«Il fallimento di uno stato sovrano è qualcosa che non conosciamo» ha dichiarato martedì Mario Draghi sostenendo la pericolosità di un default della Grecia che sta vivendo il peggiore periodo della sua storia. Le ruberie inglesi del Partenone sono nulla in contrario ai furti legalizzati che il sistema bancario internazionale sta cercando di imporre. Il Pasok del primo ministro Papandreou arrivato due anni fa al governo non ha potuto che denunciare la bancarotta fraudolenta provocata dei conservatori e chiedere aiuto per risanare i conti e l'economia.
La Grecia aveva e ha centinaia di miliardi di bond del debito pubblico in scadenza, ma non sufficienti risorse per onorare gli impegni assunti. Ci sarebbe voluto uno scatto della Ue e della Bce, ma non c'è stato. Questa ha scatenato a fine 2009 la corsa al ritiro dei depositi dalle banche e la fuga di capitali all'estero. Di più: lo stato non era più in grado di emettere nuovi bond fosse solo per ripagare quelli in scadenza. Anche perché i tassi salivano vorticosamente: quelli sui bond a due anni hanno toccato il 28%.
Larga parte del debito pubblico greco era nelle mani delle banche europee che premevano sui rispettivi governi per riavere indietro i soldi senza rimetterci un centesimo. Sarebbe stato logico un accordo per protrarre le scadenze dei bond ellenici e per ridurre i loro rendimenti, ma per la Bce questo equivale a una bestemmia. Così, d'accordo anche con il Fmi, è passata una soluzione alternativa: si sono pretesi dalla Grecia tagli alla spesa pubblica e per prima cosa ai salari degli statali, privatizzazioni, ristrutturazioni. Così, Atene ottiene un primo prestito di oltre 100 miliardi, ma viene obbligata a enormi sacrifici che producono disoccupazione, riduzione del potere d'aquisto di larghi strati della popolazione e bloccano la crescita.
Questa scelta fatta lo scorso anno fu infame e oltretutto non risolutiva. Tant'è che oggi Atene necessita di nuovi aiuti e ha l'obbligo di una nuova manovra da 28 miliardi. Tanta austerità finisce per premiare solo le banche: i prestiti concessi (a tassi da usura) da Bce e Fmi, infatti, finiscono direttamente nelle casse delle banche tedesche, francesi e inglesi e non servirano a cambiare (se non in peggio) il paese.
Draghi sostiene che non conosciamo gli effetti del fallimento di uno stato sovrano, ma il futuro presidente della Bce dimentica un caso recente: l'Argentina che grazie alla dichiarazione di default è rinata e anche i creditori un po' per volta sono stati soddisfatti, anche se non integralmente. Un'alternativa è possibile anche se non semplice: la complicazione è che la Grecia è nell'area euro e non ha più una moneta nazionale. È difficile credere che un governo di unità nazionale, proposto da Papandreou, possa tirare fuori dai guai la Grecia con le ricette della Ue. Più logico che Papandreou si rivolgesse direttamente al popolo che ieri è sceso in piazza e che viene chiamato a pagare a caro prezzo una crisi generata da altri e gonfiata dalla avidità del sistema bancario.
di GALAPAGOS - IL MANIFESTO del 16 GIUGNO 2011
La Grecia aveva e ha centinaia di miliardi di bond del debito pubblico in scadenza, ma non sufficienti risorse per onorare gli impegni assunti. Ci sarebbe voluto uno scatto della Ue e della Bce, ma non c'è stato. Questa ha scatenato a fine 2009 la corsa al ritiro dei depositi dalle banche e la fuga di capitali all'estero. Di più: lo stato non era più in grado di emettere nuovi bond fosse solo per ripagare quelli in scadenza. Anche perché i tassi salivano vorticosamente: quelli sui bond a due anni hanno toccato il 28%.
Larga parte del debito pubblico greco era nelle mani delle banche europee che premevano sui rispettivi governi per riavere indietro i soldi senza rimetterci un centesimo. Sarebbe stato logico un accordo per protrarre le scadenze dei bond ellenici e per ridurre i loro rendimenti, ma per la Bce questo equivale a una bestemmia. Così, d'accordo anche con il Fmi, è passata una soluzione alternativa: si sono pretesi dalla Grecia tagli alla spesa pubblica e per prima cosa ai salari degli statali, privatizzazioni, ristrutturazioni. Così, Atene ottiene un primo prestito di oltre 100 miliardi, ma viene obbligata a enormi sacrifici che producono disoccupazione, riduzione del potere d'aquisto di larghi strati della popolazione e bloccano la crescita.
Questa scelta fatta lo scorso anno fu infame e oltretutto non risolutiva. Tant'è che oggi Atene necessita di nuovi aiuti e ha l'obbligo di una nuova manovra da 28 miliardi. Tanta austerità finisce per premiare solo le banche: i prestiti concessi (a tassi da usura) da Bce e Fmi, infatti, finiscono direttamente nelle casse delle banche tedesche, francesi e inglesi e non servirano a cambiare (se non in peggio) il paese.
Draghi sostiene che non conosciamo gli effetti del fallimento di uno stato sovrano, ma il futuro presidente della Bce dimentica un caso recente: l'Argentina che grazie alla dichiarazione di default è rinata e anche i creditori un po' per volta sono stati soddisfatti, anche se non integralmente. Un'alternativa è possibile anche se non semplice: la complicazione è che la Grecia è nell'area euro e non ha più una moneta nazionale. È difficile credere che un governo di unità nazionale, proposto da Papandreou, possa tirare fuori dai guai la Grecia con le ricette della Ue. Più logico che Papandreou si rivolgesse direttamente al popolo che ieri è sceso in piazza e che viene chiamato a pagare a caro prezzo una crisi generata da altri e gonfiata dalla avidità del sistema bancario.
di GALAPAGOS - IL MANIFESTO del 16 GIUGNO 2011
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