Nel mese di maggio sono stati prodotti una serie di documenti, analisi e rapporti che da un lato hanno evidenziato la pesantezza della crisi economica che il nostro paese sta ancora attraversando e dall'altro hanno certificato l'assoluta inadeguatezza dell'azione di governo.
Dapprima è stata l'Istat a sottolineare la bassa capacità di crescita dell'economia italiana e le sue ripercussioni sul mercato del lavoro, con 532.000 occupati in meno tra il 2009 ed il 2010, 2 milioni di potenziali lavoratori che si sono ritirati dal mercato del lavoro e quasi un'intera generazione, altri 2 milioni, che non lavora, non studia non fa formazione (i cosiddetti NEET, no employment, no education, no training).
Poi c'è stato il rapporto della Corte dei Conti che senza tanti giri di parole ha ricordato che “per tenere fede ai vincoli europei occorrerà un aggiustamento dei conti pubblici paragonabile a quello degli anni Novanta per l'ingresso dell'Italia nella moneta unica” e che per rispettare l'obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2014 è necessario mantenere “un saldo primario (rapporto tra entrate e spese al netto della spesa per interessi) elevato, il che comporta continui aggiustamenti della finanza pubblica ed un futuro fatto di continue manovre di aggiustamento”. Tradotto alla manovra di 43 miliardi che si prevede venga varata entro fine giugno, ne dovranno seguire altre di stessa ampiezza nei prossimi anni fino al 2014, ovvero tre manovre di entità pari a quella famosa “lacrime e sangue” del governo Amato.. Resta aperto il problema della crescita, perché, avverte la Corte dei Conti, “una politica di restrizione della spesa pubblica porterà effetti depressivi sull'economia”.
A ruota è intervenuta l'agenzia di rating Standard and Poor's che ha abbassato da stabile a negativo il suo parere sulle prospettive future di buon pagatore dello stato italiano perché giudica, e qui sta la novità, “deboli le attuali prospettive di crescita ed incerto l'impegno politico nelle riforme e per migliorare la produttività”.
Poi c'è stato il rapporto della Corte dei Conti che senza tanti giri di parole ha ricordato che “per tenere fede ai vincoli europei occorrerà un aggiustamento dei conti pubblici paragonabile a quello degli anni Novanta per l'ingresso dell'Italia nella moneta unica” e che per rispettare l'obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2014 è necessario mantenere “un saldo primario (rapporto tra entrate e spese al netto della spesa per interessi) elevato, il che comporta continui aggiustamenti della finanza pubblica ed un futuro fatto di continue manovre di aggiustamento”. Tradotto alla manovra di 43 miliardi che si prevede venga varata entro fine giugno, ne dovranno seguire altre di stessa ampiezza nei prossimi anni fino al 2014, ovvero tre manovre di entità pari a quella famosa “lacrime e sangue” del governo Amato.. Resta aperto il problema della crescita, perché, avverte la Corte dei Conti, “una politica di restrizione della spesa pubblica porterà effetti depressivi sull'economia”.
A ruota è intervenuta l'agenzia di rating Standard and Poor's che ha abbassato da stabile a negativo il suo parere sulle prospettive future di buon pagatore dello stato italiano perché giudica, e qui sta la novità, “deboli le attuali prospettive di crescita ed incerto l'impegno politico nelle riforme e per migliorare la produttività”.
Da ultimo le Considerazioni finali del governatore di Banca d'Italia così sintetizzabili: bassa crescita (la crescita italiana negli ultimi 10 anni è stata la più deludente tra tutte le grandi economie dell'Unione Europea, 0,2% l'anno a fronte dell'1,3% della media europea), bassi salari, fermi ormai da 10 anni, una produttività stagnante, bassi investimenti, bassi consumi, tasse alte ed una tenuta dei conti pubblici affidata a tagli lineari delle spese che ha finito per deprimere ulteriormente la crescita.
Pesantezza della crisi ed inadeguatezza dell'azione di governo sono elementi progressivamente assimilati da una parte importante di società italiana che fino ad ieri si fidava delle capacità imprenditoriali di Berlusconi e ciò ha contribuito in modo determinante alla vittoria del centro sinistra in quest'ultima tornata di elezioni amministrative. Partendo da Milano, a fare la differenza non è stato un improvviso cambio di posizione dei fans del Grande fratello o l'Isola dei Famosi, ma lo schierarsi a favore di Pisapia di buona parte della “borghesia” imprenditoriale milanese, il gruppo dei 51 formatosi attorno a Piero Bassetti, banchieri del calibro di Alessandro Profumo e Piero Schlesinger, solo per fare alcuni nomi. E questo fenomeno a livelli diversi si è ripetuto sistematicamente in tutto il Nord, da Torino a Novara a Trieste, ai tanti piccoli comuni dell'hinterland (Gallarate, Rho, Limbiate, San Giuliano Milanese, Desio, Arcore, ecc.). Insomma quell'Italia delle piccole e medie imprese affascinata dalle roboanti promesse di benessere e felicità del cavaliere di Arcore come i grandi centri del capitalismo italiano che guardano con preoccupazione al futuro internazionale dell'Italia, inizia a stancarsi di questo centro destra e si rivolge altrove.
