Il risultato dei referendum di domenica e lunedì scorso è la conferma di un profondo cambiamento che sta avvenendo nel paese e che già si era annunciato nelle elezioni amministrative. In questi giorni è stato sottolineato come i referendum segnalino la crisi organica delle destre, il declino di Berlusconi e l’attenzione sul nucleare suscitata dal disastro di Fukuscima.
Il dato di fondo del referendum è però che il voto sull’acqua pubblica ci parla di una decisa inversione di tendenza dell’opinione pubblica del paese sulla questione delle privatizzazioni. Il tema dei beni comuni – a partire dall’acqua – è diventato la forma innovativa in cui si può parlare di pubblico. Un pubblico qualificato dalla dimensione democratica e comunitaria e per questo non riconducibile in alcun modo alla stagione politica del clientelismo democristiano. Da questi referendum emerge inoltre una soggettività dei comitati e delle associazioni che ha costituito – insieme a pochissimi partiti, tra cui in primo luogo Rifondazione Comunista - il tessuto connettivo della raccolta delle firme prima e della campagna referendaria poi. All’interno di questo tessuto di partecipazione occorre poi sottolineare una straordinaria soggettività giovanile che riecheggia le forme di aggregazione e di partecipazione che abbiamo visto all’opera nel movimento altermondialista. Indubbiamente il risultato del referendum – come la straordinaria partecipazione giovanile verificatasi nella tornata amministrativa in alcune città - è il figlio legittimo della stagione di Genova e, proprio nel decennale, ne testimonia la natura tutt’altro che minoritaria.
Per tutti questi motivi ieri abbiamo giustamente festeggiato un risultato straordinario che è destinato a incidere nel profondo sul paese. Non solo sul terreno governativo e del rapporto tra le forze politiche, ma sul complesso delle culture politiche e delle forme della partecipazione politica.
Occorre però, parimenti, avere la consapevolezza politica che il risultato dei referendum sull’acqua è tutt’altro che acquisito.
Mentre per quanto riguarda nucleare e legittimo impedimento il referendum è – per così dire – immediatamente esecutivo, non è così per l’acqua. Non a caso da parte del governo stanno già emergendo spinte ad aggirare il risultato della consultazione attraverso le realizzazione di Autority, proposte di regionalizzazione, discorsi stravaganti sulla necessità comunque di remunerare il capitale. Sull’acqua esistono enormi interessi materiali in gioco e i loro interpreti stanno già mettendo le mani avanti per cercare di salvare il salvabile. Peraltro questa spinta non arriva solo da destra visto che il Pd ha avuto la faccia tosta di riproporre, pari pari, la propria legge sull’acqua che è ispirata ad un indirizzo politico del tutto contrastante con i referendum.
Il primo problema che abbiamo è quindi quello di bloccare le manovre che cercano di aggirare gli effetti del referendum sull’acqua e di imporre l’unica soluzione coerente con la volontà espressa dagli elettori e cioè quella di approvare rapidamente in Parlamento la legge di Iniziativa popolare promossa dai Comitati per l’acqua pubblica.
Per fronteggiare questa offensiva tesa a riproporre in modo strisciante la privatizzazione occorre sviluppare subito una battaglia politica e culturale nel paese, così come si tratta di lanciare, a partire dai referendum, una campagna generale sui beni comuni che allarghi il dibattito e l’iniziativa dall’acqua al complesso dei “commons” che vogliamo demercificare e sottrarre alla logica della privazzazione e del profitto. E’ infatti evidente che i beni comuni ci parlano di una trasformazione sociale radicale, in cui il soddisfacimento dei bisogni primari del genere umano sia sottratto alla logica del mercato. In cui i valori d’uso non debbano trasformarsi in merci, per dirla con Marx. I beni comuni ci parlano della possibile uscita dalla crisi attraverso la costruzione di una sfera pubblica partecipata e democraticamente gestita, sottratta tanto alla rendita quanto al profitto.
