In contemporanea. Mentre a Spoleto si tiene la seconda giornata del X Congresso nazionale di Rifondazione Comunista,
a Napoli si è riunita l’assemblea fondativa dei comitati di “Articolo
Uno”, il Movimento Democratico e Progressista fondato da Pierluigi
Bersani, Roberto Speranza ed Enrico Rossi separatisi dal PD e da Arturo
Scotto che dalla nascente Sinistra Italiana è approdato ad un soggetto
politico che si pone come obiettivo quello di ricreare le condizioni per
la rinascita del centrosinistra in Italia.
Una contemporaneità, dunque, che è utile per confrontare la profonda differenza che esiste tra progetti che guardano, con tattiche nell’immediato apparentemente simili (giustizia sociale, difesa dei ceti deboli, arginamento della povertà dilagante) a strategie opposte e a prospettive di lungo termine dicotomiche.
Ormai, quando si paragonano a sinistra intenzionalità differenti, si finisce sempre col provare a cercare “le cose che uniscono”. Vi sarano sempre alcuni elementi unificanti, momenti di incontro che possono scaturire da sensibilità politicamente indirizzate più su terreni culturali e su valori piuttosto civili che sociali o viceversa. Ma sarebbe utile anche domandarsi ed evidenziare tutti gli altri elementi, quelli di divisione, di impossibilità di analisi comune, di ricerca di una qualsivoglia forma di sintesi.
Leggendo il programma di Articolo Uno si può osservare che non si arriva nemmeno ad un capovolgimento progressivo delle politiche liberiste fino ad oggi portate avanti dai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, ma si persegue una ricerca di un contenimento emergenziale che non dà affatto la sensazione di una ricostruzione di un “campo progressista” in Italia, quanto invece di una insieme di garanzie politiche per una certa necessità di rappresentanza di una borghesia imprenditoriale che rischia di rimanere priva di punti di riferimento qualora il renzismo dovesse prendere la via della discesa inesorabile.
Aspetto, questo, che per ora non sembra concretizzarsi: la consultazione nel PD sulle candidature a segretario nazionale sembra dare ragione a Renzi che ottiene percentuali che vanno ben oltre la maggioranza relativa. Il ruolo di Orlando è quello di mostrare ancora un lato “di sinistra” di un partito che non ne ha più nemmeno l’ombra, nessun epifenomeno progressista sta dietro la facciata di socialità che i democratici intendono ancora darsi.
Articolo Uno sostiene di avere come scopo quello di allontanare il centrosinistra dal “partito della nazione” di renziana memoria e di ancora stretta attualità e di volere, quindi, riposizionare centro e sinistra in un riformismo che eviti i settarismi, che non sia marginalizzato e residuale.
Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Possibile e la Rete della Città in Comune invece pensano che sia venuta l’ora di provare a mostrare che repliche del passato sono oggi impossibili e che anche a sinistra, sul terreno della vera alternativa, occorre investire su forme aggregative che offrano una risposta ad una popolazione che si accorge delle differenze solo se queste sono radicali, senza ulteriori cedimenti e compromessi.
L’alterità dal PD deve essere “senza se e senza ma” se vuole nascere, vivere e non soltanto sopravvivere in sommatorie di liste elettorali da presentare solo nei momenti della chiamata al voto.
Il “terzo polo”, auspicato da Paolo Ferrero nella relazione fatta ieri al X Congresso del PRC, non può fondarsi sul possibilismo, sul “di volta in volta”, sul giudizio particolare, ma deve invece avere confini e delimitazioni che in tutta Italia diano, cominciando da Roma, la nuova linea di organizzazione attorno ad un simbolo riconoscibile, che venga sempre indentificato con un postulato semplice: “Sono quelli che sono contro il liberismo del PD, il razzismo e la xenofobia delle destre”.
Ed essere contro il liberismo vuol dire, prima di tutto, mettere al centro dell’agire politico il sociale, quindi il lavoro, il disagio dei milioni di precari, disoccupati e senza speranza che oggi sono, questi sì, ai veri margini della vita collettiva, di un Paese che viene governato sulla base delle esigenze del padronato, delle grandi finanze e degli interessi bancari.
Il centrosinistra che auspica Articolo Uno non è un “nuovo inizio”, ma l’inizio di un fallimento epocale, sperimentato più volte e che non può avere il consenso che avevano avuto i governi Prodi I e Prodi II. La stagione ulivista è terminata e non per colpa, come amano tanto dire molti nostalgici dell’accusa a buon mercato, di Rifondazione Comunista, ma perché non ha potuto dare soddisfazione contemporaneamente alle esigenze dei lavoratori ed a quelle del padronato.
Ha scontentato tutti: Confindustria, che ha guardato al centrodestra alcune volte e poi ai governi tecnici, finendo per appoggiare quelli renziani, e i ceti popolari più poveri, quelli per i quali il calendario finisce molto prima del 30 o 31 d’ogni mese.
Un slogan di un manifesto abbastanza recente di Rifondazione Comunista recitava così: “A fine stipendio avanza troppo mese”. E la situazione economica oggi non è affatto cambiata in meglio: la cosiddetta “ripresina”, che è termine che suona sempre come sinonimo di “presa in giro”, è un’Araba Fenice. Tutti la richiamano in commenti e affermazioni per rassicurare i più incazzati ma nessuno poi sa veramente dove si trovi. E nessuno, infatti, la trova mai.
Non può esservi incontro, dunque, tra terzo polo della sinistra di alternativa e Articolo Uno. Non può esservi nessuna intesa per costruire nessun nuovo centrosinistra. Non è il nostro obiettivo, anzi è uno dei nostri prossimi avversari.
L’appoggio attuale alle politiche del govergno Gentiloni da parte dei gruppi parlamentari di Articolo Uno è già una discriminante sufficiente per comprendere la linea di condotta in politica economica di questo nuovo tentativo di protezione “a sinistra” di chi fa politiche invece di destra.
L’articolo uno della Costituzione deve trovare applicazione concreta nella realtà. Almeno bisogna provarci. Ma da sinistra, da comuniste e comunisti, con tanti saluti a chi vuole rifondare non il comunismo, tanto meno la sinistra, ma certamente un centrosinistra che non può garantire nessuna tutela dei più deboli ma solo compromesso continuo con interessi così differenti da perpetuare incongruenze e contraddizioni minime che fanno perdere di vista la contraddizione massima: il capitale.
Una contemporaneità, dunque, che è utile per confrontare la profonda differenza che esiste tra progetti che guardano, con tattiche nell’immediato apparentemente simili (giustizia sociale, difesa dei ceti deboli, arginamento della povertà dilagante) a strategie opposte e a prospettive di lungo termine dicotomiche.
Ormai, quando si paragonano a sinistra intenzionalità differenti, si finisce sempre col provare a cercare “le cose che uniscono”. Vi sarano sempre alcuni elementi unificanti, momenti di incontro che possono scaturire da sensibilità politicamente indirizzate più su terreni culturali e su valori piuttosto civili che sociali o viceversa. Ma sarebbe utile anche domandarsi ed evidenziare tutti gli altri elementi, quelli di divisione, di impossibilità di analisi comune, di ricerca di una qualsivoglia forma di sintesi.
Leggendo il programma di Articolo Uno si può osservare che non si arriva nemmeno ad un capovolgimento progressivo delle politiche liberiste fino ad oggi portate avanti dai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, ma si persegue una ricerca di un contenimento emergenziale che non dà affatto la sensazione di una ricostruzione di un “campo progressista” in Italia, quanto invece di una insieme di garanzie politiche per una certa necessità di rappresentanza di una borghesia imprenditoriale che rischia di rimanere priva di punti di riferimento qualora il renzismo dovesse prendere la via della discesa inesorabile.
Aspetto, questo, che per ora non sembra concretizzarsi: la consultazione nel PD sulle candidature a segretario nazionale sembra dare ragione a Renzi che ottiene percentuali che vanno ben oltre la maggioranza relativa. Il ruolo di Orlando è quello di mostrare ancora un lato “di sinistra” di un partito che non ne ha più nemmeno l’ombra, nessun epifenomeno progressista sta dietro la facciata di socialità che i democratici intendono ancora darsi.
