venerdì 10 giugno 2011

La parabola di SEL

L’intervista rilasciata alcuni giorni fa da Vendola al Corriere della Sera non costituisce l’ennesimo ballon d’essai, ma il punto di arrivo di un percorso politico che va considerato per quello che effettivamente è e cioè una proposta "organicamente moderata" che, peraltro, rimette in discussione la stessa collocazione politica di SEL.
Vendola, infatti, indica una prospettiva che si incardina su tre obiettivi: la costruzione di una nuova forza politica con il PD, l’apertura alle forze di centro (segnatamente l’UDC) e infine, la vera novità, una revisione programmatica, all’insegna del superamento della concezione tradizionale del welfare, dietro la quale non è difficile scorgere l’idea della estesa commistione fra pubblico e privato. Che si sia fatta finalmente un po’ di chiarezza è positivo e non solo per quanti nel paese hanno guardato al fenomeno Vendola con grande simpatia, ma anche per quanti, nella stessa SEL, avevano manifestato più di una perplessità sulle posizioni del governatore pugliese, ma ritenevano che si trattasse di pure astuzie tattiche, scelte contingenti e quindi modificabili.
Come interpretare queste posizioni? In primo luogo è evidente che il progetto politico di Vendola e quindi di SEL (perché è difficile pensare che SEL possa esistere senza Vendola) presuppone l’impossibilità della costruzione di una sinistra autonoma e, a maggior ragione, di una sinistra dal profilo radicale. Quello a cui si punta è l’assemblaggio di un’opinione pubblica democratica in cui coesistano orientamenti diversi. In ciò l’analogia con il pensiero veltroniano è del tutto evidente. L’unificazione con il PD è da questo punto di vista lo sbocco naturale. In questo disegno le primarie hanno un senso perché diventano lo strumento di selezione della leadership di un soggetto politico o di un soggetto politico in formazione. Non credo, però, che tutto si spieghi con l’esigenza di rimuovere le resistenze del Pd alla partecipazione di Vendola alle primarie, In realtà vale l’opposto: le primarie sono sempre state concepite in funzione di un aggregato politico ampio che oltrepassasse i confini della sinistra e che rispondesse ad una logica bipolare
L’apertura esplicita all’UDC, ma ancora di più le dichiarazioni sul welfare, indicano con chiarezza che la costruzione di questo aggregato democratico, molto americano nella sua configurazione, richiede una notevole flessibilità e disinvoltura. Gli stessi contenuti possono essere plasmati con molta spregiudicatezza, per accaparrarsi il sostegno del moderatismo cattolico o per intercettare il consenso di settori compiacenti dei poteri forti. In questo contesto, le incursioni sui beni comuni o contro il politicismo del PD (molto più contenute quelle contro la guerra e non a caso) non fanno venir meno la sostanza di una linea che più ci si avvicinerà alle elezioni politiche, e a maggior ragione nel caso in cui si creassero le condizioni per un nuovo governo, evidenzierà la sua reale natura.
Mi pare altresì evidente che questa impostazione rompe a sinistra. Ne abbiamo già avuto alcuni esempi nelle elezioni amministrative, ma mi pare che ora la tendenza sia sempre più chiara. Non si tratta solo del tentativo di eliminare concorrenti politici, ma anche della necessità, ai fini della costruzione di un progetto moderato, di liberarsi degli impacci che possono derivare da un rapporto a sinistra. Non credo, tuttavia, che questa linea premierà Vendola e tantomeno SEL. Vedo in SEL molto disagio. Fino a prova contraria chi abbandonò i DS perché insoddisfatto del loro moderatismo e in polemica diretta con la costruzione del PD ha più di un problema nel tornare in un PD un po’ più grande. Né credo che, anche alla luce dei risultati elettorali delle amministrative, vi sia un grande consenso per una sinistra che si fa centro, seppure cavalcando le spinte al plebiscitarismo.
Benché credo che anche con chi sceglie percorsi diversi dai nostri sia giusto mantenere un dialogo e riproporre, anche ostinatamente, le ragioni che giustificano l’unità a sinistra, non mi illudo però che Vendola cambi facilmente strada. Ciò può avvenire solo se il percorso che ha scelto incontrerà seri ostacoli, tali da determinare una sconfitta di quell’ ipotesi politica. Questa previsione nasce da una considerazione. Nella parabola del vendolismo vedo molte analogie con quanto avvenne con la fine del PCI. Gli stessi argomenti: il nuovismo e la retorica dell’innovazione, l’enfasi sulla "sinistra di governo". Le stesse pratiche: le inclinazioni plebiscitarie e maggioritarie, la spregiudicatezza della manovra politica. In entrambi i casi all’origine vi è una rottura con la propria storia che alla fine si traduce in una chiara propensione all’omologazione. Per questo la dinamica di tali processi tende ad assumere caratteri di "irreversibilità".
Una riflessione al margine su di noi: il PRC e la FdS. Di fronte all’evoluzione delle posizioni di SEL il miglior modo per rispondere è quello di affrontare di petto la questione, sempre più strategica, della costruzione di una sinistra di alternativa. In fin dei conti Vendola afferma che una sinistra con una sua visione della società e con una sua alterità non ha senso. La risposta che gli va data non può essere né ideologica né di principio, ma partendo dalla concretezza dei bisogni, dalla natura della domanda sociale e dalle forme di rappresentanza della stessa. Ciò che si è verificato nel paese in questi mesi, e penso alle importanti mobilitazioni sociali, ai risultati delle recenti elezioni amministrative, a quello che si produrrà in occasione dei referendum, insieme con le aggregazioni di forze che nei territori si sono formate, costituisce la premessa per la costruzione di una sinistra di alternativa dal basso, fortemente collegata ad una pratica sociale, portatrice di una proposta alternativa di uscita dalla crisi. Questa deve essere la nostra scommessa.


Gianluigi Pegolo

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