E' stata una settimana densa, segnata da un frenetico susseguirsi di atti, fatti e strappi, che ben rappresentano il momento delicato e decisivo che la questione lavoro vive nel nostro paese. Prima, è arrivata la tripletta del mercoledì. In una sola giornata è stato approvato in Senato il famigerato "collegato lavoro", concluso l'accordo sulle deroghe tra Fim, Uilm e Federmeccanica e inviata dal Ministro Sacconi una missiva alle parti sociali con il sollecito di procedere verso il superamento dello Statuto dei Lavoratori. Poi, sono arrivati il giovedì e venerdì di polemiche e linciaggi morali contro gli operai Fiom, che in alcuni luoghi hanno protestato e lanciato uova contro sedi della Cisl.Non c'è dubbio, il gioco è duro e neanche troppo pulito. Ed è un gioco ai massimi livelli, quindi bisogna fare squadra. L'hanno capito da tempo i Marchionne, Marcegaglia, Sacconi, Bonanni e altri. Attenzione, però, non banalizziamo. La loro non è una squadra omogenea, sono un insieme di diversi, e non c'è alcun complotto in corso. Semplicemente, hanno annusato l'aria e realizzato una convergenza d'interessi attorno un obiettivo ritenuto praticabile: l'azzeramento del patto sociale, codificato nella Costituzione e perfezionato dalle lotte dei lavoratori degli anni '60-'70. La posta in gioco è generale, non si tratta più di tirare per la giacchetta l'esistente, bensì di rovesciarlo, di fare il salto di qualità, di ridefinire dall'alto un nuovo patto sociale, strutturalmente asimmetrico: il padrone comanda, il lavoratore obbedisce in silenzio e a buon mercato e il nuovo sindacato-istituzione fa il guardiano. Più che un patto, sembra la resa imposta dal vincitore al vinto, in cambio della vita (pardon, del posto di lavoro). Per questo non interessa più lo scontro con l'anello debole o il compromesso, ma si cerca l'impatto frontale e la disintegrazione dell'anello forte, che oggi è individuato nei metalmeccanici e nella Fiom. Avete dei dubbi che le cose stiano così? Ebbene, allora considerate soltanto quello che c'è scritto nell'accordo sulle deroghe, cioè il nuovo «Art. 4-bis - Intese modificative del Ccnl». Anzi, se avete due minuti, leggetelo! Ebbene sì, perché in fondo dice due cose tanto semplici, quanto dirompenti: il contratto nazionale è finito e i lavoratori non potranno mai più votare. Cioè, un golpe sindacale o, per essere più gentili e nostrani, un ribaltone. Il nuovo articolato dice, infatti, che il modello Pomigliano può essere applicato ovunque nella categoria, da Bergamo a Palermo. E se le deroghe al contratto diventano la regola, in nome della crisi, allora a che cosa serve il contratto?Ma la cosa davvero grave in tutto questo è che i lavoratori sono stati ufficialmente imbavagliati ed espropriati del loro diritto di parola. Infatti, le deroghe nelle aziende vengono decise «con l'assistenza delle Associazioni industriali e delle strutture territoriali delle Organizzazioni sindacali stipulanti» e poi «validate» non dai diretti interessati, ma dalle «parti stipulanti il Ccnl» a livello nazionale. Cioè, quelli che firmano le deroghe sono gli stessi che le approvano.In altre parole, siccome gli operai non sono d'accordo con Bonanni, allora Bonanni gli toglie la parola. C'è da meravigliarsi, se alcuni operai hanno dato sfogo alla loro rabbia davanti alle sedi della Cisl? Certo, aggiungiamo subito, è meglio non farsi trascinare nelle provocazioni, perché qui il gioco è truccato, per concentrarsi invece sulla costruzione della manifestazione del 16 ottobre. Ma, detto questo, va aggiunta un'altra cosa: è assolutamente indecente e irricevibile il coro di ministri, presidenti, industriali, segretari e cortigiani vari che aggrediscono il dissenso a suon di paroloni come "aggressione" e "squadrismo", mentre invece tacciono di fronte alla negazione dei più elementari diritti democratici dei lavoratori.Ma appunto, qui torniamo al nostro discorso iniziale. Loro hanno un obiettivo e fanno squadra. E noi? Se allarghiamo lo sguardo all'insieme del campo dell'opposizione a Berlusconi, viene da piangere. C'è pure chi dà ragione a chi imbavaglia i lavoratori. Ma il problema risiede anche più a sinistra del centro ed è figlio di quella calamità culturale che ha estromesso il lavoro e la questione sociale dalla bussola della politica. La sinistra, politica e sociale, di partito o di movimento, semplicemente non esiste e non ha futuro se non mette al centro la questione sociale, se non riparte da qui, dai lavoratori e dalle lavoratrici, per disegnare un progetto, un programma e un sogno per uscire dalla crisi.Il 16 ottobre non c'è semplicemente una manifestazione nazionale, ma un'occasione per ritrovarsi tra diversi, produrre convergenza di interessi e costruire discorsi e percorsi comuni. Questo è il punto, questa è l'urgenza e per questo la risposta al loro gioco sporco è l'investimento sull'unità attorno al 16 ottobre.
Luciano Muhlbauer, Liberazione
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