Come
sempre accade in queste occasioni la tornata elettorale regionale di
domenica 31 Maggio ha assunto un valore politico generale e come tale va
considerata in sede di analisi dei dati.
In questo senso la valutazione più coerente e indicativa deve essere eseguita attraverso le cifre assolute e non certo nella guisa di risultato calcistico, come sta cercando di fare la segreteria del PD ragionando esclusivamente nella logica della detenzione del potere o lavorando sulle percentuali che mai come in questi casi risultano fallaci e illusorie.
Sono state prese in considerazione le 7 regioni in cui si è votato per l’elezione di Presidente e Consigli (Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Umbria, Campania, Puglia) e il raffronto è stato eseguito, in questa prima occasione in attesa di poter procedere ad accertamenti più approfonditi, tenuto conto dell’elevata volatilità elettorale e della necessità di offrire un primo quadro d’insieme di valore politico, con le elezioni europee del 2014.
Il dato più eclatante riguarda, ancora una volta, il “non voto” in ulteriore crescita (il raffronto con le europee 2014 in questo caso s’impone anche per via dell’omologa durata nell’apertura dei seggi).
Il “non voto” complessivamente inteso (assenza dalle urne, schede bianche e schede nulle) è risultato rappresentare la maggioranza assoluta dell’elettorato.
I voti validi (sono stati considerati il totale dei voti destinati a candidati Presidenti) sono stati 9.293.140 su 18.849.077 elettrici ed elettori iscritti nelle liste: una percentuale del 49,30%.
Ne consegue che il 50,70% non ha espresso alcun suffragio: in totale 9.555.937 elettrici ed elettori.
Una crescita di 980.349 unità pari al 6,40%.
Il prof. D’Alimonte, ispiratore dell’Italikum e teorico dell’indifferenza alla partecipazione al voto aveva comunque segnalato che un’assenza al di sopra del 50% avrebbe comunque un segnale di rottura del sistema: dunque ci siamo mettendo assieme, non tanto l’indifferenza alla politica come scrive questa mattina il Corriere della Sera, ma il micidiale combinato disposto tra lo spettacolo di una classe politica di basso livello, la corruzione dilagante, l’impopolarità dell’istituto regionale, la protesta per le peggiorate condizioni di vita complessive, l’assenza di alternative credibili di fronte a quella che pareva la “resistibile ascesa” del partito unico renziano, che invece si è arrestata.
La situazione della democrazia italiana è di forte difficoltà , in particolare dopo l’approvazione della nuova legge elettorale e l’elemento della sfiducia (non dell’indifferenza) può minarne rapidamente le basi, fino ad arrivare a seri rischi per la sua tenuta. Il PD appare sicuramente essere il partito più colpito da questo drammatico stato di cose (non c’erano 80 euro da elargire) ed ha perso in 12 mesi 1.574.132 voti.
Nelle 7 regioni nelle quali si è votato il PD ha, infatti, ottenuto 2.130.490 voti pari al 22,93% sul totale dei voti validi (11,30% sul totale degli elettori: è con questo 11,30% dei voti che Renzi pretenderebbe, al ballottaggio, di avere per sé la maggioranza assoluta della Camera).
A questi voti vanno aggiunti i 560.669 voti (6,02% – 2,97%) ottenuti dalle liste d’appoggio dei candidati Presidenti.
Alle Europee del 2014 il PD ottenne 4.264.691 voti pari al 42,64% (23,15%).
Un calo netto e inequivocabile.
Così come risulta in calo il Movimento 5 Stelle che non è riuscito, per la seconda volta consecutiva, a intercettare l’astensionismo in uscita.
Il M5S ha ottenuto 1.324.292 voti (14,25%, 7,02%) cedendo circa 900.000 voti in 12 mesi. Alle Europee, infatti, il M5S ottenne, nelle 7 regioni prese in esame, 2.211.384 voti (22,11%, 12,00%).
Abbiamo messo assieme, per ragioni di affinità politica complessiva, le liste presentate come Area Popolare, Scelta Civica, UDC (presenti in entrambi gli schieramenti). In questo caso siamo di fronte ad un dato di sostanziale tenuta rispetto al voto dell’NCD alle Europee.
Questo il raffronto: Regionali 2015 529.992 (5,70% -2,81%) Europee 515.077 (5,12% – 2,79%).
Nell’area di centrodestra pesante flessione di Forza Italia scesa a 955.704 (10,28% – 5,07%) dal 1.790.976 (17,90%, 9,72%). Una flessione, quindi, di circa 800.000 voti.
Tenuta per Fratelli d’Italia che scende a 334.663 voti (3,60%, 1,77%): nel 2014 385.540 (3,75%-2,09%).
All’area di centro destra debbono essere attribuiti, almeno per ora, anche i 257.172 voti ottenuti in Puglia dalle liste di Fitto e Schittulli (2,76%, 1,36%).
Diverso il discorso riguardante le liste d’appoggio per i candidati presidenti del centrodestra. Una quota rilevante: 629.641 voti (6,77%, 3,34%) che, però, in gran parte appartengono all’area di pertinenza della Lega Nord in quanto ottenuti dalla lista posta a sostegno di Zaia in Veneto (oltre 400.000 voti).
