Congresso a Spoleto. Paolo Ferrero lascia la segreteria rilanciando una
sinistra unita, chiara e alternativa. La parola chiave è
«redistribuzione». Lavori per un «terzo polo». Interessati Fratoianni e
Civati
Redistribuzione. Al Lingotto era la
parola tabù. Qui a Spoleto, all’apertura del decimo congresso di
Rifondazione comunista, è il termine che accomuna l’analisi di Paolo
Ferrero ai saluti, non formali, di Nicola Fratoianni per Sinistra
italiana e di Pippo Civati per Possibile.
Redistribuzione quindi, del reddito e
del lavoro, come prima pietra di un «manifesto», di una «piattaforma
condivisa». Di un’agenda, sociale e politica, sulla quale può prendere
corpo la costruzione di un’aggregazione che non sia un riduttivo,
sostanzialmente inutile, cartello elettorale.
«Perché non ce la caviamo solo mettendo
insieme le forze politiche e sociali dell’alternativa», avverte sul
punto il segretario di Sinistra italiana. Concetto non dissimile da
quello espresso da Ferrero nell’ideale passaggio del testimone a chi gli
succederà: «Vorrei evitare che il prossimo segretario debba partecipare
a un tavolo per spartirsi, in due nottate, i capilista alle prossime
elezioni. Abbiamo sbagliato una volta, due volte; non possiamo
continuare a sbagliare».
Nella giornata dedicata alla relazione
del segretario uscente, salutato da un applauso finale che non finiva
mai, gli oltre 400 delegati e i numerosi invitati (di Syriza, Linke,
Podemos, Hdp, Izquerdia Unida e altri ancora) che affollano l’Albornoz
Palace ascoltano un resoconto fatto di onestà intellettuale e
rivendicazione di aver fatto molte cose giuste.
«Dobbiamo avere l’orgoglio del percorso
fatto – ricorda Ferrero – abbiamo visto giusto anche nel 1997-98, quando
da una parte c’era l’ultima resistenza di Jospin, e dall’altra l’Ue
come è oggi. Quella di Prodi».
Perché allora Rifondazione non riesce a
schiodarsi dal 2, 3%, dopo non essere riuscita ad entrare in Parlamento
per due volte? «Pur dicendo cose giuste – risponde Ferrero – non siamo
premiati come i cinque stelle. Succede da quando, con il secondo governo
Prodi, non siamo riusciti a cambiare le politiche sociali ed economiche
del paese. Lì abbiamo perso buona parte di credibilità. Così come
l’abbiamo persa, mentre Grillo scriveva lettere accorate al ‘cittadino
Monti’, quando la Federazione della sinistra si è rotta perché Diliberto
cercava di fare una lista comune con Bersani».
Ma non può bastare a giustificare il
rapporto uno a dieci con i pentastellati. «Se il M5S è oggi depositario
delle speranze di cambiamento – replica il segretario uscente – dobbiamo
essere capaci di fare un percorso politico chiaro, di alternativa al
centrodestra, al centrosinistra, e anche ai cinque stelle, che
registrano l’opinione pubblica maggioritaria e la seguono. Ma, solo per
fare un esempio, ‘redistribuzione’ è una parola che non esiste nel
lessico del M5S».
Di qui la proposta politica di un «terzo
polo»: «Alternativo al polo neoliberista, della ‘destra tecnocratica’,
così come a quello delle destre razziste».
Poi un messaggio chiaro: «Chi ha rotto
con Renzi ha fatto bene. Ma se poi sostiene il governo Gentiloni, siamo
su fronti diversi. Perché ad esempio quel governo ha fatto il decreto
Minniti, che è di destra, è basato sulle balle che raccontano in tv, ed è
un regalo a Salvini».
Passaggio apprezzato da Civati, che
riconosce a Ferrero la merce rara della coerenza («sono un fan del
segretario»), e sul punto insiste: «Con il decreto Minniti è stato fatto
un altro jobs act. Un errore gravissimo, l’ennesimo».
La cifra, per Ferrero, di un esecutivo
che sta aprendo una nuova strada anche con semplici provvedimenti di
polizia – non della magistratura – che sequestrano, per ore, centinaia
di manifestanti (è successo a Roma sabato scorso), e che hanno varato il
cosiddetto «daspo urbano».
Ma c’è uno spazio politico per una «terza via», di sinistra di alternativa?
L’interrogativo è risolto positivamente
da Ferrero: «Quella del referendum è stata una sconfitta di Renzi ma
anche del neoliberismo, oltre che una vittoria, che va valorizzata,
della Costituzione. Ed è stata la partecipazione a convincere il governo
Gentiloni a disinnescare i referendum della Cgil. Questo, e le
affollate manifestazioni contro la ‘buona scuola’, per l’8 Marzo, contro
Ttip e Tap, ci fanno capire che ci sono milioni di donne e uomini in
Italia che praticano, quotidianamente, una terza via».
RICCARDO CHIARI
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