La mobilitazione che ha portato ai referendum sull'acqua e alla loro splendida vittoria ha in realtà coagulato intorno alla battaglia per la tutela dei "beni comuni" una rete capillare di comitati, movimenti, associazioni, organizzazioni di base, che all'ombra dei radar della grande comunicazione mediatica sono impegnati a contrastare efficacemente, a partire dai propri territori, gli effetti devastanti del modello liberista sulla condizione di vita materiale delle persone, sull'ambiente ed i beni comuni, sul diritto al lavoro ed al futuro. Una rete di soggetti, ora più forti e strutturati, capaci di opporsi alla privatizzazione di beni comuni e servizi fondamentali, alla devastazione ed al consumo di territorio con infrastrutture ed insediamenti inutili e dannosi, alla delocalizzazione ed allo smantellamento di insediamenti produttivi, alla precarizzazione ed alla cancellazione dei diritti del lavoro, alla costruzione di anacronistiche ed inquinanti centrali energetiche ed inceneritori di rifiuti, alla marginalizzazione ed alla distruzione dei luoghi dell'istruzione pubblica e dei saperi. Ma anche in grado, proprio a partire dalla partecipazione e dalla socializzazione della conoscenza, di progettare e costruire vertenze locali finalizzate ad affermare un diverso modello di economia e di società. Pratiche capaci di mettere in campo localmente modelli gestionali partecipati ed efficienti dei servizi pubblici locali; modalità efficaci e responsabili di riduzione, recupero e riciclaggio dei rifiuti; alleanze, filiere corte ed intrecci solidali con l'agricoltura diffusa della varietà e delle qualità; nuovi piani industriali, elaborati in virtuose sinergie con il mondo dei saperi e le università al fine dare futuro, valore e sostenibilità ad insediamenti produttivi che il padronato smantella o delocalizza a fini speculativi; modelli di mobilità collettiva e sostenibile e sistema di trasporti alternativi: una soggettività diffusa che, di certo, ha avuto un ruolo determinante nel sollevare quel vento di sinistra e d'alternativa che ha caratterizzato l'esito straordinario delle recenti elezioni amministrative. Con essa la Federazione della sinistra si è ovunque relazionata in modo estremamente positivo intrecciando svariate sinergie, interne o esterne alle proprie liste elettorali.
In tutti i casi queste realtà di protagonismo sociale, decisamente orientate ai contenuti, hanno favorito forme di unità più avanzate e alternative tra le forze di sinistra. E forse il nostro dato elettorale, decisamente superiore alle previsioni dei faziosi sondaggisti di regime, risente molto spesso degli effetti positivi di queste relazioni.
Vinto il referendum, questa rete non può di certo smobilitare e deve restare in campo, non solo per sventare le subdole manovre già in atto da parte di entrambi i poli per vanificare i risultati del voto popolare, cioè la messa al bando dalla gestione dell'acqua dei privati, del profitto e delle spa, quotate o non quotate in borsa, ma anche e soprattutto per dare gambe solide ad un processo di trasformazione radicale del modello sociale ed economico. Un'alternativa che non può certamente generarsi facendo affidamento a dinamiche interne all'attuale sistema politico bipolare ampiamente omologato nel modello economico liberista, più o meno temperato. Un sistema escludente, malato di autoreferenzialità, separatezza e leaderismo.
Affinché ciò si materializzi non può ovviamente essere eluso o semplificato il nodo della sua strutturazione, con modalità organizzative certamente leggere e orizzontali, e delle sue relazioni, del suo impatto nei luoghi della rappresentanza, nelle istituzioni della democrazia rappresentativa.
Non c'è altro soggetto politico che per la propria visione coerentemente antiliberista, per la propria collocazione autonoma rispetto ai poli dell'attuale sistema politico, per presenza e ruolo attivo nei conflitti sociali, sia più idoneo della Federazione della sinistra per favorire lo sviluppo di tale processo, per costituirne l'interlocutore privilegiato, il lievito e il sale.
Un processo di tale natura può peraltro favorire la riaggregazione dal basso, sui contenuti, nel vivo delle pratiche sociali, di tutte le forze della sinistra, smontando nel contempo ogni pericolosa ipotesi volta a cavalcare le potenzialità antagoniste e alternative di questa soggettività diffusa in funzione di ipotesi politiciste e leaderistiche di alternanza, tutte interne alle degenerazioni del modello bipolare.
Insomma ci sono tutte le ragioni e le condizioni per non far decantare questi processi virtuosi, per investirvi le nostre energie, per far crescere il progetto della Federazione proprio dentro di essi, con il rispetto per le rispettive autonomie, con l'umiltà di "camminare ascoltando". Non si tratta di avviare in quegli ambiti una sterile azione di proselitismo diffuso, ma di dar vita, in particolare dove sono più forti queste relazioni, a modalità e spazi di coordinamento locale aperti e permanenti della sinistra alternativa. Laboratori partecipativi, fatti di tavoli tematici capaci di tenere insieme competenze e aspirazioni sui beni comuni, la mobilità, l'uso del territorio, l'energia, l'agricoltura e la sua relazione con le realtà urbane, la riconversione del sistema industriale verso l'utilità sociale… e tutto ciò che serve per dare corpo ad una trasformazione indispensabile che ora ci appare ancora più possibile di ieri.
Massimo Rossi, portavoce nazionale FdS
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