Articolo Uno sostiene di avere come scopo quello di allontanare il centrosinistra dal “partito della nazione” di renziana memoria e di ancora stretta attualità e di volere, quindi, riposizionare centro e sinistra in un riformismo che eviti i settarismi, che non sia marginalizzato e residuale.
Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Possibile e la Rete della Città in Comune invece pensano che sia venuta l’ora di provare a mostrare che repliche del passato sono oggi impossibili e che anche a sinistra, sul terreno della vera alternativa, occorre investire su forme aggregative che offrano una risposta ad una popolazione che si accorge delle differenze solo se queste sono radicali, senza ulteriori cedimenti e compromessi.
L’alterità dal PD deve essere “senza se e senza ma” se vuole nascere, vivere e non soltanto sopravvivere in sommatorie di liste elettorali da presentare solo nei momenti della chiamata al voto.
Il “terzo polo”, auspicato da Paolo Ferrero nella relazione fatta ieri al X Congresso del PRC, non può fondarsi sul possibilismo, sul “di volta in volta”, sul giudizio particolare, ma deve invece avere confini e delimitazioni che in tutta Italia diano, cominciando da Roma, la nuova linea di organizzazione attorno ad un simbolo riconoscibile, che venga sempre indentificato con un postulato semplice: “Sono quelli che sono contro il liberismo del PD, il razzismo e la xenofobia delle destre”.
Ed essere contro il liberismo vuol dire, prima di tutto, mettere al centro dell’agire politico il sociale, quindi il lavoro, il disagio dei milioni di precari, disoccupati e senza speranza che oggi sono, questi sì, ai veri margini della vita collettiva, di un Paese che viene governato sulla base delle esigenze del padronato, delle grandi finanze e degli interessi bancari.
Il centrosinistra che auspica Articolo Uno non è un “nuovo inizio”, ma l’inizio di un fallimento epocale, sperimentato più volte e che non può avere il consenso che avevano avuto i governi Prodi I e Prodi II. La stagione ulivista è terminata e non per colpa, come amano tanto dire molti nostalgici dell’accusa a buon mercato, di Rifondazione Comunista, ma perché non ha potuto dare soddisfazione contemporaneamente alle esigenze dei lavoratori ed a quelle del padronato.
Ha scontentato tutti: Confindustria, che ha guardato al centrodestra alcune volte e poi ai governi tecnici, finendo per appoggiare quelli renziani, e i ceti popolari più poveri, quelli per i quali il calendario finisce molto prima del 30 o 31 d’ogni mese.
Un slogan di un manifesto abbastanza recente di Rifondazione Comunista recitava così: “A fine stipendio avanza troppo mese”. E la situazione economica oggi non è affatto cambiata in meglio: la cosiddetta “ripresina”, che è termine che suona sempre come sinonimo di “presa in giro”, è un’Araba Fenice. Tutti la richiamano in commenti e affermazioni per rassicurare i più incazzati ma nessuno poi sa veramente dove si trovi. E nessuno, infatti, la trova mai.
Non può esservi incontro, dunque, tra terzo polo della sinistra di alternativa e Articolo Uno. Non può esservi nessuna intesa per costruire nessun nuovo centrosinistra. Non è il nostro obiettivo, anzi è uno dei nostri prossimi avversari.
L’appoggio attuale alle politiche del govergno Gentiloni da parte dei gruppi parlamentari di Articolo Uno è già una discriminante sufficiente per comprendere la linea di condotta in politica economica di questo nuovo tentativo di protezione “a sinistra” di chi fa politiche invece di destra.
L’articolo uno della Costituzione deve trovare applicazione concreta nella realtà. Almeno bisogna provarci. Ma da sinistra, da comuniste e comunisti, con tanti saluti a chi vuole rifondare non il comunismo, tanto meno la sinistra, ma certamente un centrosinistra che non può garantire nessuna tutela dei più deboli ma solo compromesso continuo con interessi così differenti da perpetuare incongruenze e contraddizioni minime che fanno perdere di vista la contraddizione massima: il capitale.
MARCO SFERINI
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