Quante volte, negli ultimi due anni, abbiamo detto che non saremmo stati noi a pagare la crisi? Perché questo slogan si trasformi in realtà, però, tutti sappiamo come occorra necessariamente, per riprendere il titolo dell'incontro di mercoledì scorso tra il Prc e il partito comunista francese, "Fare come in Francia". O come in Grecia. O come in Spagna.
Il motivo è chiaro: se non si trasforma la crisi economica (e sociale) in lotta di classe, il risultato sarà "all'italiana". E cioè, taglio della spesa pubblica. Una "soluzione" che da noi significa distruzione dei diritti di base e dei servizi sociali che, ben presto, porterà a una vera e propria emergenza prima di tutto per i cittadini, quindi per gli enti locali che quei servizi devono (dovrebbero) erogare.
Così, mentre in Francia la destra di Sarkozy attacca sulle pensioni e la gente risponde con otto
giornate di mobilitazione generale da settembre; mentre in Grecia si pensa di uscire dalla crisi attaccando il pubblico impiego e tagliando la spesa sociale con la cittadinanza che risponde bloccando il paese; mentre in Spagna si tagliano i salari e si distrugge il contratto nazionale di lavoro e la popolazione risponde con uno storico sciopero generale; mentre a livello europeo tutti i governi parlano solo e soltanto di "Patto di stabilità", qualcuno continua ad arricchirsi. Chi, ovviamente, sono i soliti noti, coloro che sanno come speculare finanziariamente.
Così una notizia, passata quasi inosservata in Italia, sta tenendo banco su tutti i media britannici e su molti giornali europei: nell'anno in cui (anche) la Gran Bretagna stringe la cinghia e si cerca di abbattere la spesa sociale, gli stipendi dei dirigenti che siedono nei consigli di amministrazione delle aziende quotate nel Financial Times Stock Exchange (FTESE 100, indice azionario delle cento società quotate maggiormente "capitalizzate") sono aumentati del 55%. Tradotto, in media un amministratore delegato di una delle società del principale listino inglese guadagna 4,9 milioni di sterline l'anno (circa 5,6 milioni di euro). Una cifra pari a duecento volte (!) lo stipendio medio britannico.
Causa dell'aumento, i bonus legati ai risultati. Il che significa che i risultati delle maggiori società britanniche, in tempo di crisi e recessione economiche, sono state le più alte degli ultimi dieci anni.
E se da noi una simile notizia non farebbe notizia, almeno in Gran Bretagna una levata di scudi c'è stata. Brendan Barber, segretario del Trade Unions Council (Tuc), la confederazione dei sindacati britannica, ha urlato pubblicamente tutto il suo disappunto: "non sanno questi signori che la Gran Bretagna dovrebbe essere in austerity? Altro che tutti sulla stessa barca: mentre i poveri e la classe media soffrono per i tagli e le paghe congelate, i dirigenti continuano a portare a casa stipendi lunghi come numeri telefonici e si preoccupano poco per le tasse". Dichiarazioni che potrebbero sembrare simili alle nostrane, se non fosse che sabato scorso Londra ha ospitato una grandissima manifestazione con il Tuc in prima fila a protestare contro i 500mila posti di lavoro che il governo Cameron ha previsto di tagliare nel settore pubblico, contro l'innalzamento dell'età pensionabile e una riduzione della spesa per il welfare, per un totale di ottanta miliardi di sterline (circa novanta miliardi di euro) di tagli.
Ma non solo. La manifestazione di sabato è stata l'occasione per un appello alla partecipazione allo sciopero generale in programma il 26 marzo 2011, il primo dal 1926 per il Regno Unito. Speriamo, fra cinque mesi, di non dover dire "facciamo come in Gran Bretagna".
Il motivo è chiaro: se non si trasforma la crisi economica (e sociale) in lotta di classe, il risultato sarà "all'italiana". E cioè, taglio della spesa pubblica. Una "soluzione" che da noi significa distruzione dei diritti di base e dei servizi sociali che, ben presto, porterà a una vera e propria emergenza prima di tutto per i cittadini, quindi per gli enti locali che quei servizi devono (dovrebbero) erogare.
Così, mentre in Francia la destra di Sarkozy attacca sulle pensioni e la gente risponde con otto
giornate di mobilitazione generale da settembre; mentre in Grecia si pensa di uscire dalla crisi attaccando il pubblico impiego e tagliando la spesa sociale con la cittadinanza che risponde bloccando il paese; mentre in Spagna si tagliano i salari e si distrugge il contratto nazionale di lavoro e la popolazione risponde con uno storico sciopero generale; mentre a livello europeo tutti i governi parlano solo e soltanto di "Patto di stabilità", qualcuno continua ad arricchirsi. Chi, ovviamente, sono i soliti noti, coloro che sanno come speculare finanziariamente.
Così una notizia, passata quasi inosservata in Italia, sta tenendo banco su tutti i media britannici e su molti giornali europei: nell'anno in cui (anche) la Gran Bretagna stringe la cinghia e si cerca di abbattere la spesa sociale, gli stipendi dei dirigenti che siedono nei consigli di amministrazione delle aziende quotate nel Financial Times Stock Exchange (FTESE 100, indice azionario delle cento società quotate maggiormente "capitalizzate") sono aumentati del 55%. Tradotto, in media un amministratore delegato di una delle società del principale listino inglese guadagna 4,9 milioni di sterline l'anno (circa 5,6 milioni di euro). Una cifra pari a duecento volte (!) lo stipendio medio britannico.
Causa dell'aumento, i bonus legati ai risultati. Il che significa che i risultati delle maggiori società britanniche, in tempo di crisi e recessione economiche, sono state le più alte degli ultimi dieci anni.
E se da noi una simile notizia non farebbe notizia, almeno in Gran Bretagna una levata di scudi c'è stata. Brendan Barber, segretario del Trade Unions Council (Tuc), la confederazione dei sindacati britannica, ha urlato pubblicamente tutto il suo disappunto: "non sanno questi signori che la Gran Bretagna dovrebbe essere in austerity? Altro che tutti sulla stessa barca: mentre i poveri e la classe media soffrono per i tagli e le paghe congelate, i dirigenti continuano a portare a casa stipendi lunghi come numeri telefonici e si preoccupano poco per le tasse". Dichiarazioni che potrebbero sembrare simili alle nostrane, se non fosse che sabato scorso Londra ha ospitato una grandissima manifestazione con il Tuc in prima fila a protestare contro i 500mila posti di lavoro che il governo Cameron ha previsto di tagliare nel settore pubblico, contro l'innalzamento dell'età pensionabile e una riduzione della spesa per il welfare, per un totale di ottanta miliardi di sterline (circa novanta miliardi di euro) di tagli.
Ma non solo. La manifestazione di sabato è stata l'occasione per un appello alla partecipazione allo sciopero generale in programma il 26 marzo 2011, il primo dal 1926 per il Regno Unito. Speriamo, fra cinque mesi, di non dover dire "facciamo come in Gran Bretagna".
di Daniele Nalbone
da http://www.controlacrisi.org/
da http://www.controlacrisi.org/
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