Sentite anche voi
questa stanchezza?
Avvertite la
sensazione che la strada sia "troppo" in salita per giungere ad una
svolta da cui si veda un panorama finalmente aperto e almeno non asfittico?
Il fatto è che pare ci
siano riusciti: decenni spesi dai media a battere ossessivamente sulle parole
d'ordine colpevolizzatrici, hanno indotto gli italiani a conformarsi e ad
auto-percepirsi proprio in quei termini.
Così, nessuno più
dubita, pur con qualche sfumatura e diversa miscelatura, che "abbiamo
vissuto al di sopra delle nostre possibilità", che siamo "familisti
amorali", che siamo un popolo che, più di altri, vive di evasione e
corruzione, che "non abbiamo il senso dello Stato", che,
in una locuzione riassuntiva, possiamo essere disciplinati solo con un
"vincolo esterno".
L'effetto della
interiorizzazione di massa di questi messaggi manipolativi (ripetuti
esattamente come in un film distopico di Terry Gillian), non è solo la
svalutazione del senso individuale del proprio "valore", intaccato
dal solo fatto di essere italiano (in quanto tale, sei intrinsecamente
"unfit" e devi "rieducarti"), ma la dilagante sfiducia
"nell'altro".
Se tutti sono
colpevoli di "asocialità", di indisciplina "etica" che
sconfina in forme diffuse di "illegalità", se tutti sono parassiti
che hanno vissuto alle spalle della "spesapubblicaimproduttiva", non
c'è più limite al "non credere negli altri".
Al sentirsi
legittimati nel NON avvertire alcun senso di solidarietà, che non sia
esclusivamente diretta verso astratte categorie del politically correct
mediaticamente imposto (l'orchestrazione dei diritti cosmetici), al nutrire una
diffidenza verso ogni sforzo congiunto, vanificato in partenza dall'aspettativa
di un tradimento che si annida in una modo di essere che inesorabilmente ci
addita come incapaci.
"Gli altri"
(italiani): sono incapaci di solidarietà, di correttezza, di rispetto delle
regole.
E questo legittima sia il nostro non adeguarci alle regole, sia il criticare le stesse proprio perchè imposteci dagli "altri": senza scorgere la contraddizione tra l'atteggiamento anarcoide che imputiamo al resto della collettività e quello, altrettanto anarcoide, che riteniamo essere nostro, "speciale", come forma di difesa indispensabile.
E questo legittima sia il nostro non adeguarci alle regole, sia il criticare le stesse proprio perchè imposteci dagli "altri": senza scorgere la contraddizione tra l'atteggiamento anarcoide che imputiamo al resto della collettività e quello, altrettanto anarcoide, che riteniamo essere nostro, "speciale", come forma di difesa indispensabile.
Ma entrambi,
anarcoidismo accusatorio e individualistico-difensivo, rimangono il frutto di
un condizionamento, su cui prosperano gli oligarchi che hanno seminato,
mediante un accurato controllo mediatico, il senso di colpa per
"l'italianità".
Alla fine dei giochi,
non vale neppure "tutti colpevoli, nessun colpevole", ma ci
hanno condotto ad una formula distruttiva di autopercezione per cui
"tutti colpevoli, IO però non mi senso colpevole, e non parteciperò al
"loro" gioco", dando la stura al livore, alla rabbia senza
costrutto, indistintamente rivolta all'intero "sistema", di
cui non ci sentiamo partecipi, eppure disinteressandoci di comprenderlo
veramente: non ne varrebbe la pena, perchè in un groviglio di
rivendicazioni fondate su esperienze personali fallimentari, diamo esattamente le
spiegazioni che ci vengono imposte dai media.
Per renderci impotenti
a reagire collettivamente, tradendo la democrazia. E cioè facendo esattamente
il "loro" gioco.
In questa situazione
di rifiuto dell'ostacolo - della conoscenza, dello sforzo di consapevolezza
guidato dalla fatica nel decodificare la società complessa in cui viviamo-, si
preferiscono le formule semplificatorie "preconfezionate": la
globalizzazione, la finanza cattiva, il debito pubblico che brucia le future
generazioni, l'esaurimento delle risorse ambientali e, magari, il decrescismo.
Ma, in tal modo, un'intera collettività nazionale è votata al lento
autodissolvimento, senza poter realisticamente reagire.
Al limite mi leggo
"La Repubblica" e mi sento aggiornato e informato. Leggo il FQ e mi
sento "indignato".
Ma l'opinione pubblica è sideralmente lontana dallo scorgere che tutto si
riduce alla forma più "astuta" di sedazione del tradizionale e
banale "conflitto sociale": le ultime generazioni non sanno
"perchè" si sia verificato tutto questo, non vogliono neppure sapere
come si sono irresistibilmente trovate a non poter riprodurre neppure
lontanamente il benessere dei padri e dei nonni.
Anzi, le massime istituzioni italiane ed europee, alimentano l'equivoco del conflitto generazionale, riscuotendo persino approvazione quando fingono di preoccuparsi dei "giovani", dell'alto tasso di disoccupazione giovanile e della necessità degli investimenti (invariabilmente attirando gli "investitori esteri"), alternativi alla spesa pubblica improduttiva che avrebbe arricchito "a debito", schiere di parassiti che, invece, sono stati essenzialmente lavoratori che hanno fruito della dignità e della tutela dei diritti che un'altra stagione di legalità costituzionale, ormai tramontata, gli aveva consentito.
Anzi, le massime istituzioni italiane ed europee, alimentano l'equivoco del conflitto generazionale, riscuotendo persino approvazione quando fingono di preoccuparsi dei "giovani", dell'alto tasso di disoccupazione giovanile e della necessità degli investimenti (invariabilmente attirando gli "investitori esteri"), alternativi alla spesa pubblica improduttiva che avrebbe arricchito "a debito", schiere di parassiti che, invece, sono stati essenzialmente lavoratori che hanno fruito della dignità e della tutela dei diritti che un'altra stagione di legalità costituzionale, ormai tramontata, gli aveva consentito.
Il richiamo al
conflitto generazionale, dissimula potentemente la realtà della manovra delle
oligarchie (chi parla del debito che pesa sulle generazioni future lo fa spesso
dall'alto dello yacht, dello stipendio di a.d. bancario che dispone, premiato
da stock option, il "piano degli esuberi): un consenso abilmente
raggiunto, consente di ridisegnare la società in modo che sia tolto ai
"vecchi" ciò che la legalità costituzionale gli aveva doverosamente
attribuito, revocando l'impegno delle istituzioni sancito dalla Carta e
autorizzandole ai più odiosi espropri retroattivi di diritti e risparmi (dalle
pensioni al diritto all'abitazione, alla stabilità del posto, fino all'intero
apparato del salario sociale, fatto di sanità, istruzione e investimenti
pubblici, anzi della spesa pubblica di ogni tipo, che sosteneva l'occupazione,
sottraendo i più deboli alle inestinguibii aspirazioni di rivincita del
"capitalismo sfrenato").
Ma quando, col fiscal
compact, l'euro stesso, che del fiscal compact è la prefigurazione inevitabile,
avranno tolto ai "vecchi", nulla verrà restituito alle nuove
generazioni. Si sarà solo affermato il paradigma liberista della
competitività, che, a sua volta, giustificherà ogni forma di emergenza, ogni
nuovo ricatto occupazionale, a cui svendere la dignità umana.
Ora, ovviamente, da
questo discorso, escludo chi segue questo blog. Il che pone l'interrogativo,
logico-consequenziale: ma che ve lo dico a fare?
E' proprio questo il
problema.
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