lunedì 10 febbraio 2014

Governabili a tutti i costi

lavoro-riforme-622x200Angelo Panebianco, sul Corriere domenicale, si aggiunge alla lunga fila di intellettuali, commentatori e politici che hanno identificato con chiarezza la madre di tutti i mali italiani, la mancanza di governabilità. E che hanno dunque una soluzione per tutti i mali, le riforme istituzionali, a partire naturalmente dalla legge elettorale.
Quella delle riforme è una ossessione molto comune nel mondo accademico anglosassone ed è diventato da ormai vent’anni il fulcro del dibattito politico. Dopo spread, abbiamo trovato un’altra parola magica: governabilità. Tutti a parlarne, ma pochi han capito cosa voglia davvero dire. Il problema, come sempre, è che si ragiona per slogan (e convenienze del momento) e manca un approccio critico e sistematico (e con in mente i veri problemi del paese). Come ho già scritto altrove, pare quantomeno discutibile che leggi maggioritarie e premi vari siano sinonimi di governabilità: il proporzionale, in Germania, non ha impedito a due governi di coalizione (grande e piccola) di essere stabili ed autorevoli; mentre l’incostituzionale premio di maggioranza italiano non ha evitato la crisi (alla Camera) del governo Berlusconi e la debacle del PD (in maggioranza) sul Quirinale. Perché una legge che incentiva le aggregazioni e trasforma le maggioranze relative in maggioranze assolute dovrebbe risolvere i problemi di una politica poco autorevole e ostaggio di interessi particolari non è davvero dato sapere.
Invece di discutere di questi temi si cerca la scorciatoia di dare potere ai partiti senza che questi abbiano i mezzi e le capacità per gestirli. Si sognano riforme dall’alto che cambino le regole del gioco e non si è capito che le istituzioni non funzionano così: la storia è piena di riforme fallite perché calate dall’alto e fuori contesto: basta guardare ai sistemi politici latino-americani copiati ed incollati dal modello statunitense e che hanno dato risultati opposti; o il fallimento delle riforme in Russia; o, per non andare tanto lontano, al fallimento di tante riforme italiane. O ci siamo dimenticati che il mattarellum avrebbe dovuto portare ad un sistema bipartitico ed ha invece favorito la proliferazione dei partitini? Domande che purtroppo nessuno vuole seriamente discutere. Meglio la scorciatoia, la risposta facile.
E di conseguenza l’importante, per Renzi come per Panebianco, è fare. Il nemico è, dice il professore, “l’immobilismo decisionale”, causato dai “difensori del socialismo reale” (sic!), che hanno impedito le riforme. Quando mai, caro Panebianco? Quali sarebbero le riforme che son state impedite in questi due decenni? La riforma del mercato del lavoro – che non si sarebbe potuta fare a causa dei detentori del potere di veto nostrani – è stata fatta sia da Treu che dalla Fornero. Risultati disastrosi, ma si può davvero seriamente sostenere non si sia fatta? La devolution alle regioni? Due riforme della sanità? Due riforme dell’Università? La riduzione delle tasse con la rimodulazione in senso regressivo dell’IRPEF fatta dal governo Prodi? Ha funzionato tutto male, certo, ma è colpa della mancanza di governabilità? O il problema erano riforme sbagliate? Forse, se invece di procedere per slogan, si fosse studiata la struttura produttiva dell’economia italiana si sarebbe potuto anticipare che la flessibilità sarebbe in realtà divenuta precarietà. Panebianco ha torto, il problema non sono le troppe discussioni e le mediazioni, ma, invece, proprio la mancanza di discussioni serie. Come, nuovamente, nel caso della riforma elettorale.
Nicola Melloni - Esse blog.it

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