Certamente una vittoria, gli italiani si sono espressi inequivocabilmente. Si sono espressi ben oltre le previsioni, ha votato il 57% degli elettori, che sono tantissimi sopratutto se si pensa che in questi ultimi sedici anni la percentuale di voti ai referendum si era sempre attestata ben al di sotto del quorum.
Si è espressa con circa il 95% dei SI a tutti e quattro i referendum, che significa la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto, quindi anche se avesse votato il 100% (cosa mai successa in Italia), i SI avrebbero avuto comunque la maggioranza.
Come avevamo già detto nei giorni scorsi, quando con un pizzico di azzardo immaginavamo un risultato positivo, è una vittoria dei comitati, dei movimenti sociali, del sindacalismo di base che fin da subito si è impegnato in questi referendum, delle persone tutte che hanno votato SI.
Allora la smettano i partiti parlamentari di centro-sinistra, e tutti quelli che parlamentari non sono ma che gli fanno la corte (o da corte), nel tentare di cavalcare la tigre.
E' una vittoria contro il Governo certo, perché è un Governo che voleva privatizzare l'acqua e farne fare profitti (Decreto Ronchi del 2009), che voleva reintrodurre il nucleare (Legge 99 del 2009 e sue successive integrazioni e modifiche), che ha fatto delle leggi uno strumento per risolvere le questioni giudiziarie personali del Premier e dei suoi Ministri, che ha fatto di tutto per mettere i bastoni fra le ruote al buon esito dei referendum. La vittoria dei SI è una sciabolata al cuore di questo Governo, accelerando la crisi del blocco berlusconiano. Ma è anche una spina nel fianco, e forse ancor più di una spina, per coloro che si candidano a sostituirlo e che già governano molti Enti locali, da Milano a Torino, dall'Emilia Romagna alla Puglia, solo per citarne alcuni, e che nel passato hanno fatto delle privatizzazioni e dello sviluppismo l’essenza del proprio agire politico ed amministrativo. La vittoria dei SI, e di tutti coloro che si sono così espressi, è un fatto dal quale non si potrà tornare indietro, da oggi tutti ne dovranno tener conto e ci dovranno fare i conti.
Ora godiamoci questa vittoria, ma subito dopo, soffocando con non poca difficoltà l'euforia, cominciamo anche a farne una occasione di analisi per comprenderne il suo significato. Analisi che avrà bisogno di una intelligenza collettiva e che ci vedrà impegnati nei prossimi giorni, ma alcune immediate possiamo provare a farne.
Intanto ha restituito uno strumento di democrazia ai cittadini, ed ha espresso la difesa e il rilancio della democrazia diretta e partecipativa. Le classi dominanti, sopratutto in questi ultimi venti anni, hanno brutalizzato la vita democratica nel nostro paese, oltre a quella politica, economica e sociale. Una brutalizzazione che trova responsabilità non solo nella destra, ma anche nei governi di centro-sinistra sia nazionali che locali, che hanno condiviso il disegno della cosiddetta modernizzazione del paese in senso capitalista. La vittoria a questo referendum ha affermato la voglia di partecipazione, che va oltre la mera espressione del voto elettorale alle consultazioni politiche e amministrative, ma anche oltre alla stessa espressione del voto referendario pur difendendolo.
Ha affermato un concetto di sostenibilità ambientale dello sviluppo che lega quest'ultimo a quello di compatibilità sociale, e ha posto il problema del controllo e della redistribuzione delle ricchezze naturali. Ha messo in evidenza la necessità di un’inversione di tendenza, una tendenza che ha visto in questi ultimi due decenni la privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali e nazionali e dei settori produttivi strategici, con la ridefinizione degli scopi della produzione. Una situazione che ha determinato centinaia di migliaia di licenziamenti e perdita di posti di lavoro, la chiusura di numerosi impianti produttivi, la nascita di trust e di politiche "protezioniste" e di monopolio che, anziché far aumentare l'efficienza e diminuire i prezzi come sostenevano i fautori delle privatizzazioni, hanno fatto aumentare in modo sfrenato le tariffe e la quantità dei servizi e dei prodotti, che ha annullato l’interesse collettivo che obbligatoriamente uno Stato civile deve perseguire. La ridefinizione degli scopi della produzione determinata dalle privatizzazioni, oltre ad avere avuto forti ripercussioni sull'occupazione, sul welfare e sul rapporto qualità-prezzi, ha provocato anche forti cambiamenti nelle politiche economiche, ambientali e internazionali, prime fra tutte quelle energetiche.
E proprio anche sulle politiche energetiche si sono espressi gli italiani, dicendo un netto SI per fermare il rilancio dell'energia nucleare in Italia. E non per una irrazionale spinta emotiva causata dal disastro di Fukushima come qualcuno sostiene. Questo disastro, che per gli effetti devastanti che ha provocato purtroppo è avvenuto, è servito alla presa di coscienza dell'irrazionalità dello sviluppo delle forze produttive che non tiene conto degli interessi collettivi, primi fra tutti la salute pubblica, la difesa dei territori e della qualità ambientale, che non tiene conto dei limiti della natura. Bloccare il nucleare ha significato ribadire che dalla crisi energetica non si può cercare di uscirne continuando a sostenere la produzione capitalista che sussume la natura e che crea effetti devastanti sulle condizioni sociali. Come ha posto l'accento sulla necessità di nuovi paradigmi di sviluppo, che non necessariamente significano il "ritorno alla candela", ma che pongano l'accento sulla qualità della vita e non necessariamente sulla quantità.
di Mimmo Vasapollo, Rete dei Comunisti
Si è espressa con circa il 95% dei SI a tutti e quattro i referendum, che significa la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto, quindi anche se avesse votato il 100% (cosa mai successa in Italia), i SI avrebbero avuto comunque la maggioranza.
