Ci sono momenti in cui il noi deve
cedere il posto all’io.
Parlo perciò di me, di quello che posso fare, che reputo abbia ancora senso fare, e dunque, in certo qual modo, di ciò che vorrei effettivamente fare. Scelgo così in partenza di non aggiungermi alla schiera numerosa di coloro che continueranno a parlare in prima persona plurale, magari dicendo ora ciò che avremmo dovuto fare ieri (e può essere pure che si tratti di opinioni davvero espresse a tempo debito, ma la cosa è del tutto insignificante nell’attuale contesto di macerie), ovvero che insisteranno a muoversi sul presupposto che questo nostro soggetto politico collettivo - Partito della Rifondazione Comunista o Rivoluzione Civile, tanto l’essenziale non cambia - possa continuare ad esistere anche dopo l’ennesima, brutale sconfitta elettorale, a beneficio delle prossime amministrative, delle prossime europee, o di un possibile voto politico anticipato dopo il quadro uscito dalle urne (certamente complicato, ma non impossibile da governare).
Il fatto è che ci sono sconfitte e sconfitte. Questa del febbraio 2013, terribilmente impietosa nei numeri, arriva dopo quella delle politiche del 2008, dopo quella delle europee del 2009, dopo quella delle regionali del 2010; e arriva, inoltre, dopo la pesantissima scissione del 2009 da parte dei compagni di “Sinistra, ecologia e libertà”, e dopo il vero e proprio stillicidio di abbandoni che ci ha accompagnato in questi anni, e dopo il fallimento plateale del tentativo di “federare” la sinistra. Una sconfitta pesantissima come quella di oggi, che ci colpisce dopo tutte queste vicende, sancisce anche - e lo sancisce, a mio avviso, con solare evidenza, per tutta una fase di medio periodo - che davvero non esistono condizioni praticabili per un soggetto politico anticapitalista con connotati di massa. O, almeno, non esistono in Italia.
Cosa proverò a fare allora?
Anzitutto proverò ad elaborare il senso di questa perdita. Il che significa, tra l’altro, sottrarsi senza rimpianti alla discussione sulle “ragioni specifiche” del disastro di oggi. Non ritengo, infatti, che noi abbiamo perso perché abbiamo sbagliato la tattica, o le parole d'ordine, o le persone da candidare, o perché siamo stati poco attivi. Può essere senz’altro che ci siano stati tutti questi errori, e anche molti altri, o che l'impegno sia stato al di sotto delle necessità; ma, dal mio punto di vista, non cambia per nulla la sostanza. E l’essenziale della vicenda è che la nostra specifica esperienza politico-organizzativa è venuta progressivamente e realmente consumandosi.
D’altronde, questo giudizio è stato largamente e implicitamente condiviso, tanto che abbiamo scelto di dar vita al raggruppamento di Rivoluzione civile, consapevoli della nostra assoluta insufficienza.
Il punto è che se una cosa, anche una determinata formazione politica, è poi realmente consumata, non serve neppure metterla assieme ad altri soggetti organizzati, peraltro anch’essi tutti più o meno inutilizzabili e “vecchi dentro”, pure quando s’affaticano a sembrare innovativi (come gli “arancioni” o “cambiare si può”). Le cose che hanno fatto il loro tempo non possono produrre dinamiche vitali.
Noi eravamo già consumati prima di queste elezioni e non ce ne siamo accorti, o non abbiamo voluto ammetterlo. Occorre adesso - e lo dico per me, ma forse anche per molti “come me” - provare a recuperare l'esercizio del silenzio e dell'umiltà. L'elaborazione di una perdita importante ha almeno questo di buono: che ci costringe a vedere, senza orpelli e senza veli, ciò che davvero siamo...
Detto questo, io vorrei provare a fare, se ne avrò la forza e se ci saranno le condizioni, le seguenti tre cose:
Parlo perciò di me, di quello che posso fare, che reputo abbia ancora senso fare, e dunque, in certo qual modo, di ciò che vorrei effettivamente fare. Scelgo così in partenza di non aggiungermi alla schiera numerosa di coloro che continueranno a parlare in prima persona plurale, magari dicendo ora ciò che avremmo dovuto fare ieri (e può essere pure che si tratti di opinioni davvero espresse a tempo debito, ma la cosa è del tutto insignificante nell’attuale contesto di macerie), ovvero che insisteranno a muoversi sul presupposto che questo nostro soggetto politico collettivo - Partito della Rifondazione Comunista o Rivoluzione Civile, tanto l’essenziale non cambia - possa continuare ad esistere anche dopo l’ennesima, brutale sconfitta elettorale, a beneficio delle prossime amministrative, delle prossime europee, o di un possibile voto politico anticipato dopo il quadro uscito dalle urne (certamente complicato, ma non impossibile da governare).
