” Sulle condizioni che rendono possibile la realizzazione di un’area
valutaria comune, a integrazione di un processo di cooperazione
economica tra Stati, esiste una significativa letteratura che ha come
punto di riferimento il contributo di un economista monetarista, Robert
Mundell, premio Nobel 1961 e 1973. Mundell ha individuato le condizioni
che rendono possibile la realizzazione di un’area valutaria ottimale.
Queste condizioni sono l’esistenza di strutture economiche simili per
quanto riguarda il livello di vita, le preferenze politiche rispetto
alle priorità da dare a crescita, occupazione e inflazione possibilmente
in un livello di equilibrio tra queste. ”
E’ con questa chiave di lettura che Bruno Amoroso, già allievo di
Federico Caffè, che dirige il centro studi dedicato al grande maestro e
si divide tra Italia e Danimarca, e tante altre parti del mondo, nel suo
impegno di studioso, ha costruito il suo ultimo, prezioso, libro, ”
L’Europa oltre l’euro “, uscito nel settembre 2012 grazie a Castelvecchi
editore. Il libro e’ scritto a quattro mani con Jesper Jespersen,
economista danese, presidente della rete degli economisti keinesiani.
Gli insegnamenti di Caffè e di Keynes sostengono una esposiziane
chiara, e critica, del processo di costruzione della Unione Europea e
della attuale fase della globalizzazione dominata da quelli che Caffè
chiamava gli ” incappucciati ” dell’economia, per descrivere l’insorgere
dei nuovi centri di potere economico e finanziario. Una lettura, quella
di Amoroso e Jespern, talmente forte nella sua evidenza da rendere
acutissima la domanda di come sia stata, e purtroppo sia tuttora,
possibile la dominanza ideologica, e politica, che sostiene il
neoliberalismo e la dottrina dell’austerità.
Ma riprendiamo dalla tesi citate di Mundell. ” L’esistenza di forti
differenze tra Paesi li rende diversamente vulnerabili alle crisi
economiche e questo li spinge inevitabilmente a riprendere il controllo
delle politiche economiche a livello nazionale. Questo e’ impossibile
nel caso dell’ unione monetaria ed e’ perciò causa di tensioni e di
conflitto “.
Risulta evidente per gli autori che l’area dell’unione monetaria era
tutt’altro che omogenea. Dato 100 il livello di vita medio, nell’Europa a
27, troviamo che la Bulgaria si colloca a 40, il Lussemburgo a 250 e i
Paesi Bassi a 135. E il Portogallo a 80, ad indicare che oltre alle
divisioni Est – Ovest ci sono quelle Nord – Sud. Ragione per cui per
altro già nella fase di realizzazione della Unione le priorità tedesche
alla stabilita’ monetaria non corrispondevano con quelle dei Paesi del
Sud alla crescita.
Già in questo elemento c’è contenuta l’estrema criticità del libro
verso la realizzazione stessa della moneta unica e la previsione di una
sua possibile crisi. Anche chi, come me, pensa un poco diversamente e
cioè che la impresa dell’euro non era di per se’ insensata e che poteva
avere un diverso esito se concepita come strumento di una politica di
effettiva armonizzazione fondata sulla valorizzazione del modello
sociale europeo e non sulla sua negazione, la ricostruzione critica dei
percorsi praticati nell’unificazione e delle politiche seguite ad essa
risulta particolarmente convincente. Il libro la compie in modo lucido e
utilissimo, sia per quanto concerne i processi politici che quelli
ideologici.
Tutti gli elementi posti infatti a presidio della moneta unica e ad
accompagno della sua esistenza, e cioè i famosi criteri di stabilita’ di
bilancio, hanno del tutto eluso le necessita di realizzare effettiva
convergenza economica,creando cioè almeno ex post quelle condizioni di
area ottimale di cui dice Mundell. Anzi hanno agito all’opposto. Cioè
hanno determinato ulteriori elementi di squilibrio, sia economico –
produttivo, sia finanziario.
Prendiamo, dal libro, il dato più macroscopico che e’ quello delle
bilance dei pagamenti e cioe’ del rapporto import – export. Qui
l’evidenza e’ clamorosa. Se si guarda al saldo cumulato nel periodo tra
il 1998 e il 2012 tra i seguenti 4 Paesi, vedremo che i saldi negativi
di Francia, – 56,84 miliardi, Italia, – 349,25 e Spagna, – 706,85,
corrispondono sostanzialmente al saldo positivo della Germania, +
1226,20! Abbiamo vissuto cioè in questi anni un vero e proprio modello
forzato export – led tedesco. ” Una politica unilaterale, un
mercantilismo che produce dumping economico e sociale sia dentro la
Germania sia nei Paesi dell’Europa del Sud, crea tensioni all’interno
della eurozona, con il crescente indebitamento dei Paesi più deboli
verso le banche tedesche e francesi e un avanzo della bilancia
commerciale in pochi altri “. E a seguire ” Il deficit crescente della
bilancia dei pagamenti e’ divenuto la radice dei problemi economici dei
Paesi dell’Europa del Sud, e con un peso particolare all’interno
dell’area monetaria comune. L’indebolimento delle industrie di
esportazione in Grecia, Spagna, Portogallo ha generato un ” circolo
vizioso “. Assistiamo in questi Paesi alla crescita della
disoccupazione, seguita congiuntamente dalla diminuzione delle entrate
fiscali e dall’aumento del deficit di bilancio, del debito pubblico e
del tasso d’interesse “.
Per giunta in questo quadro la moneta unica diventa più un problema
che la soluzione. Essa infatti e’ una sorta di camicia di forza. Da un
lato impedisce di recuperare competitività attraverso manovre
svalutative; dall’altro obbliga a sostenere il debito con l’acquisizione
di moneta sui mercati internazionali e dunque a tassi di interessi
speculativi; e da ultimo consegna alla Germania e i suoi Paesi associati
” un vantaggio competitivo del 30% in termini di costo, che da’ alle
merci tedesche una posizione dominante a spese dai Paesi dell’Europa
Meridionale paralizzati dalla moneta unica e perciò incapaci di
migliorare le capacita’ produttive delle loro imprese private sui
mercati esteri “. Si e’ verificato dunque l’opposto di quello che fu
presentato all’atto dell’introduzione della moneta unica e che doveva
essere l’accesso al mercato dei capitali dell’eurozona con un tasso
d’interesse vicino a quello tedesco. ” In realtà, come e’ noto, il
rischio del debito dei titoli di Stato e’ stato valutato in modo molto
diverso come se l’euro avesse valori diversi a seconda dei Paesi di
riferimento. Un evento che intacca la legittimità internazionale della
moneta unica…che corrisponderebbe alla situazione assurda che l’euro
utilizzato da un turista italiano per saldare i propri conti di hotel
fosse valutato diversamente da quello di un turista tedesco…”.
Tutto ciò, dicono gli autori, e’ frutto del fatto di aver realizzato
una moneta unica senza una politica economica unica. Nello svelare la
fallacia dei criteri preposti a presidio della moneta, e cioè il
controllo del debito, il libro e’ prezioso anche perche’ riporta alla
luce punti di vista che furono fondamentali prima che il pensiero unico
neoliberale ne disperdesse la memoria financo nelle forze di sinistra.
Tra questi la constatazione che gli elementi reali che determinano
debito sono la sperequazione nei saldi commerciali e la disoccupazione.
Il debito Interno e’ infatti sostanzialmente una riassegnazione di
risorse tra pubblico e privati. Ciò che rende esposti sono precisamente
gli elementi strutturali della bilancia dei pagamenti e della
disoccupazione. Oltreché, oggi, il taglieggiamento operato dai mercati
finanziari eretti a dominus.
Amoroso e Jespersen paragonano la situazione attuale a quella del
Titanic. Criticano gli euro ottimisti e sostengono una posizione critica
e scettica. Ritengono che la durata dell’euro sia assai problematica e
propongono di prendere atto della situazione per passare in modo
condiviso ad un nuovo assetto che preveda una riarticolazione, anche
monetaria, per aree, tra cui una dell’Europa del Sud, capaci anche di
nuove relazioni con i settori limitrofi del Mondo. Se l’idea della
riarticolazione mi pare appropriata, sono meno convinto sulla previsione
di una implosione della attuale moneta. Ne ho scritto varie volte per
sottolineare come la governance tecnocratica stia dimostrando una sua
capacita di tenuta e di dominio. E per rimarcare che se la posta in
gioco e’ la fuoriuscita dal modello sociale europeo l’esistenza della
moneta e della gabbia che le si e’ creata intorno ne e’ un fattore utile
ai soggetti dominanti, aldila’ della contraddizioni di cui parla
Mundell.
Una visione, la mia, pessimista. Che pero’ e’ convinta che la sfida
non possa essere elusa. E la sfida e’ rovesciare questo assetto nel suo
contrario, fare della moneta non un cattivo padrone ma un buon
servitore, per citare Latouche. Un servitore per politiche opposte alle
attuali. Che abbiano cioè la armonizzazione economica e sociale e
l’espansione del modello sociale europeo come chiave di volta
dell’Unione e del suo rapporto con la globalizzazione. E anche in cio’
un libro come questo aiuta molto, per la ricchezza delle analisi e delle
proposte che ci fornisce ma anche perchè ci ricorda quanta forza di
alternativita’ c’era in pensatori come Caffè quando parlavano ad esempio
di una economia degli affetti, qualcosa di cui oggi piu’ che mai
abbiamo bisogno.
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