E questo è il primo problema per il centro sinistra, uscire dal generico e dire con chiarezza come e cosa intende fare per la crescita del paese, per la tenuta dei conti pubblici, per il rilancio dell'occupazione, per la salvaguardia delle fasce più deboli. Il centro sinistra da mesi continua a dire che invece di occuparsi dei guai giudiziari del Presidente del Consiglio vorrebbe parlare dei problemi reali del paese, dell'occupazione che non c'è, della crescita che stenta e così via. Bene chi lo impedisce, è ora che il centro sinistra inizi un tour del paese per spiegare le sue proposte. Ma questo centro sinistra è in grado di compiere questa operazione, questo salto di qualità che, al di là di ogni ragionevole dubbio, lo presenti al paese come reale forza di alternativa al fallimentare governo delle destre? Passata l'euforia per la vittoria, per alcuni inaspettata e forse per questo anche un po' immeritata, non sarà il caso di riflettere su come consolidare questi risultati, magari facendo anche una riflessione critica sul disastro meridionale, in alcuni caso esito finale di pulsioni suicide (vedi Calabria)? E l'unico modo per consolidare il risultato è far vedere che esiste un centro sinistra, non un'informe accozzaglia di ceti politici, ha un suo programma, una sua ricetta per l'Italia, un suo gruppo dirigente.
Franco Calistri, www.umbrialeft.it
Pesantezza della crisi ed inadeguatezza dell'azione di governo sono elementi progressivamente assimilati da una parte importante di società italiana che fino ad ieri si fidava delle capacità imprenditoriali di Berlusconi e ciò ha contribuito in modo determinante alla vittoria del centro sinistra in quest'ultima tornata di elezioni amministrative. Partendo da Milano, a fare la differenza non è stato un improvviso cambio di posizione dei fans del Grande fratello o l'Isola dei Famosi, ma lo schierarsi a favore di Pisapia di buona parte della “borghesia” imprenditoriale milanese, il gruppo dei 51 formatosi attorno a Piero Bassetti, banchieri del calibro di Alessandro Profumo e Piero Schlesinger, solo per fare alcuni nomi. E questo fenomeno a livelli diversi si è ripetuto sistematicamente in tutto il Nord, da Torino a Novara a Trieste, ai tanti piccoli comuni dell'hinterland (Gallarate, Rho, Limbiate, San Giuliano Milanese, Desio, Arcore, ecc.). Insomma quell'Italia delle piccole e medie imprese affascinata dalle roboanti promesse di benessere e felicità del cavaliere di Arcore come i grandi centri del capitalismo italiano che guardano con preoccupazione al futuro internazionale dell'Italia, inizia a stancarsi di questo centro destra e si rivolge altrove.
E questo è il primo problema per il centro sinistra, uscire dal generico e dire con chiarezza come e cosa intende fare per la crescita del paese, per la tenuta dei conti pubblici, per il rilancio dell'occupazione, per la salvaguardia delle fasce più deboli. Il centro sinistra da mesi continua a dire che invece di occuparsi dei guai giudiziari del Presidente del Consiglio vorrebbe parlare dei problemi reali del paese, dell'occupazione che non c'è, della crescita che stenta e così via. Bene chi lo impedisce, è ora che il centro sinistra inizi un tour del paese per spiegare le sue proposte. Ma questo centro sinistra è in grado di compiere questa operazione, questo salto di qualità che, al di là di ogni ragionevole dubbio, lo presenti al paese come reale forza di alternativa al fallimentare governo delle destre? Passata l'euforia per la vittoria, per alcuni inaspettata e forse per questo anche un po' immeritata, non sarà il caso di riflettere su come consolidare questi risultati, magari facendo anche una riflessione critica sul disastro meridionale, in alcuni caso esito finale di pulsioni suicide (vedi Calabria)? E l'unico modo per consolidare il risultato è far vedere che esiste un centro sinistra, non un'informe accozzaglia di ceti politici, ha un suo programma, una sua ricetta per l'Italia, un suo gruppo dirigente.
Franco Calistri, www.umbrialeft.it
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