Il fatto è che ci sono sconfitte e sconfitte. Questa del febbraio 2013, terribilmente impietosa nei numeri, arriva dopo quella delle politiche del 2008, dopo quella delle europee del 2009, dopo quella delle regionali del 2010; e arriva, inoltre, dopo la pesantissima scissione del 2009 da parte dei compagni di “Sinistra, ecologia e libertà”, e dopo il vero e proprio stillicidio di abbandoni che ci ha accompagnato in questi anni, e dopo il fallimento plateale del tentativo di “federare” la sinistra. Una sconfitta pesantissima come quella di oggi, che ci colpisce dopo tutte queste vicende, sancisce anche - e lo sancisce, a mio avviso, con solare evidenza, per tutta una fase di medio periodo - che davvero non esistono condizioni praticabili per un soggetto politico anticapitalista con connotati di massa. O, almeno, non esistono in Italia.
Cosa proverò a fare allora?
Anzitutto proverò ad elaborare il senso di questa perdita. Il che significa, tra l’altro, sottrarsi senza rimpianti alla discussione sulle “ragioni specifiche” del disastro di oggi. Non ritengo, infatti, che noi abbiamo perso perché abbiamo sbagliato la tattica, o le parole d'ordine, o le persone da candidare, o perché siamo stati poco attivi. Può essere senz’altro che ci siano stati tutti questi errori, e anche molti altri, o che l'impegno sia stato al di sotto delle necessità; ma, dal mio punto di vista, non cambia per nulla la sostanza. E l’essenziale della vicenda è che la nostra specifica esperienza politico-organizzativa è venuta progressivamente e realmente consumandosi.
D’altronde, questo giudizio è stato largamente e implicitamente condiviso, tanto che abbiamo scelto di dar vita al raggruppamento di Rivoluzione civile, consapevoli della nostra assoluta insufficienza.
Il punto è che se una cosa, anche una determinata formazione politica, è poi realmente consumata, non serve neppure metterla assieme ad altri soggetti organizzati, peraltro anch’essi tutti più o meno inutilizzabili e “vecchi dentro”, pure quando s’affaticano a sembrare innovativi (come gli “arancioni” o “cambiare si può”). Le cose che hanno fatto il loro tempo non possono produrre dinamiche vitali.
Noi eravamo già consumati prima di queste elezioni e non ce ne siamo accorti, o non abbiamo voluto ammetterlo. Occorre adesso - e lo dico per me, ma forse anche per molti “come me” - provare a recuperare l'esercizio del silenzio e dell'umiltà. L'elaborazione di una perdita importante ha almeno questo di buono: che ci costringe a vedere, senza orpelli e senza veli, ciò che davvero siamo...
Detto questo, io vorrei provare a fare, se ne avrò la forza e se ci saranno le condizioni, le seguenti tre cose:
-Partecipare, in modo pacato e assolutamente “non stressante”, alla
ineludibile discussione sul compiersi del destino del Partito di cui faccio
parte, per dare una mano a consegnare, nel miglior modo possibile, l’insieme di
questa esperienza alla storia. Penso sia un dovere morale portare a conclusione
tutti assieme, con stile e dignità, quello che è stato indubbiamente un
tentativo di grande generosità, attraversato da momenti coinvolgenti e
addirittura esaltanti, e che tuttavia ha già dato tutto quello che poteva dare;
e che non ha più alcuna possibilità storica, per una fase più o meno lunga, di
far valere le sue ragioni costitutive, ovvero di vivere come polo autonomo anticapitalista
con connotati di massa. Lo dico con grande tristezza, ma anche con
tutta la chiarezza necessaria. Slogan del tipo “rifondare Rifondazione” o “rilanciare
Rivoluzione civile”, o cose analoghe, oggi avrei serie difficoltà, non dico a
condividerli, ma anche semplicemente a capirli…
-La seconda cosa che vorrei provare a fare è di dar vita, assieme ad
altri, a un luogo di riflessione teorica che metta a tema il capitalismo e le
sue contraddizioni, e che contribuisca a ricostruire un'idea del comunismo
all'altezza di questi tempi così complessi, ma anche così pieni di nuove
possibilità per gli esseri umani. Una rivista? Una struttura stabile di lavoro
seminariale? Non so bene cosa sia più opportuno e davvero possibile…
-La terza cosa che vorrei provare a fare è quella di agire insieme alle
compagne e ai compagni con i quali ho più immediata consuetudine di discussione
e facilità di relazioni (se non altro, per condivisione di territorio o di
ambito di lavoro). Vorrei contribuire a mantenere aperta - in forme associative
e non partitiche, con una modalità agile e senza appesantimenti formali - una
iniziativa concertata di resistenza sull'insieme dei diritti di cittadinanza
umana, dal lavoro all'ambiente, dai servizi di cura al sapere critico, dalla
denuncia dell'ingiustizia e del malaffare alle battaglie generali sui temi
della pace, del disarmo e della fratellanza tra i popoli. Immagino un reticolo
associativo aperto alla collaborazione paritaria di tutte le esperienze
similari, che scelga il piano dell'azione territoriale, dotandosi degli
strumenti di comunicazione più appropriati, e che metta da parte, per tutta una
fase (che io ritengo di medio periodo), le forzature di tipo partitico ed
elettorale…