Così come all’area della Lega Nord debbono essere intestati i 104.757 voti della lista Tosi (1,12%, 0,55%) sempre in Veneto.
La Lega Nord ha così dimostrato di rappresentare l’unica area politica in effettiva espansione con 807.053 voti realizzati usando il proprio simbolo (8,68%. 4,28%) con un guadagno di quasi 300.000 voti rispetto al 2014: 513.801 voti (5,00%, 2,78%).
Un segnale inquietante, considerato anche lo spostamento secco verso l’estrema destra razzista imposto dalla segreteria Salvini: il segnale peggiore di malattia del nostro sistema politico.
A Sinistra sono stati riuniti i voti delle liste che, nel 2014, avevano fatto capo alla Lista Tsipras (compresa SeL) e che, in questa occasione, si sono presentate in ordine sparso a volte in alleanza con il centrosinistra, a volte in autonomia.
Un dato sicuramente corroborato dal dato ottenuto dalle due liste presentate a sostegno della candidatura Pastorino in Liguria: una presentazione che ha rappresentato il vero e proprio punto di osservazione più importante di questa tornata elettorale.
Queste liste della sinistra hanno ottenuto 390.973 voti (4,20%, 2,07%) mentre la lista Tsipras, nelle 7 regioni prese in esame, aveva realizzato nel 2014 310.363 voti (3,02-1,68%).
La questione della soggettività politica della sinistra rimane, comunque, tutta da analizzare e da costruire.
Infine, in alcune situazioni, sono state presentate liste del PSI o di Socialisti Riformisti: in totale 63.533 voti (0,68%, 0,33%).
Fuori da questo quadro sono rimaste piccole liste locali, per le quali il conteggio dei voti risulta del tutto ininfluente.
In conclusione, nell’attesa di un affinamento dell’analisi rivolta anche al piano delle diverse situazioni locali, si può affermare della crescita del “non voto”, del ridimensionamento secco del PD, dell’incapacità del M5S a intercettare la disaffezione, della crescita della Lega Nord grazie all’aggressività del messaggio razzista (il segnale più inquietante che questa tornata), del persistere della crisi di Forza Italia che può comunque pensare all’avvio di un processo di riaggregazione attorno al successo in Liguria, all’assenza, ormai cronica, di soggettività a sinistra: un’assenza di soggettività che, con ogni probabilità , lascia privi di rappresentanza centinaia di migliaia di elettrici e di elettori che non trovano così la possibilità di esprimersi.
In questo senso la valutazione più coerente e indicativa deve essere eseguita attraverso le cifre assolute e non certo nella guisa di risultato calcistico, come sta cercando di fare la segreteria del PD ragionando esclusivamente nella logica della detenzione del potere o lavorando sulle percentuali che mai come in questi casi risultano fallaci e illusorie.
Sono state prese in considerazione le 7 regioni in cui si è votato per l’elezione di Presidente e Consigli (Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Umbria, Campania, Puglia) e il raffronto è stato eseguito, in questa prima occasione in attesa di poter procedere ad accertamenti più approfonditi, tenuto conto dell’elevata volatilità elettorale e della necessità di offrire un primo quadro d’insieme di valore politico, con le elezioni europee del 2014.
Il dato più eclatante riguarda, ancora una volta, il “non voto” in ulteriore crescita (il raffronto con le europee 2014 in questo caso s’impone anche per via dell’omologa durata nell’apertura dei seggi).
Il “non voto” complessivamente inteso (assenza dalle urne, schede bianche e schede nulle) è risultato rappresentare la maggioranza assoluta dell’elettorato.
I voti validi (sono stati considerati il totale dei voti destinati a candidati Presidenti) sono stati 9.293.140 su 18.849.077 elettrici ed elettori iscritti nelle liste: una percentuale del 49,30%.
Ne consegue che il 50,70% non ha espresso alcun suffragio: in totale 9.555.937 elettrici ed elettori.
Una crescita di 980.349 unità pari al 6,40%.
Il prof. D’Alimonte, ispiratore dell’Italikum e teorico dell’indifferenza alla partecipazione al voto aveva comunque segnalato che un’assenza al di sopra del 50% avrebbe comunque un segnale di rottura del sistema: dunque ci siamo mettendo assieme, non tanto l’indifferenza alla politica come scrive questa mattina il Corriere della Sera, ma il micidiale combinato disposto tra lo spettacolo di una classe politica di basso livello, la corruzione dilagante, l’impopolarità dell’istituto regionale, la protesta per le peggiorate condizioni di vita complessive, l’assenza di alternative credibili di fronte a quella che pareva la “resistibile ascesa” del partito unico renziano, che invece si è arrestata.
La situazione della democrazia italiana è di forte difficoltà , in particolare dopo l’approvazione della nuova legge elettorale e l’elemento della sfiducia (non dell’indifferenza) può minarne rapidamente le basi, fino ad arrivare a seri rischi per la sua tenuta. Il PD appare sicuramente essere il partito più colpito da questo drammatico stato di cose (non c’erano 80 euro da elargire) ed ha perso in 12 mesi 1.574.132 voti.
