domenica 31 ottobre 2010

Garofani maleodoranti

Il vicesindaco di Deruta, Franco Battistelli, afferma che la contestazione per l'intitolazione di una piazza a Bettino Craxi sia frutto di esagerazione e settarismo. Forse Battistelli ha dimenticato cosa ha significato per l'Italia, e per il partito socialista, il craxismo e la partitocrazia. Noi non intendiamo dimenticare
Nei giorni scorsi si è svolta a Roma una “rimpatriata” di ex socialisti. Ma sarebbe meglio dire di ex craxiani perché non è la stessa cosa. C’era quasi tutto il gruppo dirigente del Psi di Bettino: Gianni De Michelis, Giuliano Amato, Rino Formica, Enrico Manca, Claudio Signorile, Giusi La Ganga. Mancavano solo il superbioso Claudio Martelli, lo storico “delfino”, l’unico, come si favoleggiava allora, “ad avere accesso al frigorifero di Bettino”, Fabrizio Cicchitto che assieme alla molto disinvolta Margherita Boniver, è riuscito a riciclarsi alla grande passando dall’altra parte e Ugo Intini, un socialista troppo perbene per trovarsi davvero a suo agio in quella compagnia.
Tema dell’incontro: “Ragionare insieme sui motivi che portarono non solo alla fine del Psi ma anche alla morte della Prima Repubblica”.
Forse avrebbero fatto prima se avessero letto la “lettera aperta” che scrissi a Claudio Martelli, allora vicesegretario del Psi, mio vecchio compagno di banco al liceo Carducci di Milano, sul “Giorno” del 21 gennaio del 1983. Lettera che prendeva spunto da un episodio di ordinaria lottizzazione avvenuto al Teatro dell’Opera di Roma. E se l’avessero letta allora e ascoltato quello che vi si diceva, forse avrebbero evitato la fine ignominiosa che hanno fatto e si sarebbero risparmiati anche la penosa riunione di vecchi “revenant” dell’altro giorno.
Scrivevo in quella lettera dieci anni prima di Mani Pulite: “Possibile che non vi rendiate conto che verso questa intollerabile invadenza (dei partiti, ndr) stanno montando un fastidio e un’insofferenza sempre più grandi ed esasperati? Tu, forse, mi risponderai, come hai fatto in un’altra occasione, che questa insofferenza è ipocrita perché non ci sarebbe lottizzazione se non ci fosse chi è disposto a farsi lottizzare. Ed è vero. Ma è anche vero il contrario: che non ci sarebbero corrotti se non ci fossero i corruttori, così come non ci sarebbero i drogati se non esistessero gli spacciatori. Scusa la crudezza del paragone, ma è che ormai la presenza dei partiti è così omnicomprensiva e totale che anche chi è profondamente estraneo a questo spirito di lottizzazione, di clan e di clientele è costretto, sempre più spesso e suo malgrado, a sottomettersi. Perché senza tessera oggi non si mangia. O quasi. Non si fa carriera, anche la più modesta. Si è destinati a marcire nel corpo di ballo per tutta la vita. ‘Per vivere un po’ bene bisogna vendere l’anima. Non c’è altra via’ dice Ignazio Silone in Vino e pane, scritto in pieno fascismo. Mi pare che siamo ancora lì.È giusto tutto questo? È morale? È democratico? E, soprattutto, è lecito e conforme alla nostra Costituzione e anche, forse, al codice penale? E, al di là di tutto, non è anche pericoloso? Perché chi per vivere deve ‘vendere l’anima’ finisce, a causa del disprezzo che prova per se stesso, per covare un odio sordo e cupo nei confronti di chi ve l’ha costretto, che si va ad aggiungere a quell’insofferenza di cui ti parlavo e che può portare molto lontano”.
Non avete avuto, cari compagni socialisti, la voglia, il coraggio, l’umiltà, l’onestà, la lungimiranza politica di autocorreggervi.
Avete distrutto un partito dalla storia gloriosa, riducendolo a percentuali da albumina.
Avete fatto della parola “socialista”, che vuol dire coniugare l’uguaglianza sociale con la libertà, in sinonimo di “ladro”.
E ora siete lì a illanguidirvi di nostalgia per “i bei tempi andati”. Per voi.
Noi, nonostante tutto quello che è successo dopo sia anche peggio, non vi rimpiangiamo.
Blog: Massimo Fini

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