La polemica tra la pm Boccassini e l'ex pm Ingroia
porta a galla le inquietudini del passato e del futuro. L'eliminazione
delle dissonanze dalle esigenze della governance non fa sconti a
nessuno.
Che il personaggio fosse ingombrante per molti era prevedibile. Che la governance che l'Unione Europea pretende per l'Italia non preveda alcuna dissonanza, anche.
L'ex pm palermitano Antonio Ingroia, entrando in politica (sui mass media l'unico a cui è consentito “salire” in politica è Mario Monti) forse era consapevole, forse meno, che la sua sarebbe stata una operazione difficile. Su di lui incombono gli strascichi di quanto avvenuto nei tribunali siciliani dagli anni Novanta a oggi, ma soprattutto il non aver chinato la testa davanti a Re Napolitano quando l'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia ha lambito il Quirinale.
La lesa maestà è un fatto imperdonabile, al punto che la stessa Magistratura Democratica - espressione minoritaria della magistratura progressista che solo Berlusconi vede come maggioritaria – alcuni mesi fa mise sotto accusa Ingroia per protagonismo, invece di sostenerlo. Era sembrato, allora, un ordine di scuderia incentivato dal solito Violante, per fare terra bruciata intorno ad un giovane magistrato che stava pattinando sul ghiaccio sottile tra ragion di stato e corso della giustizia.
Gli strali della dott.ssa Boccassini contro Ingroia sono arrivati in modo imprevedibile e inopportuno ma non sorprendente. L'enfasi delle sue dichiarazioni sui mass media (dal Sole 24 Ore all'Unità) ne indica quanto siano state benvenute in tutti i competitori elettorali. Come lo erano state, in qualche modo, anche le battute di Crozza.
C'è del pregresso, evidentemente, nella visione personale e “politica” con cui i magistrati hanno affrontato le vicende politico-giudiziarie nella storia recente del paese. Qualcuno rammenterà la “guerra” che l'ex magistrato Casson (entrato in politica) fece al giudice Salvini, che aveva riaperto le indagini sulla strage di Piazza Fontana, arrivando alla conclusione che quella su “Gladio” fosse una falsa pista. I fatti hanno dato ragione a Salvini, ma la “politica” no.
La decisione di Ingroia di candidarsi come leader di una lista indipendente dal centro-sinistra, ha aggiunto un altro peso alla bilancia che intende schiacciarlo. Il problema non sono i magistrati “in politica” (il parlamento ed anche le liste di queste elezioni ne sono pieni), il problema è il “come e dove” ti collochi.
Abbiamo già scritto di quanto riteniamo deviante l'applicazione della categoria di società civile ai magistrati che entrano in politica, anzi addirittura contro la “politica”. I magistrati, in quanto uomini dell'apparato statale, sono parte integrante della classe dirigente. La società civile, semmai, si riferisce a coloro che ne vivono al di fuori: i lavoratori, le impiegate, gli studenti, le casalinghe, i pensionati, le insegnanti e le bidelle sono società civile, i magistrati no.
L'antiberlusconismo e per molti aspetti anche l'antimafia (come direbbe Sciascia) sono state anche occasioni per far carriera e per guadagnarsi visibilità. Guai però a uscire dallo spazio ben delimitato della testimonianza etica, dell'impegno civile e professionale, dalla legalità di principio. La mafia, la camorra, o'sistema, il narcotraffico, l'evasione fiscale, il conflitto di interessi sono temi che vanno agitati davanti agli occhi dell'opinione pubblica ma non vanno mai dettagliati. Uscire da questo spazio significa passare dalla retorica all'azione, colpire interessi definiti, e l'intreccio tra il malaffare e il business rispettabile, tra la ragion di stato e la mafia, è un confine sottile quanto il ghiaccio su cui sta pattinando Antonio Ingroia.
A far aprire il fuoco contro Ingroia non è stato, dunque, solo l'atteggiamento irriverente sulle connessioni nella trattativa tra Stato e mafia negli anni Novanta. E' stata la scelta di essere leader di una lista che può indebolire elettoralmente uno dei poli candidati alla governance del paese: quello della coalizione Pd/Sel che dovrà accordarsi con Monti subito dopo le elezioni. La colpa di Ingroia è stata soprattutto la scelta di farlo in una fase storica e in una campagna elettorale i cui risultati sono stati stabiliti ancora prima di cominciarla... ce lo chiede l'Europa (sic!).
Che il personaggio fosse ingombrante per molti era prevedibile. Che la governance che l'Unione Europea pretende per l'Italia non preveda alcuna dissonanza, anche.
L'ex pm palermitano Antonio Ingroia, entrando in politica (sui mass media l'unico a cui è consentito “salire” in politica è Mario Monti) forse era consapevole, forse meno, che la sua sarebbe stata una operazione difficile. Su di lui incombono gli strascichi di quanto avvenuto nei tribunali siciliani dagli anni Novanta a oggi, ma soprattutto il non aver chinato la testa davanti a Re Napolitano quando l'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia ha lambito il Quirinale.
La lesa maestà è un fatto imperdonabile, al punto che la stessa Magistratura Democratica - espressione minoritaria della magistratura progressista che solo Berlusconi vede come maggioritaria – alcuni mesi fa mise sotto accusa Ingroia per protagonismo, invece di sostenerlo. Era sembrato, allora, un ordine di scuderia incentivato dal solito Violante, per fare terra bruciata intorno ad un giovane magistrato che stava pattinando sul ghiaccio sottile tra ragion di stato e corso della giustizia.
Gli strali della dott.ssa Boccassini contro Ingroia sono arrivati in modo imprevedibile e inopportuno ma non sorprendente. L'enfasi delle sue dichiarazioni sui mass media (dal Sole 24 Ore all'Unità) ne indica quanto siano state benvenute in tutti i competitori elettorali. Come lo erano state, in qualche modo, anche le battute di Crozza.
C'è del pregresso, evidentemente, nella visione personale e “politica” con cui i magistrati hanno affrontato le vicende politico-giudiziarie nella storia recente del paese. Qualcuno rammenterà la “guerra” che l'ex magistrato Casson (entrato in politica) fece al giudice Salvini, che aveva riaperto le indagini sulla strage di Piazza Fontana, arrivando alla conclusione che quella su “Gladio” fosse una falsa pista. I fatti hanno dato ragione a Salvini, ma la “politica” no.
La decisione di Ingroia di candidarsi come leader di una lista indipendente dal centro-sinistra, ha aggiunto un altro peso alla bilancia che intende schiacciarlo. Il problema non sono i magistrati “in politica” (il parlamento ed anche le liste di queste elezioni ne sono pieni), il problema è il “come e dove” ti collochi.
Abbiamo già scritto di quanto riteniamo deviante l'applicazione della categoria di società civile ai magistrati che entrano in politica, anzi addirittura contro la “politica”. I magistrati, in quanto uomini dell'apparato statale, sono parte integrante della classe dirigente. La società civile, semmai, si riferisce a coloro che ne vivono al di fuori: i lavoratori, le impiegate, gli studenti, le casalinghe, i pensionati, le insegnanti e le bidelle sono società civile, i magistrati no.
L'antiberlusconismo e per molti aspetti anche l'antimafia (come direbbe Sciascia) sono state anche occasioni per far carriera e per guadagnarsi visibilità. Guai però a uscire dallo spazio ben delimitato della testimonianza etica, dell'impegno civile e professionale, dalla legalità di principio. La mafia, la camorra, o'sistema, il narcotraffico, l'evasione fiscale, il conflitto di interessi sono temi che vanno agitati davanti agli occhi dell'opinione pubblica ma non vanno mai dettagliati. Uscire da questo spazio significa passare dalla retorica all'azione, colpire interessi definiti, e l'intreccio tra il malaffare e il business rispettabile, tra la ragion di stato e la mafia, è un confine sottile quanto il ghiaccio su cui sta pattinando Antonio Ingroia.
A far aprire il fuoco contro Ingroia non è stato, dunque, solo l'atteggiamento irriverente sulle connessioni nella trattativa tra Stato e mafia negli anni Novanta. E' stata la scelta di essere leader di una lista che può indebolire elettoralmente uno dei poli candidati alla governance del paese: quello della coalizione Pd/Sel che dovrà accordarsi con Monti subito dopo le elezioni. La colpa di Ingroia è stata soprattutto la scelta di farlo in una fase storica e in una campagna elettorale i cui risultati sono stati stabiliti ancora prima di cominciarla... ce lo chiede l'Europa (sic!).
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