Alla notizia che Renzo Bossi, secondogenito dell’Umberto leader incontrastato della Lega Nord, verrebbe candidato per le regionali nel collegio blindatissimo di Brescia, è subito scoppiato un grande malumore nella seconda città lombarda. E’ addirittura sorto un movimento di giovani leghisti che si sono schierati apertamente contro questa proposta aprendo un dibattito su Facebook: il logo da loro inventato rappresenta un’urna elettorale con la figura di una trota sbarrata di rosso e la scritta esplicita “no, grazie”. E poi giù con i commenti del tipo “ Che vada a Varese”, “Forse a Milano non hanno ben capito che non siamo qui per farci prendere in giro!”, “Facciamoci sentire!” ed altri sullo stesso tono.
Ma che c’entra la trota? Per comprendere il termine occorre riandare a qualche tempo fa, allorché il Senatur aveva preso l’abitudine di farsi accompagnare dal pargolo in ogni occasione importante, tenendoselo accanto sul palco dei comizi, nelle riunioni importanti e perfino in occasione della rituale cerimonia della raccolta dell’acqua alle sorgenti del Po. Era il chiaro segnale che l’Umberto aveva scelto il figlio Renzo quale successore a capo della Lega, proclamandolo di fatto suo delfino, salvo poi ripensarci allorché cominciarono ad arrivargli dalla base messaggi non proprio incoraggianti, tanto che se ne scappò con la famosa frase che al momento più che ad un delfino il “bimbo” assomigliava ad una trota, per cui doveva ancora crescere. Da qui il nomignolo che gli è rimasto attaccato addosso.
Ma se come successore dell’augusto genitore la strada gli è stata sbarrata, occorreva comunque trovare anche a lui una buona sistemazione, migliore se possibile di quella rimediata per il figlio più grande, Riccardo, piazzato a Bruxelles, con un buon stipendio, quale assistente di Speroni. Insomma, anche l’integerrimo leader leghista ha un cuore da genitore, non insensibile perciò al richiamo del sangue, per cui non ha esitato ad issare la bandiera con su scritto “tengo famiglia”, quella stessa bandiera che era stata sventolata in passato da altri politici italiani.
Da qui la pensata di fargli posto come candidato a Brescia, liberandolo dalla presenza imbarazzante della “titolare” del ruolo, Monica Rizzo, che è stata comunque tacitata piazzandola nel “listino” bloccato del governatore Formigoni. Governatore che con una buona dose di piaggeria ha addirittura definito la mossa “Lo sbiadirsi del familismo”, e non mettetevi a ridere per la spiegazione che ha dato al riguardo: “E’ la democrazia, ora dovrà cercarsi le preferenze”. Piaggeria seconda solo a quella di Calderoli, una sorta di zio per il Renzino: anche lui ha infatti messo in risalto i pericoli che il giovane correrebbe poiché “dovrà affrontare la campagna elettorale e ottenere le preferenze sufficienti”, per poi aggiungere, senza minimamente arrossire, si tratta di “un atto di coraggio di fronte al quale mi tolgo tanto di cappello”.
Oltre alle numerose comparsate al fianco del padre, del giovane Bossi non si ricorda nulla di più, se non le pessime figure rimediate in ambito scolastico. La tesina su Cattaneo, che il fratello Riccardo poco simpaticamente attribuì ad alcuni deputati, non gli bastò per essere promosso agli esami di Stato ed il padre Umberto ne approfittò per prendersela con gli insegnanti meridionali che si sarebbero voluti vendicare di lui. Poi però venne respinto di nuovo, questa volta dai preti, ed il Bossi non se la sentì di dichiarare guerra al Vaticano. Dopo di che il giovine si dedicò tutto alla nazionale di calcio della Padania della quale si ricordano memorabili imprese.
Ora, il salto di qualità in Regione, con la speranza che almeno questa volta i suoi esaminatori siano clementi e non lo boccino di nuovo.
Ma che c’entra la trota? Per comprendere il termine occorre riandare a qualche tempo fa, allorché il Senatur aveva preso l’abitudine di farsi accompagnare dal pargolo in ogni occasione importante, tenendoselo accanto sul palco dei comizi, nelle riunioni importanti e perfino in occasione della rituale cerimonia della raccolta dell’acqua alle sorgenti del Po. Era il chiaro segnale che l’Umberto aveva scelto il figlio Renzo quale successore a capo della Lega, proclamandolo di fatto suo delfino, salvo poi ripensarci allorché cominciarono ad arrivargli dalla base messaggi non proprio incoraggianti, tanto che se ne scappò con la famosa frase che al momento più che ad un delfino il “bimbo” assomigliava ad una trota, per cui doveva ancora crescere. Da qui il nomignolo che gli è rimasto attaccato addosso.
Ma se come successore dell’augusto genitore la strada gli è stata sbarrata, occorreva comunque trovare anche a lui una buona sistemazione, migliore se possibile di quella rimediata per il figlio più grande, Riccardo, piazzato a Bruxelles, con un buon stipendio, quale assistente di Speroni. Insomma, anche l’integerrimo leader leghista ha un cuore da genitore, non insensibile perciò al richiamo del sangue, per cui non ha esitato ad issare la bandiera con su scritto “tengo famiglia”, quella stessa bandiera che era stata sventolata in passato da altri politici italiani.
Da qui la pensata di fargli posto come candidato a Brescia, liberandolo dalla presenza imbarazzante della “titolare” del ruolo, Monica Rizzo, che è stata comunque tacitata piazzandola nel “listino” bloccato del governatore Formigoni. Governatore che con una buona dose di piaggeria ha addirittura definito la mossa “Lo sbiadirsi del familismo”, e non mettetevi a ridere per la spiegazione che ha dato al riguardo: “E’ la democrazia, ora dovrà cercarsi le preferenze”. Piaggeria seconda solo a quella di Calderoli, una sorta di zio per il Renzino: anche lui ha infatti messo in risalto i pericoli che il giovane correrebbe poiché “dovrà affrontare la campagna elettorale e ottenere le preferenze sufficienti”, per poi aggiungere, senza minimamente arrossire, si tratta di “un atto di coraggio di fronte al quale mi tolgo tanto di cappello”.
Oltre alle numerose comparsate al fianco del padre, del giovane Bossi non si ricorda nulla di più, se non le pessime figure rimediate in ambito scolastico. La tesina su Cattaneo, che il fratello Riccardo poco simpaticamente attribuì ad alcuni deputati, non gli bastò per essere promosso agli esami di Stato ed il padre Umberto ne approfittò per prendersela con gli insegnanti meridionali che si sarebbero voluti vendicare di lui. Poi però venne respinto di nuovo, questa volta dai preti, ed il Bossi non se la sentì di dichiarare guerra al Vaticano. Dopo di che il giovine si dedicò tutto alla nazionale di calcio della Padania della quale si ricordano memorabili imprese.
Ora, il salto di qualità in Regione, con la speranza che almeno questa volta i suoi esaminatori siano clementi e non lo boccino di nuovo.
di Eugenio Pierucci
da www.umbrialeft.it
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