venerdì 7 aprile 2017

Le guerre pulite non esistono, sono tutte sporche




Parla l’inviato speciale del Sole24ore che ha vissuto in prima persona le guerre degli ultimi 35 anni: “Le guerre pulite non esistono, sono tutte sporche”. Oltre a condannare il regime di Assad inchioda l’Occidente alle sue responsabilità: “Quella che era iniziata come una guerra civile tra il regime e l’opposizione si è trasformata in una guerra per procura”. Infine, non crede che Assad possa fare la fine di Gheddafi (“dietro ha Putin e l’Iran”), più possibile uno scontro regionale armato tra Israele e gli Hezbollah libanesi.

intervista a Alberto Negri di Giacomo Russo Spena

“Non sarà certamente questo lancio di missili Tomahawk americani a sbalzare dal potere Assad e a cambiare le sorti della guerra”. Alberto Negri, inviato speciale del Sole24ore è uno dei massimi esperti di Medioriente e di Siria. Reporter di guerra, ha raccontato dal fronte i conflitti bellici nei Balcani, in Asia e in Africa. “Ho vissuto in prima persona le guerre degli ultimi 35 anni e sono arrivato ad una conclusione: le guerre pulite non esistono, sono tutte sporche”, ci dice. Nella notte il lancio di 59 missili americani contro il regime di Bashar Assad fa presagire scenari di una guerra globale, anche se Negri tende a rimanere più cauto: “Difficilmente Donald Trump butterà giù il regime senza avere alternative. O fai guerra ad Assad o all’Isis, a tutti e due contemporaneamente è impossibile farlo”. Per poi aggiungere: “Da sempre nel mondo ha regnato il double standard: i crimini dei dittatori sono considerati più efferati dei crimini commessi dall’Occidente, che sono stati tanti, troppi, in questi anni”.

Dopo l’attacco chimico del regime nella provincia di Idlib – 72 morti tra cui molti bambini – ha scritto sul Sole24ore un articolo che si focalizza proprio sulle responsabilità dell’Occidente. “È giusto indignarsi per le vittime della provincia di Idlib – si legge – ma una parte di questa indignazione riserviamola anche ai nostri leader occidentali incapaci di uscire da un ginepraio di calcoli sbagliati e interessi che dura ormai da oltre tre decenni. Ora si attende il secondo capitolo, quello della spartizione della Siria: a questo servono i morti di Idlib”.

Sei stato innumerevoli volte in Siria, ci aiuti a comprendere il quadro? Qual è la partita in gioco?

Stiamo assistendo alla più importante partita geopolitica degli ultimi anni in Medioriente e nel Mediterraneo. Quella che era iniziata come una guerra civile tra Assad e l’opposizione si è trasformata in una guerra per procura. C’è anche una data precisa per indicare tale passaggio: il 6 luglio 2011 quando l’ambasciatore americano Ford, mandato dall’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, andò a farsi riprendere dalle telecamere in mezzo ai ribelli armati di Hama. Un evidente segnale dell’amministrazione Obama: Assad era diventato un bersaglio da colpire. Un regime da destituire. L’idea della Clinton era il leading from behind, guidare da dietro i mutamenti in Medio Oriente.

Una guerra per procura che ha coinvolto poi Russia, Turchia, Israele, Francia... Riesci a farci luce sulle scelte di campo?

Questa guerra deriva da una lunga destabilizzazione del Medioriente dove si intrecciano diversi fattori, molti dei quali si trascinano dagli anni ‘80, dal conflitto tra Iran e Iraq. Dopo il 6 luglio 2011 Turchia, Arabia Saudita, Qatar e le altre monarchie del Golfo scelgono di opporsi ad Assad perché alleato storico dell’Iran sciita. Si trattava per i sunniti di una rivincita della caduta di Saddam Hussein nel 2003 e che aveva consegnato l’Iraq a maggioranza sunnita in mano alla minoranza sciita. Il caso degli alawiti è sintomatico in Siria: non appartengono né allo sciismo né al sunnismo, anche se tendevano a nasconderlo, non praticano i cinque pilastri dell’Islam, non pregano in moschea e sono considerati dei miscredenti. Gli alawiti rappresentano il 12% della popolazione siriana, eppure sono riusciti a salire al potere con Assad, strappandolo di mano ai sunniti dopo mille anni come racconto nel mio ultimo libro “Il musulmano errante” (Rosenberg & Sellier -2017). Questo è stato negli anni ‘70 il vero, primissimo, shock della Siria. Nel giugno 2011 le monarchie del Golfo chiedono al regime di rompere l’alleanza con Teheran. Assad si rifiuta.

E così entrano le potenze occidentali schierate con il fronte sunnita, visti anche gli interessi economici con le monarchie del Golfo?

In Siria nel 2011 si acuisce la crisi economica e sociale a causa di una forte siccità e per il conseguente abbandono delle campagne verso le principali città, come Damasco. Un processo che ha ulteriormente sfaldato il Paese e in quell’anno si è manifestata una legittima protesta contro il regime brutale di Assad. Ma Stati Uniti, Francia e Gb hanno sostenuto per mesi la tesi di un’opposizione moderata in Siria che in realtà era stata, ben presto, sostituita da milizie armate violente e jihadiste. Il passaggio dei combattenti islamici viene favorito dalla Turchia che permette l’ingresso in Siria di migliaia di miliziani: questa era l’autostrada della Jihad. E’ così che si forma, pian piano, il Califfato dell’Isis nato da una costola di Al Qaida in Iraq. Un giocattolo scappato di mano.

Con Assad, invece, si schiera la Russia di Putin?

Non solo. Prima si erano schierati con il regime sia i pasdaran iraniani che gli Hezbollah libanesi, forze sciite. Il 30 settembre 2015 la Russia di Putin fa pendere la bilancia dalla parte di Assad e inizia a fornire un aiuto concreto e militare contro i ribelli.

L’europarlamentare del M5S, Massimo Castaldo (e molti altri filoputiani) dubita che l’attacco chimico di Idlib sia frutto di Assad. Le sue parole sono state: “Militarmente, con questo attacco, Assad non ottiene nulla. Politicamente, solo l’odio del mondo intero. Metto un grosso punto interrogativo perché queste, spesso, sono anche guerre di propaganda. E non bisogna dare giudizi affrettati”. Siamo alla fantapolitica complottista?

Beh, i dubbi ci sono sempre. E finché non ho notizie da fonti indipendenti non mi azzardo a dare giudizi e ad asserire verità. In guerra ho imparato a credere solo a ciò che vedo coi miei occhi. Pensiamo al caso del 21 agosto 2013 a Ghouta, a est di Damasco, dove armi chimiche provocarono la morte di un numero altissimo di persone, tra cui molti bambini. In quel caso, il rapporto dell’Onu sulla strage non ha mai identificato i responsabili. Anzi si dice che probabilmente le armi chimiche siano state utilizzate da entrambi i fronti.

Però l’Osservatorio Siriano sui Diritti umani ha stilato un duro rapporto contro il regime di Assad....

Non è una fonte attendibile, come quasi tutte le fonti manovrate dagli inglesi. Tra l’altro noi potremmo avere le informazioni dal fronte: nelle basi americane, a Mosul come in Siria, ci sono centinaia di militari. Se gli americani volessero tramite droni e altri mezzi, potrebbero documentarci meglio ma scelgono di non farlo. Io, nel mio piccolo, prendo informazioni da ong come Medici Senza Frontiere o da alcuni gruppi dell’opposizione non manovrati dall’esterno.

Sì, però è plausibile l’accusa nei confronti di Assad. Non trovi che parliamo comunque di un regime sanguinario?

Assad non è Saddam Hussein quindi sarei più cauto nell’utilizzare il termine “sanguinario”. Di certo, parliamo di un regime che utilizza metodi brutali e sicuramente da condannare, non c’è dubbio. Quando è esplosa la prima rivolta ha reagito con la repressione.

E se altre fonti dimostrassero le responsabilità di Assad negli attacchi chimici?

Significherebbe che il regime sta punendo quelle popolazioni che ormai non reputa più fedeli ad Assad. Mentre ad Aleppo l’esercito governativo ha ripreso in mano la situazione, in altre zone il regime sceglie la via della punizione di massa: cosa che in Medioriente è purtroppo tratto comune degli autocrati. Pensiamo al massacro in Libano di Sabra e Chatila.

Torniamo ai futuri scenari in Siria. Quali sono? E’ ipotizzabile una guerra “umanitaria”, simile a quella avvenuta in Libia con Gheddafi?

L’Occidente non mi pare intenzionato a muovere guerra ad Assad. A differenza della Libia, dietro Assad ci sono Iran e Putin. Nessuno ha vero interesse a stabilizzare la Regione, non ce l’hanno i turchi che ora hanno il problema dei curdi siriani, non ce l’hanno le potenze sunnite con l’Arabia Saudita che ha un fronte aperto in Yemen. Nessuna delle potenze internazionali ha interesse.

Non spaventa nemmeno l’intervento armato voluto da Donald Trump questa notte?

L’idea di Washington è stata quella di colpire Assad e allo stesso tempo lanciare un avvertimento a coloro che non obbediscono alla superpotenza americana, tra l’altro l’operazione militare è avvenuta mentre Trump riceveva il presidente cinese, Paese protettore della Corea Nord. Un secondo elemento da sottolineare: i lanci dei missili hanno colpito basi aeree ma non istallazioni vitali o il palazzo presidenziale di Damasco. Infine, Trump per aprire veramente il fronte più vasto contro la Siria ha bisogno dell’approvazione del Congresso Usa.

E’ possibile che si apra uno scenario di guerra tra Israele e gli Hezbollah libanesi?

Il lancio di missili americani contro la Siria è interpretato da Israele, che dal 1967 occupa il Golan siriano, come una sorta di via libera americano alle sue incursioni aeree sulla Siria ritenuta la retrovia degli Hezbollah libanesi. Non è uno scenario improbabile quello di una guerra regionale. Forse il più plausibile.

Intanto assistiamo alla morte di migliaia di persone. I civili sono stretti da una morsa: da un lato il regime di Assad, dall’altra le responsabilità dell’Occidente?

Sul campo di battaglia c’è il Califfato, lo Stato Islamico o Isis, che ha rappresentato un forte inasprimento, in termini di violenza, del conflitto contro le popolazioni civili. Assad non ha avuto freni in questi mesi, pensiamo ai bombardamenti congiunti con la Russia. Tutti se ne sono fregati della popolazione civile che è diventata ostaggio del regime siriano e dei gruppi jihadisti. Ogni giorno assistiamo ad una strage in questo Paese. Una violenza a livelli massimi, anche per il Medioriente. Ma soprattutto non si vede come pacificare una vasta area a cavallo tra il Mediterraneo e la Mesopotamia dove sono crollati in questi 14 anni, dall’invasione Usa dell’Iraq nel 2003, interi Stati mentre la violenza, le stragi, i massacri, l’esodo di milioni di persone, hanno visto esasperare le divisioni etniche e settarie.

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