domenica 9 febbraio 2014

Il sole dell’avvenire e le sue nuove orbite


L'ultimo romanzo di Valerio Evangelisti narra le vicende di una famiglia popolare romagnola tra il 1875 e i primi del novecento. Sullo sfondo dei primi movimenti socialisti, delle forme di resistenza e di socialità, si articola una coinvolgente fenomenologia della coscienza sociale.


di Luca Cangianti, Micromega

Il socialismo nell'ultimo quarto del secolo XIX era pervaso dallo slancio garibaldino e il grande freddo delle strutture socialdemocratiche e terzinternazionaliste non aveva preso ancora il sopravvento. In questo contesto storico, il nuovo romanzo di Valerio Evangelisti, Il Sole dell'Avvenire (Mondadori, 530 pp., € 17,50) affronta le vicissitudini di una famiglia popolare romagnola. Tuttavia, mentre le pagine scorrono velocissime, ci accorgiamo che il libro contiene anche una grande quantità di virus di ordine psicologico, sociologico e politico. L'esperienza della lettura produce così una grande quantità di riflessioni e di interrogativi.

Nonostante alcune vicende si svolgano a Bologna, nell'agro romano e in Grecia, l'ambientazione dominante è romagnola (Ravenna, Imola, Forlì, Cesena). Questa regione vide fiorire e prosperare le più disparate correnti sovversive, dal repubblicanesimo mazziniano (che al tempo issava la bandiera rossa), all'anarchismo, fino al Partito socialista rivoluzionario. Questa formazione sui generis, fondata da Andrea Costa – il primo socialista a essere eletto nel parlamento postunitario – aveva una struttura antigerarchica e obiettivi simili a quelli degli anarchici, ma non escludeva la partecipazione alle elezioni. Anzi, sull'esempio della Comune di Parigi puntava a impossessarsi dei municipi per introdurre misure socialiste e sferrare l'attacco contro lo stato centrale.

Attilio, Rosa e Canzio, i personaggi principali del romanzo, sono povera gente il cui modo di vivere e di pensare ci è restituito con grande empatia, ma senza retorica e vittimismo. Reduce garibaldino, eterno precario, incline al consumo eccessivo di alcol, amante della poesia dalla rima facile, Attilio è scettico nei confronti dei socialisti: “Non mi fido dei vostri ideali. In teoria li trovo abbastanza giusti, anche se non capisco bene questa cosa dell'abolizione della proprietà privata. Per la repubblica, che è un ideale chiaro, la rivoluzione la farei anche. Solo che voi tentate ogni tanto delle rivoluzioncelle che falliscono regolarmente. Occupate un municipio qui, uno là. Proclamate l'abolizione dello Stato, poi ve ne andate”. Suo malgrado il corso degli eventi lo porta sempre sulla soglia della “presa di coscienza”, consentendogli più volte di vedere il mondo con occhi e sentimenti nuovi. In lui si accumula un potenziale di frustrazione, di rabbia e di dolore che esplode in un'onda d'urto liberatoria: dopo esser stato picchiato dai poliziotti nel corso di una manifestazione, in mezzo alle bandiere rivoluzionarie rossonere, ai braccianti e agli operai, anche lui finisce per alzare il pugno al cielo gridando “Sì, viva il socialismo, boia d'un mond léder”. È la descrizione bella e commovente di una svolta gestaltica, del clic coscienziale che sperimenta chi s'innamora, chi fa una scoperta scientifica o chi capisce che un altro mondo è possibile. Perfino Rosa che, figlia di mezzadri, è più incline al pragmatismo e al rispetto dell'ordine costituito, è spinta alla ribellione dai soprusi subiti in una filanda. Un giorno, come per una reazione naturale, anche lei alza il pugno in aria e urla “Sciopero!”.

Evangelisti costruisce una fenomenologia della coscienza di classe, drammatica e articolata. La psicologia dei protagonisti è una materia elastica, tesa fino a raggiungere il punto di rottura e poi rilasciata per produrre un contraccolpo gnoseologico sovversivo. Quando Attilio e Rosa gridano la loro rabbia negano le angherie dei poliziotti, la miseria delle baracche fatiscenti, i malanni delle paludi, la fame e il freddo dell'inverno. In quel momento, contestano le gerarchie e acquisiscono la dignità umana del ribelle. Diverso è il discorso per il loro figlio Canzio. Avendo cristallizzato la fluida coscienza sociale dei propri genitori, egli è già schierato, sa che la società è ingiusta. Lui non si muove sul limite, anzi è incline alle semplificazioni.

Collegato al tema dell'autorappresentazione sociale vi è quello della composizione di classe. L'umanità descritta nel Sole dell'Avvenire è costituita, da una parte, da braccianti, barcaioli, artigiani, scariolanti, pescatori di frodo, garzoni di stalla, disoccupati, seggiolai, vuotapozzi, e dall'altra, dalle figure ibride della mezzadria. La descrizione di questi soggetti sociali è basata sugli studi condotti dallo stesso autore nella Storia del Partito Socialista di Romagna 1881-1893 (scritto insieme a Emanuela Zucchini nel 1981 e recentemente ripubblicato per Odoya, 320 pp., € 20,00).

Sul finire dell'Ottocento la mezzadria veniva progressivamente espropriata dei suoi piccoli privilegi e sussunta al capitalismo agrario. La mentalità dei mezzadri era sostanzialmente provinciale e reazionaria, legata alla terra e alla famiglia. Di contro, il bracciante e il precario postrisorgimentale di Romagna erano spesso critici nei confronti della famiglia e della religione, esibivano una profonda disaffezione verso il lavoro e una pronunciata politicizzazione. Uno di questi soggetti, Giosuè, fratello di Rosa, afferma: “I contadini sono isolati, vivono chiusi nella loro famiglia, sono costretti all'ossequio verso il padrone. I braccianti no. Quando c'è lavoro, lo fanno in squadra, vivono assieme, si aiutano... Ci si sostiene, i bambini sono di tutti, le donne danno una mano anche nelle altre case. Non rimpiango per niente la prigione della mezzadria”.

Le separazioni familiari, le storie di emigrazione, di disoccupazione e povertà s'intersecano con le forme di una socialità alternativa, prodotta dalla composizione di classe del tempo e del luogo. Molto interessante è il caso delle “cameracce”. Create originariamente dal partito repubblicano, permettevano agli operai di bere e mangiare a prezzi economici o di avere un luogo d'incontro dove farsi una partita a carte dopo il lavoro. Non è casuale che un personaggio del libro veda in questi capannoni l'embrione della società futura. Più di recente, qualcosa di simile accadde negli anni Novanta dello scorso secolo, quando in alcuni dibattiti di movimento i centri sociali furono considerati, forse troppo ottimisticamente, possibili strumenti della ricomposizione di classe in epoca postfordista. Attilio e Rosa non fanno mai parte integrante di questo tipo di controsocietà e forse proprio per questo sono capaci di comunicarcela con una perplessità più adeguata ai nostri tempi: “Fatevi spiegare da Giosuè il significato della parola 'compagno'. Per noi socialisti rivoluzionari ha un senso tutto particolare”, risponde un calzolaio a Rosa che lo ringrazia per aver aiutato suo fratello ferito e ricercato dalla polizia.

I socialisti rivoluzionari organizzavano passeggiate per andare a trovare i soci delle altre sezioni, allestivano i banchetti fraterni per rinsaldare rapporti personali e di domenica andavano in gita nel circondario per conoscere gente nuova e fondare sezioni del partito. Intervenivano per combattere il colera mediante azioni di prevenzione e si aiutavano l'un l'altro come chi si sente parte di uno stesso destino. Lo stupore di Attilio e di Rosa di fronte a tale realtà è anche il nostro, ovvero di chi come noi vive in una società nella quale il processo d'individualizzazione si è spinto molto avanti rispetto alla fine dell'Ottocento.

Il sole dell'avvenire nella Romagna postrisorgimentale risplendeva grazie a una socialità e a un contropotere basati su una composizione di classe in parte frutto del dissolvimento dei modi di produzione precapistalistici, ma per altra parte ancora memore di culture popolari comunitarie. Oggi continuiamo a esser operai, impiegati, precari, lavoratori autonomi di seconda generazione, ma la nostra autorappresentazione e la nostra agency sono spesso scollegate dalle condizioni di disagio nel processo produttivo. Ci muoviamo principalmente sul terreno della circolazione assumendo identità molteplici e intersecate. Vista in positivo questa dinamica può essere per certi versi portatrice di libertà e di affrancamento dal legame personale. Tuttavia, svanite ormai le conformazioni sociali, produttive e urbane che sono state capaci di creare resistenza e contropotere fino in avanzata epoca fordista, il sole dell'avvenire per splendere ancora dovrà percorrere orbite nuove e inesplorate.

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