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Il fondo per le politiche della famiglia è passato da 346,5 milioni a 52,5 milioni, il fondo pari opportunità da 64,4 a 2,2, il fondo politiche giovanili da 137,4 a 32,9, il fondo infanzia e adolescenza da 43,9 a 40, il fondo politiche sociali da 929,3 a 75,3, il fondo affitto da 205,6 a 33,5, il fondo servizio civile da 299,6 a 113.
Per non parlare dei tre fondi che sono stati addirittura azzerati, quello per la non-autosufficienza, quello dell’inclusione degli immigrati e quello dei servizi all’infanzia.
Cifre allucinanti, un Paese sostanzialmente immobile, dove la ricchezza è detenuta da poche persone e dove la crisi viene come al solito “socializzata” o meglio “scaricata” addosso al bisogno di unità abitative, al bisogno di una maggior integrazione, al bisogno di sostegno economico alle tante persone in difficoltà.
Una politica che va in controtendenza ai molti disagi che vive l’Italia, vecchi e nuovi. Sì, perchè ai vecchi problemi mai risolti se ne sono aggiunti altri, ancora più difficili da gestire, quasi insormontabili senza un sostegno determinabile da politiche sociali che abbiano una effettiva incidenza nella società.
Formulare una nuova capacità di visione è quanto mai urgente, in accordo anche con i risultati elettorali delle recenti elezioni amministrative.
Il cambiamento deve essere imminente, l’alfabeto di una alternativa al mondo di infelici che il capitalismo ha creato e continua a creare servendosi anche dell’aggressione finanziaria è una risposta positiva alle tante vertenze aperte, rinnovamento che deve partire a livello locale, con le nuove amministrazioni, più attente alla società civile e a quello che esprime in forma di disagio.
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