Come avevamo già detto nei giorni scorsi, quando con un pizzico di azzardo immaginavamo un risultato positivo, è una vittoria dei comitati, dei movimenti sociali, del sindacalismo di base che fin da subito si è impegnato in questi referendum, delle persone tutte che hanno votato SI.
Allora la smettano i partiti parlamentari di centro-sinistra, e tutti quelli che parlamentari non sono ma che gli fanno la corte (o da corte), nel tentare di cavalcare la tigre.
E' una vittoria contro il Governo certo, perché è un Governo che voleva privatizzare l'acqua e farne fare profitti (Decreto Ronchi del 2009), che voleva reintrodurre il nucleare (Legge 99 del 2009 e sue successive integrazioni e modifiche), che ha fatto delle leggi uno strumento per risolvere le questioni giudiziarie personali del Premier e dei suoi Ministri, che ha fatto di tutto per mettere i bastoni fra le ruote al buon esito dei referendum. La vittoria dei SI è una sciabolata al cuore di questo Governo, accelerando la crisi del blocco berlusconiano. Ma è anche una spina nel fianco, e forse ancor più di una spina, per coloro che si candidano a sostituirlo e che già governano molti Enti locali, da Milano a Torino, dall'Emilia Romagna alla Puglia, solo per citarne alcuni, e che nel passato hanno fatto delle privatizzazioni e dello sviluppismo l’essenza del proprio agire politico ed amministrativo. La vittoria dei SI, e di tutti coloro che si sono così espressi, è un fatto dal quale non si potrà tornare indietro, da oggi tutti ne dovranno tener conto e ci dovranno fare i conti.
Ora godiamoci questa vittoria, ma subito dopo, soffocando con non poca difficoltà l'euforia, cominciamo anche a farne una occasione di analisi per comprenderne il suo significato. Analisi che avrà bisogno di una intelligenza collettiva e che ci vedrà impegnati nei prossimi giorni, ma alcune immediate possiamo provare a farne.
Intanto ha restituito uno strumento di democrazia ai cittadini, ed ha espresso la difesa e il rilancio della democrazia diretta e partecipativa. Le classi dominanti, sopratutto in questi ultimi venti anni, hanno brutalizzato la vita democratica nel nostro paese, oltre a quella politica, economica e sociale. Una brutalizzazione che trova responsabilità non solo nella destra, ma anche nei governi di centro-sinistra sia nazionali che locali, che hanno condiviso il disegno della cosiddetta modernizzazione del paese in senso capitalista. La vittoria a questo referendum ha affermato la voglia di partecipazione, che va oltre la mera espressione del voto elettorale alle consultazioni politiche e amministrative, ma anche oltre alla stessa espressione del voto referendario pur difendendolo.
Ha affermato un concetto di sostenibilità ambientale dello sviluppo che lega quest'ultimo a quello di compatibilità sociale, e ha posto il problema del controllo e della redistribuzione delle ricchezze naturali. Ha messo in evidenza la necessità di un’inversione di tendenza, una tendenza che ha visto in questi ultimi due decenni la privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali e nazionali e dei settori produttivi strategici, con la ridefinizione degli scopi della produzione. Una situazione che ha determinato centinaia di migliaia di licenziamenti e perdita di posti di lavoro, la chiusura di numerosi impianti produttivi, la nascita di trust e di politiche "protezioniste" e di monopolio che, anziché far aumentare l'efficienza e diminuire i prezzi come sostenevano i fautori delle privatizzazioni, hanno fatto aumentare in modo sfrenato le tariffe e la quantità dei servizi e dei prodotti, che ha annullato l’interesse collettivo che obbligatoriamente uno Stato civile deve perseguire. La ridefinizione degli scopi della produzione determinata dalle privatizzazioni, oltre ad avere avuto forti ripercussioni sull'occupazione, sul welfare e sul rapporto qualità-prezzi, ha provocato anche forti cambiamenti nelle politiche economiche, ambientali e internazionali, prime fra tutte quelle energetiche.
E proprio anche sulle politiche energetiche si sono espressi gli italiani, dicendo un netto SI per fermare il rilancio dell'energia nucleare in Italia. E non per una irrazionale spinta emotiva causata dal disastro di Fukushima come qualcuno sostiene. Questo disastro, che per gli effetti devastanti che ha provocato purtroppo è avvenuto, è servito alla presa di coscienza dell'irrazionalità dello sviluppo delle forze produttive che non tiene conto degli interessi collettivi, primi fra tutti la salute pubblica, la difesa dei territori e della qualità ambientale, che non tiene conto dei limiti della natura. Bloccare il nucleare ha significato ribadire che dalla crisi energetica non si può cercare di uscirne continuando a sostenere la produzione capitalista che sussume la natura e che crea effetti devastanti sulle condizioni sociali. Come ha posto l'accento sulla necessità di nuovi paradigmi di sviluppo, che non necessariamente significano il "ritorno alla candela", ma che pongano l'accento sulla qualità della vita e non necessariamente sulla quantità.
di Mimmo Vasapollo, Rete dei Comunisti
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