Buon compleanno partito nostro. Sono passati 22 anni da quel 3
febbraio del 1991 quando, in seguito alla decisione di sciogliere il
PCI, e di gettare in soffitta uno degli architravi della storia di
questo Paese in nome di un nuovismo senza forma né sostanza, un gruppo
sostanzioso di dirigenti e militanti pronunciò un fragoroso no e si
costituì nel Movimento per la Rifondazione Comunista. Nasceva un polo
alternativo che venne subito bocciato come retaggio del passato e
che invece divenne catalizzatore di energie provenienti tanto dalla
nuova sinistra – il gruppo ex-Pdup guidato da Lucio Magri e Democrazia
Proletaria che si sciolse poco dopo per aderire al progetto – quanto da
chi come Fausto Bertinotti e Pietro Ingrao, per citare i più noti,
avevano inutilmente provato a modificare dall’interno l’insieme di forze
che avevano dato vita al Partito Democratico della Sinistra e in cui
era confluita la maggioranza del PCI. Il movimento si trasformò presto
in partito e riuscì ad attrarre consensi in maniera superiori alle
aspettative. Da allora tanti anni vissuti pericolosamente, perennemente
sospesi fra la presenza nei conflitti – come dimenticare la stagione di
Genova – le dinamiche di partecipazione e di scontro nei governi di
centro sinistra e soprattutto le tante dolorose e a volte assurde
scissioni. Tanti grandi leader ma soprattutto tante e tanti compagne e
compagni che hanno continuato a vivere la politica con passione, con
l’idea di militanza, resistendo a derisioni, accuse di passatismo,
lusinghe. C’è chi ci ha lasciato perché convinto di poter influenzare il
potere, chi perché invece ci ha visto troppe volte prudenti e ha
interpretato le nostre scelte come deboli e inadeguate. Ma ci sono
anche le tante e i tanti che ci hanno lasciato perché hanno lasciato
questa terra, dannandosi ogni giorno per il partito, criticando magari
ma restando in piedi. Sono state fatte scelte giuste e sbagliate, si è a
volte riusciti a interpretare la realtà e a volte ne si è stati
espunti. 5 anni fa, dopo il fallimento della “Sinistra Arcobaleno” con
l’esclusione dai comunisti in parlamento e il congresso di Chianciano,
si è consumato l’ennesimo strappo, l’ennesima divisione in due percorsi
che andavano e vanno in direzione opposta. Si è resistito ai tentativi
di farci scomparire come a quelli di autoescluderci in ruolo
testimoniale, si è finiti col dover far a meno del nostro giornale Liberazione
che del partito ha seguito l’intera storia e a lottare con ogni
mezzo per sopravvivere. L’esplosione di una crisi di sistema ha
ridimostrato la validità del nostro definirci comunisti, la saggezza
profonda, il buon senso rivoluzionario delle nostre ricette alternative
ad ogni liberismo più o meno temperato. Siamo tornati con maggiore
determinazione nelle piazze, fra le mille vertenze che stanno facendo
crollare questo Paese, nei luoghi del conflitto con la rabbia e la
proposta di chi può dire a ragion veduta “non è vero che i politici
sono tutti uguali”. Fra ormai meno di 3 settimane ci ritroveremo ad
andare ad elezioni con una grande speranza: siamo entrati in una
aggregazione composita, Rivoluzione Civile, in cui ci sono netti i
nostri contenuti, le nostre battaglie e anche tanti nostri compagni e
compagne. Ci siamo entrati considerando sia la nostra insufficienza sia
la possibilità di costruire anche in Italia quella aggregazione di
sinistra di alternativa che si è realizzata in tanti paesi europei e, in
maniera ancora più complessa, in gran parte dell’America Latina. Ma
dopo tanto tempo ci ritroveremo a non vedere il nostro simbolo sulla
scheda elettorale. Per alcune compagne e compagni questa è fonte di
dolore e di confusione, ragione in più per affermare in maniera
forte e chiara che, per l’oggi e per domani Rifondazione c’è. Perché nel
mondo dominato dal grande capitale, in cui si riaffacciano gli spettri
della miseria e della barbarie, di comunisti e di un partito che si
definisce tale, ci sarà sempre bisogno. E allora e ancora, 1000 di
questi giorni Prc.
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