Nelle 7 regioni nelle quali si è votato il PD ha, infatti, ottenuto 2.130.490 voti pari al 22,93% sul totale dei voti validi (11,30% sul totale degli elettori: è con questo 11,30% dei voti che Renzi pretenderebbe, al ballottaggio, di avere per sé la maggioranza assoluta della Camera).
A questi voti vanno aggiunti i 560.669 voti (6,02% – 2,97%) ottenuti dalle liste d’appoggio dei candidati Presidenti.
Alle Europee del 2014 il PD ottenne 4.264.691 voti pari al 42,64% (23,15%).
Un calo netto e inequivocabile.
Così come risulta in calo il Movimento 5 Stelle che non è riuscito, per la seconda volta consecutiva, a intercettare l’astensionismo in uscita.
Il M5S ha ottenuto 1.324.292 voti (14,25%, 7,02%) cedendo circa 900.000 voti in 12 mesi. Alle Europee, infatti, il M5S ottenne, nelle 7 regioni prese in esame, 2.211.384 voti (22,11%, 12,00%).
Abbiamo messo assieme, per ragioni di affinità politica complessiva, le liste presentate come Area Popolare, Scelta Civica, UDC (presenti in entrambi gli schieramenti). In questo caso siamo di fronte ad un dato di sostanziale tenuta rispetto al voto dell’NCD alle Europee.
Questo il raffronto: Regionali 2015 529.992 (5,70% -2,81%) Europee 515.077 (5,12% – 2,79%).
Nell’area di centrodestra pesante flessione di Forza Italia scesa a 955.704 (10,28% – 5,07%) dal 1.790.976 (17,90%, 9,72%). Una flessione, quindi, di circa 800.000 voti.
Tenuta per Fratelli d’Italia che scende a 334.663 voti (3,60%, 1,77%): nel 2014 385.540 (3,75%-2,09%).
All’area di centro destra debbono essere attribuiti, almeno per ora, anche i 257.172 voti ottenuti in Puglia dalle liste di Fitto e Schittulli (2,76%, 1,36%).
Diverso il discorso riguardante le liste d’appoggio per i candidati presidenti del centrodestra. Una quota rilevante: 629.641 voti (6,77%, 3,34%) che, però, in gran parte appartengono all’area di pertinenza della Lega Nord in quanto ottenuti dalla lista posta a sostegno di Zaia in Veneto (oltre 400.000 voti).
Così come all’area della Lega Nord debbono essere intestati i 104.757 voti della lista Tosi (1,12%, 0,55%) sempre in Veneto.
La Lega Nord ha così dimostrato di rappresentare l’unica area politica in effettiva espansione con 807.053 voti realizzati usando il proprio simbolo (8,68%. 4,28%) con un guadagno di quasi 300.000 voti rispetto al 2014: 513.801 voti (5,00%, 2,78%).
Un segnale inquietante, considerato anche lo spostamento secco verso l’estrema destra razzista imposto dalla segreteria Salvini: il segnale peggiore di malattia del nostro sistema politico.
A Sinistra sono stati riuniti i voti delle liste che, nel 2014, avevano fatto capo alla Lista Tsipras (compresa SeL) e che, in questa occasione, si sono presentate in ordine sparso a volte in alleanza con il centrosinistra, a volte in autonomia.
Un dato sicuramente corroborato dal dato ottenuto dalle due liste presentate a sostegno della candidatura Pastorino in Liguria: una presentazione che ha rappresentato il vero e proprio punto di osservazione più importante di questa tornata elettorale.
Queste liste della sinistra hanno ottenuto 390.973 voti (4,20%, 2,07%) mentre la lista Tsipras, nelle 7 regioni prese in esame, aveva realizzato nel 2014 310.363 voti (3,02-1,68%).
La questione della soggettività politica della sinistra rimane, comunque, tutta da analizzare e da costruire.
Infine, in alcune situazioni, sono state presentate liste del PSI o di Socialisti Riformisti: in totale 63.533 voti (0,68%, 0,33%).
Fuori da questo quadro sono rimaste piccole liste locali, per le quali il conteggio dei voti risulta del tutto ininfluente.
In conclusione, nell’attesa di un affinamento dell’analisi rivolta anche al piano delle diverse situazioni locali, si può affermare della crescita del “non voto”, del ridimensionamento secco del PD, dell’incapacità del M5S a intercettare la disaffezione, della crescita della Lega Nord grazie all’aggressività del messaggio razzista (il segnale più inquietante che questa tornata), del persistere della crisi di Forza Italia che può comunque pensare all’avvio di un processo di riaggregazione attorno al successo in Liguria, all’assenza, ormai cronica, di soggettività a sinistra: un’assenza di soggettività che, con ogni probabilità , lascia privi di rappresentanza centinaia di migliaia di elettrici e di elettori che non trovano così la possibilità di esprimersi.
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