Per queste ragioni, di battaglia politica immediata e di prospettiva, avanziamo la proposta di dar vita ad una Costituente dei beni comuni. Proponiamo di consolidare le relazioni costruite in questi anni e di costruirne di nuove per dar vita ad una rete tra tutti i soggetti – comitati, associazioni, partiti – che sono interessati a condurre questa battaglia politica e culturale. Lucarelli ha parlato di Manifesto dei beni comuni, noi parliamo di Costituente dei beni comuni. Il problema non sta nella parola ma nella volontà politica di dare un seguito a questa straordinaria mobilitazione sociale, a questo senso civico diffuso, a questo senso comune anticapitalista, vivificando attraverso la partecipazione dal basso la possibilità di costruire un’alternativa degna di questo nome. Per noi infatti, la lotta allo sfruttamento e l’allargamento dei beni comuni sono le due facce della stessa medaglia che vogliamo mettere al centro dell’azione politica. Lo faremo come parte di un movimento più ampio, quello che in questi mesi ha saputo coagulare intorno a sé energie, individuali e collettive, che parevano consegnate all’oblio, suscitando passione e mobilitazione. Dal dialogo aperto e disinteressato fra queste forze vitali che hanno saputo riformulare l’agenda della politica italiana, può venire la spinta decisiva ad un cambiamento profondo e la ripresa del cammino della democrazia.
Per tutti questi motivi ieri abbiamo giustamente festeggiato un risultato straordinario che è destinato a incidere nel profondo sul paese. Non solo sul terreno governativo e del rapporto tra le forze politiche, ma sul complesso delle culture politiche e delle forme della partecipazione politica.
Occorre però, parimenti, avere la consapevolezza politica che il risultato dei referendum sull’acqua è tutt’altro che acquisito.
Mentre per quanto riguarda nucleare e legittimo impedimento il referendum è – per così dire – immediatamente esecutivo, non è così per l’acqua. Non a caso da parte del governo stanno già emergendo spinte ad aggirare il risultato della consultazione attraverso le realizzazione di Autority, proposte di regionalizzazione, discorsi stravaganti sulla necessità comunque di remunerare il capitale. Sull’acqua esistono enormi interessi materiali in gioco e i loro interpreti stanno già mettendo le mani avanti per cercare di salvare il salvabile. Peraltro questa spinta non arriva solo da destra visto che il Pd ha avuto la faccia tosta di riproporre, pari pari, la propria legge sull’acqua che è ispirata ad un indirizzo politico del tutto contrastante con i referendum.
Il primo problema che abbiamo è quindi quello di bloccare le manovre che cercano di aggirare gli effetti del referendum sull’acqua e di imporre l’unica soluzione coerente con la volontà espressa dagli elettori e cioè quella di approvare rapidamente in Parlamento la legge di Iniziativa popolare promossa dai Comitati per l’acqua pubblica.
Per fronteggiare questa offensiva tesa a riproporre in modo strisciante la privatizzazione occorre sviluppare subito una battaglia politica e culturale nel paese, così come si tratta di lanciare, a partire dai referendum, una campagna generale sui beni comuni che allarghi il dibattito e l’iniziativa dall’acqua al complesso dei “commons” che vogliamo demercificare e sottrarre alla logica della privazzazione e del profitto. E’ infatti evidente che i beni comuni ci parlano di una trasformazione sociale radicale, in cui il soddisfacimento dei bisogni primari del genere umano sia sottratto alla logica del mercato. In cui i valori d’uso non debbano trasformarsi in merci, per dirla con Marx. I beni comuni ci parlano della possibile uscita dalla crisi attraverso la costruzione di una sfera pubblica partecipata e democraticamente gestita, sottratta tanto alla rendita quanto al profitto.
Per queste ragioni, di battaglia politica immediata e di prospettiva, avanziamo la proposta di dar vita ad una Costituente dei beni comuni. Proponiamo di consolidare le relazioni costruite in questi anni e di costruirne di nuove per dar vita ad una rete tra tutti i soggetti – comitati, associazioni, partiti – che sono interessati a condurre questa battaglia politica e culturale. Lucarelli ha parlato di Manifesto dei beni comuni, noi parliamo di Costituente dei beni comuni. Il problema non sta nella parola ma nella volontà politica di dare un seguito a questa straordinaria mobilitazione sociale, a questo senso civico diffuso, a questo senso comune anticapitalista, vivificando attraverso la partecipazione dal basso la possibilità di costruire un’alternativa degna di questo nome. Per noi infatti, la lotta allo sfruttamento e l’allargamento dei beni comuni sono le due facce della stessa medaglia che vogliamo mettere al centro dell’azione politica. Lo faremo come parte di un movimento più ampio, quello che in questi mesi ha saputo coagulare intorno a sé energie, individuali e collettive, che parevano consegnate all’oblio, suscitando passione e mobilitazione. Dal dialogo aperto e disinteressato fra queste forze vitali che hanno saputo riformulare l’agenda della politica italiana, può venire la spinta decisiva ad un cambiamento profondo e la ripresa del cammino della democrazia.
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua