domenica 8 settembre 2013

MA CHE VE LO DICO A FARE? da http://orizzonte48.blogspot.it





Sentite anche voi questa stanchezza?
Avvertite la sensazione che la strada sia "troppo" in salita per giungere ad una svolta da cui si veda un panorama finalmente aperto e almeno non asfittico?
Il fatto è che pare ci siano riusciti: decenni spesi dai media a battere ossessivamente sulle parole d'ordine colpevolizzatrici, hanno indotto gli italiani a conformarsi e ad auto-percepirsi proprio in quei termini.
Così, nessuno più dubita, pur con qualche sfumatura e diversa miscelatura, che "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità", che siamo "familisti amorali", che siamo un popolo che, più di altri, vive di evasione e corruzione, che "non abbiamo il senso dello Stato", che, in una locuzione riassuntiva, possiamo essere disciplinati solo con un "vincolo esterno".
L'effetto della interiorizzazione di massa di questi messaggi manipolativi (ripetuti esattamente come in un film distopico di Terry Gillian), non è solo la svalutazione del senso individuale del proprio "valore", intaccato dal solo fatto di essere italiano (in quanto tale, sei intrinsecamente "unfit" e devi "rieducarti"), ma la dilagante sfiducia "nell'altro".
Se tutti sono colpevoli di "asocialità", di indisciplina "etica" che sconfina in forme diffuse di "illegalità", se tutti sono parassiti che hanno vissuto alle spalle della "spesapubblicaimproduttiva", non c'è più limite al "non credere negli altri".
Al sentirsi legittimati nel NON avvertire alcun senso di solidarietà, che non sia esclusivamente diretta verso astratte categorie del politically correct mediaticamente imposto (l'orchestrazione dei diritti cosmetici), al nutrire una diffidenza verso ogni sforzo congiunto, vanificato in partenza dall'aspettativa di un tradimento che si annida in una modo di essere che inesorabilmente ci addita come incapaci.
"Gli altri" (italiani): sono incapaci di solidarietà, di correttezza, di rispetto delle regole.
E questo legittima sia il nostro non adeguarci alle regole, sia il criticare le stesse proprio perchè imposteci dagli "altri": senza scorgere la contraddizione tra l'atteggiamento anarcoide che imputiamo al resto della collettività e quello, altrettanto anarcoide, che riteniamo essere nostro, "speciale", come forma di difesa indispensabile.
Ma entrambi, anarcoidismo accusatorio e individualistico-difensivo, rimangono il frutto di un condizionamento, su cui prosperano gli oligarchi che hanno seminato, mediante un accurato controllo mediatico, il senso di colpa per "l'italianità".
Alla fine dei giochi, non vale neppure "tutti colpevoli, nessun colpevole", ma ci hanno condotto ad una formula distruttiva di autopercezione per cui "tutti colpevoli, IO però non mi senso colpevole, e non parteciperò al "loro" gioco", dando la stura al livore, alla rabbia senza costrutto, indistintamente rivolta all'intero "sistema", di cui non ci sentiamo partecipi, eppure disinteressandoci di comprenderlo veramente: non ne varrebbe la pena, perchè in un groviglio di rivendicazioni fondate su esperienze personali fallimentari, diamo esattamente le spiegazioni che ci vengono imposte dai media.
Per renderci impotenti a reagire collettivamente, tradendo la democrazia. E cioè facendo esattamente il "loro" gioco.
In questa situazione di rifiuto dell'ostacolo - della conoscenza, dello sforzo di consapevolezza guidato dalla fatica nel decodificare la società complessa in cui viviamo-, si preferiscono le formule semplificatorie "preconfezionate": la globalizzazione, la finanza cattiva, il debito pubblico che brucia le future generazioni, l'esaurimento delle risorse ambientali e, magari, il decrescismo. Ma, in tal modo, un'intera collettività nazionale è votata al lento autodissolvimento, senza poter realisticamente reagire.
Al limite mi leggo "La Repubblica" e mi sento aggiornato e informato. Leggo il FQ e mi sento "indignato".



Ma l'opinione pubblica è sideralmente lontana dallo scorgere che tutto si riduce alla forma più "astuta" di sedazione del tradizionale e banale "conflitto sociale": le ultime generazioni non sanno "perchè" si sia verificato tutto questo, non vogliono neppure sapere come si sono irresistibilmente trovate a non poter riprodurre neppure lontanamente il benessere dei padri e dei nonni.

Anzi, le massime istituzioni italiane ed europee, alimentano l'equivoco del conflitto generazionale, riscuotendo persino approvazione quando fingono di preoccuparsi dei "giovani", dell'alto tasso di disoccupazione giovanile e della necessità degli investimenti (invariabilmente attirando gli "investitori esteri"), alternativi alla spesa pubblica improduttiva che avrebbe arricchito "a debito", schiere di parassiti che, invece, sono stati essenzialmente lavoratori che hanno fruito della dignità e della tutela dei diritti che un'altra stagione di legalità costituzionale, ormai tramontata, gli aveva consentito.
Il richiamo al conflitto generazionale, dissimula potentemente la realtà della manovra delle oligarchie (chi parla del debito che pesa sulle generazioni future lo fa spesso dall'alto dello yacht, dello stipendio di a.d. bancario che dispone, premiato da stock option, il "piano degli esuberi): un consenso abilmente raggiunto, consente di ridisegnare la società in modo che sia tolto ai "vecchi" ciò che la legalità costituzionale gli aveva doverosamente attribuito, revocando l'impegno delle istituzioni sancito dalla Carta e autorizzandole ai più odiosi espropri retroattivi di diritti e risparmi (dalle pensioni al diritto all'abitazione, alla stabilità del posto, fino all'intero apparato del salario sociale, fatto di sanità, istruzione e investimenti pubblici, anzi della spesa pubblica di ogni tipo, che sosteneva l'occupazione, sottraendo i più deboli alle inestinguibii aspirazioni di rivincita del "capitalismo sfrenato").
Ma quando, col fiscal compact, l'euro stesso, che del fiscal compact è la prefigurazione inevitabile, avranno tolto ai "vecchi", nulla verrà restituito alle nuove generazioni. Si sarà solo affermato il paradigma liberista della competitività, che, a sua volta, giustificherà ogni forma di emergenza, ogni nuovo ricatto occupazionale, a cui svendere la dignità umana.
Ora, ovviamente, da questo discorso, escludo chi segue questo blog. Il che pone l'interrogativo, logico-consequenziale: ma che ve lo dico a fare?
E' proprio questo il problema.

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