L'era Berlusconi volge al termine. A "staccare la spina", come nel caso più famoso e tragico, uno dei suoi alleati più ingrati: quel Gianfranco Fini tirato fuori dalla pregiudiziale antifascista che aveva malamente resistito per quasi 50 anni, dopo la Resistenza.
E’ un evento che non va assolutamente sottovalutato, perché sblocca un quadro politico che sembrava condannato all’eternità, togliendo di mezzo – in tempi abbastanza brevi – il totem che riduceva tutte le opzioni in campo a due soltanto: con Lui o contro di Lui. Diventa così possibile, in via d’ipotesi, tornare a parlare di «merito», ossia politiche industriali, occupazionali, welfare e quant’altro. Ma non è affatto certo.
Non è importante qui sapere in quale giorno ci sarà l'esecuzione dell'esecutivo. Possiamo dire fin d'ora che tutti - compresa l'opposizione parlamentare (e forse soprattutto quest'ultima) - hanno interesse ad arrivare al 31 dicembre e far approvare la legge finanziaria. Il motivo è per una volta semplice e serio: si andrebbe infatti “all'esercizio provvisorio" dei conti pubblici, esponendo i titoli di stato a una tempesta speculativa di dimensioni greche. Chiunque vincesse le elezioni, dopo, dovrebbe governare un disastro peggiore dell’attuale.
Altrettanto chiaro è che Berlusconi non se ne andrà alla Gorbaciov, ripiegando la bandiera e salutando i successori, ma lanciando missili (si spera solo) preelettorali. La pericolosità di una classe dirigente senza qualità, dotata soltanto delle ragioni della forza, si è vista immediatamente - la mattina di lunedì - con l’attacco ai migranti di Brescia, a Radio Onda d’Urto e alle forze progressiste che li appoggiavano.
Particolarmente penosa, quindi, la presa di posizione della stampa democratica – Repubblica, in primis – che ha immediatamente straparlato di «25 aprile» senza nemmeno fermarsi a pensare che, fin qui, il Cavaliere resta in sella.
Ma quale equilibrio lascia intravedere il declino del sistema di rappresentanza berlusconiano? E’ finita, sembra di capire, l’egemonia di quella parte di imprenditoria (appaltisti, costruttori, «concessionari», piccola impresa, criminalità organizzata) orientata semplicemente a distruggere quel poco o tanto di resistenza di classe esistente, smantellando le tutele del lavoro e lo stato sociale, ma senza affrontare per manifesta incapacità nessuno dei «problemi strutturali» evidenziati dalla crisi economica.
Su quali forze politiche puntano dunque ora i «padroni doc» come Marchionne, Montezemolo, Marcegaglia? Ci sembra palese che Fini sia il loro campione, da irrobustire elettoralmente con le truppe di Pierferdinando Casini e le pattuglie di Francesco Rutelli. Naturalmente in attesa che i democristiani di lungo corso ancora interni al Pdl (Pisanu su tutti), aprano la diga che ancora trattiene buona parte del voto cattolico nella tinozza di Arcore.
C’è il rischio però – il padrone delle tv resta pur sempre Lui – che quest’armata Brancaleone non sia ancora sufficiente. E quindi i giornali «seri» - Repubblica, Stampa, Corriere della sera, Sole24Ore – hanno pompato oltre ogni misura il «movimento dei rottamatori» agglomerato intorno ai «giovani furbini» del Pd. Di cui il minimo che si possa dire è che se ne ignora completamente qualsiasi contributo ideale e programmatico: cosa vogliono fare? Quali interessi sociali privilegiano? La risposta, come sempre, arriva dai loro sponsor. Berlusconi per un verso e Bersani per l’altro rischiano quindi di esser travolti dalla «precipitazione al centro», nonostante il contributo di Vendola, incaricato di riportare all’ovile quanto più elettorale «alternativo» è possibile.
Comunque vada, questo scenario esclude come punto di programma qualsiasi rappresentanza reale degli interessi dei lavoratori; sia sul piano sindacale (la Cgil della Camusso ha già siglato ben quattro «avvisi comuni» con Confindustria, aprendo di fatto la strada verso la trasformazione in sindacato« complice» e, al tempo stesso, il regolamento di conti finale con la minoranza e i metalmeccanici) che su quello politico. Quanti non accettano questa soluzione hanno molto da fare. Nessun angelo ci verrà a salvare.
