale, di sfruttamento, quando non di persecuzione cui è sottoposta la popolazione migrante. Tutto questo, che sta passando nel tritacarne la vita di milioni di persone, scassandone il presente e ipotecandone il futuro, è considerato meno di nulla dal presidente del consiglio. Il quale, di fronte al verminaio che lambisce (o attraversa) la corte dei suoi sodali, riesce a dire che si tratta soltanto di «piccole volpi nel pollaio». L’impressione è che le volpi siano molte e, soprattutto, si trovino perfettamente a loro agio in un contesto politico nel quale, come abbiamo ripetutamente spiegato, le regole, le procedure, i vincoli, la trasparenza sono considerati soltanto ostacoli. Esattamente come la democrazia costituzionale, osteggiata e sbeffeggiata come un fastidioso balzello che si oppone all’esercizio spregiudicato della «politica del fare».
di Dino Greco
su Liberazione del 17/02/2010
su Liberazione del 17/02/2010
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua