La vittoria dei referendum è un grande passo in avanti, un segnale inequivocabile e, al contempo, un’accelerazione nello spostamento a sinistra del Paese. Dopo le amministrative, il governo è stato di nuovo sconfitto: deve andarsene, e ora ci vuole un salto di qualità nella mobilitazione popolare per chiederne le dimissioni.
Indubbiamente Berlusconi è stato colpito al cuore: la cancellazione del legittimo impedimento è un segnale nettissimo e senza appello contro l’utilizzo del governo e del potere istituzionale da parte del premier per sottrarsi ai processi e per questa via continuare a fare i propri affari.
Il secondo pronunciamento popolare contro il nucleare, dopo il referendum del 1987, mostra un’opinione pubblica attenta e “permeabile”. Fino a pochi mesi fa tutti i sondaggi davano, infatti, gli italiani favorevoli al ritorno del nucleare nel nostro Paese. Il disastro giapponese ha aperto una falla, ha sollevato domande inquietanti, ha riattivato la voglia di informarsi e la mobilitazione.
Ma certamente il risultato più importante e clamoroso, dal punto di vista politico, riguarda i referendum sull’acqua pubblica. Già a partire dalla raccolta delle firme si è mossa ed è cresciuta una “coalizione dal basso”, formata da singoli, comitati, associazioni, forze sociali e politiche. Ha sfidato i poteri e le diverse sponde politiche che dalle privatizzazioni hanno tutto da guadagnarci. Ed ha incontrato tante e tanti interessate/i ad ascoltare e a firmare perchè indisponibili alla mercificazione di un bene comune come l’acqua.
Il nodo dell’acqua pubblica scava in profondità e va oltre il semplice antiberlusconismo esattamente perchè, in questi anni, destra e centrosinistra sono andate a braccetto nel declinare le privatizzazioni. Ora, quelle politiche escono clamorosamente sconfitte e smentite dal voto referendario.
Anche il Partito Democratico si è mobilitato in queste settimane e, a sua volta, ha dato un contributo decisivo al raggiungimento del quorum, con l’obiettivo di dare la spallata finale a Berlusconi. Su questo la “coalizione dal basso” deve continuare a farsi sentire: non ha perso solo Berlusconi, cosa molto importante, ma hanno perso le politiche basate sulla mercificazione dei beni comuni, dei territori e della salute. E deve andare avanti oltre la scadenza referendaria, chiedendo una discontinuità reale sulle politiche. Va cioè evitato il tentativo – che ci sarà – di “capitalizzare” i risultati referendari nello schema bipolare, secondo cui perde uno schieramento e vince l’altro, sul terreno però di una continuità politica di fondo.
Questa vittoria referendaria, inoltre, è un contributo alla ricostruzione della politica come luogo collettivo e partecipato, dentro cui si articolano i conflitti. Non è infatti legata a nessuna elezione diretta, a nessun volto da votare e a nessun leader da applaudire. E’ soprattutto il frutto di una costruzione reticolare, plurale e collettiva e dello spostamento progressivo dell’opinione pubblica.
Anche per questo Rifondazione Comunista e la Fds devono investire fortemente in quella direzione. Anche interrogandosi: sulle forme, sulle modalità, sui linguaggi e sul coinvolgimento della mobilitazione. Come è possibile contribuire e lavorare perchè quella “coalizione dal basso” sia sempre più, pur nella pluralità e in un’articolazione anche conflittuale, una soggettività politica in grado di mettere in discussione le politiche neo-liberiste. Come è possibile, per quanto riguarda noi, andare al di là di una generosa e indispensabile partecipazione, di un apporto organizzativo che spesso e volentieri, nei territori, c’è stato?
Ed infine è chiaro che la battaglia sui beni comuni ci dà segnali preziosi per ripensare il comunismo del terzo millennio. Perchè è vero che questa mobilitazione e questa vittoria cambiano la situazione politica e il Paese. Ma devono cambiare anche noi. Chiamano in causa, per l’appunto, le nostre priorità, le nostre pratiche e i nostri linguaggi.
Non è in discussione il “se” essere comunisti, ma il “come” essere comunisti.
Il vento sta cambiando e noi non dobbiamo, non possiamo restare fermi. Costruiamo la sinistra di alternativa e comunista, anche e soprattutto a partire da qui.
di Nando Mainardi, www.piovonopietre.it
Indubbiamente Berlusconi è stato colpito al cuore: la cancellazione del legittimo impedimento è un segnale nettissimo e senza appello contro l’utilizzo del governo e del potere istituzionale da parte del premier per sottrarsi ai processi e per questa via continuare a fare i propri affari.
Il secondo pronunciamento popolare contro il nucleare, dopo il referendum del 1987, mostra un’opinione pubblica attenta e “permeabile”. Fino a pochi mesi fa tutti i sondaggi davano, infatti, gli italiani favorevoli al ritorno del nucleare nel nostro Paese. Il disastro giapponese ha aperto una falla, ha sollevato domande inquietanti, ha riattivato la voglia di informarsi e la mobilitazione.
Ma certamente il risultato più importante e clamoroso, dal punto di vista politico, riguarda i referendum sull’acqua pubblica. Già a partire dalla raccolta delle firme si è mossa ed è cresciuta una “coalizione dal basso”, formata da singoli, comitati, associazioni, forze sociali e politiche. Ha sfidato i poteri e le diverse sponde politiche che dalle privatizzazioni hanno tutto da guadagnarci. Ed ha incontrato tante e tanti interessate/i ad ascoltare e a firmare perchè indisponibili alla mercificazione di un bene comune come l’acqua.
Il nodo dell’acqua pubblica scava in profondità e va oltre il semplice antiberlusconismo esattamente perchè, in questi anni, destra e centrosinistra sono andate a braccetto nel declinare le privatizzazioni. Ora, quelle politiche escono clamorosamente sconfitte e smentite dal voto referendario.
Anche il Partito Democratico si è mobilitato in queste settimane e, a sua volta, ha dato un contributo decisivo al raggiungimento del quorum, con l’obiettivo di dare la spallata finale a Berlusconi. Su questo la “coalizione dal basso” deve continuare a farsi sentire: non ha perso solo Berlusconi, cosa molto importante, ma hanno perso le politiche basate sulla mercificazione dei beni comuni, dei territori e della salute. E deve andare avanti oltre la scadenza referendaria, chiedendo una discontinuità reale sulle politiche. Va cioè evitato il tentativo – che ci sarà – di “capitalizzare” i risultati referendari nello schema bipolare, secondo cui perde uno schieramento e vince l’altro, sul terreno però di una continuità politica di fondo.
Questa vittoria referendaria, inoltre, è un contributo alla ricostruzione della politica come luogo collettivo e partecipato, dentro cui si articolano i conflitti. Non è infatti legata a nessuna elezione diretta, a nessun volto da votare e a nessun leader da applaudire. E’ soprattutto il frutto di una costruzione reticolare, plurale e collettiva e dello spostamento progressivo dell’opinione pubblica.
Anche per questo Rifondazione Comunista e la Fds devono investire fortemente in quella direzione. Anche interrogandosi: sulle forme, sulle modalità, sui linguaggi e sul coinvolgimento della mobilitazione. Come è possibile contribuire e lavorare perchè quella “coalizione dal basso” sia sempre più, pur nella pluralità e in un’articolazione anche conflittuale, una soggettività politica in grado di mettere in discussione le politiche neo-liberiste. Come è possibile, per quanto riguarda noi, andare al di là di una generosa e indispensabile partecipazione, di un apporto organizzativo che spesso e volentieri, nei territori, c’è stato?
Ed infine è chiaro che la battaglia sui beni comuni ci dà segnali preziosi per ripensare il comunismo del terzo millennio. Perchè è vero che questa mobilitazione e questa vittoria cambiano la situazione politica e il Paese. Ma devono cambiare anche noi. Chiamano in causa, per l’appunto, le nostre priorità, le nostre pratiche e i nostri linguaggi.
Non è in discussione il “se” essere comunisti, ma il “come” essere comunisti.
Il vento sta cambiando e noi non dobbiamo, non possiamo restare fermi. Costruiamo la sinistra di alternativa e comunista, anche e soprattutto a partire da qui.
di Nando Mainardi, www.piovonopietre.it
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