Contropiano-Rete dei Comunisti
E’ un evento che non va assolutamente sottovalutato, perché sblocca un quadro politico che sembrava condannato all’eternità, togliendo di mezzo – in tempi abbastanza brevi – il totem che riduceva tutte le opzioni in campo a due soltanto: con Lui o contro di Lui. Diventa così possibile, in via d’ipotesi, tornare a parlare di «merito», ossia politiche industriali, occupazionali, welfare e quant’altro. Ma non è affatto certo.
Non è importante qui sapere in quale giorno ci sarà l'esecuzione dell'esecutivo. Possiamo dire fin d'ora che tutti - compresa l'opposizione parlamentare (e forse soprattutto quest'ultima) - hanno interesse ad arrivare al 31 dicembre e far approvare la legge finanziaria. Il motivo è per una volta semplice e serio: si andrebbe infatti “all'esercizio provvisorio" dei conti pubblici, esponendo i titoli di stato a una tempesta speculativa di dimensioni greche. Chiunque vincesse le elezioni, dopo, dovrebbe governare un disastro peggiore dell’attuale.
Altrettanto chiaro è che Berlusconi non se ne andrà alla Gorbaciov, ripiegando la bandiera e salutando i successori, ma lanciando missili (si spera solo) preelettorali. La pericolosità di una classe dirigente senza qualità, dotata soltanto delle ragioni della forza, si è vista immediatamente - la mattina di lunedì - con l’attacco ai migranti di Brescia, a Radio Onda d’Urto e alle forze progressiste che li appoggiavano.
Particolarmente penosa, quindi, la presa di posizione della stampa democratica – Repubblica, in primis – che ha immediatamente straparlato di «25 aprile» senza nemmeno fermarsi a pensare che, fin qui, il Cavaliere resta in sella.
Ma quale equilibrio lascia intravedere il declino del sistema di rappresentanza berlusconiano? E’ finita, sembra di capire, l’egemonia di quella parte di imprenditoria (appaltisti, costruttori, «concessionari», piccola impresa, criminalità organizzata) orientata semplicemente a distruggere quel poco o tanto di resistenza di classe esistente, smantellando le tutele del lavoro e lo stato sociale, ma senza affrontare per manifesta incapacità nessuno dei «problemi strutturali» evidenziati dalla crisi economica.
Su quali forze politiche puntano dunque ora i «padroni doc» come Marchionne, Montezemolo, Marcegaglia? Ci sembra palese che Fini sia il loro campione, da irrobustire elettoralmente con le truppe di Pierferdinando Casini e le pattuglie di Francesco Rutelli. Naturalmente in attesa che i democristiani di lungo corso ancora interni al Pdl (Pisanu su tutti), aprano la diga che ancora trattiene buona parte del voto cattolico nella tinozza di Arcore.
C’è il rischio però – il padrone delle tv resta pur sempre Lui – che quest’armata Brancaleone non sia ancora sufficiente. E quindi i giornali «seri» - Repubblica, Stampa, Corriere della sera, Sole24Ore – hanno pompato oltre ogni misura il «movimento dei rottamatori» agglomerato intorno ai «giovani furbini» del Pd. Di cui il minimo che si possa dire è che se ne ignora completamente qualsiasi contributo ideale e programmatico: cosa vogliono fare? Quali interessi sociali privilegiano? La risposta, come sempre, arriva dai loro sponsor. Berlusconi per un verso e Bersani per l’altro rischiano quindi di esser travolti dalla «precipitazione al centro», nonostante il contributo di Vendola, incaricato di riportare all’ovile quanto più elettorale «alternativo» è possibile.
Comunque vada, questo scenario esclude come punto di programma qualsiasi rappresentanza reale degli interessi dei lavoratori; sia sul piano sindacale (la Cgil della Camusso ha già siglato ben quattro «avvisi comuni» con Confindustria, aprendo di fatto la strada verso la trasformazione in sindacato« complice» e, al tempo stesso, il regolamento di conti finale con la minoranza e i metalmeccanici) che su quello politico. Quanti non accettano questa soluzione hanno molto da fare. Nessun angelo ci verrà a salvare.
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