Falconi e avvoltoi/1
Conosco
Antonio Ingroia da 15 anni e non l’ho mai sentito paragonarsi a Falcone o a
Borsellino. Semplicemente gli ho sentito ricordare due dati storici: nel 1988,
neomagistrato, fu “uditore” di Falcone; poi nell’89 andò a lavorare alla
Procura di Marsala guidata da Borsellino, di cui fu uno degli allievi
prediletti. Nemmeno l’altro giorno Ingroia s’è paragonato a Falcone.
S’è
limitato a ricordare un altro fatto storico: appena Falcone si avvicinò alla
politica (e di parecchio), andando a lavorare al ministero della Giustizia
retto da Martelli nel governo Andreotti, fu bersagliato da feroci attacchi,
anche da parte di colleghi, molto simili a quelli hanno investito l’Ingroia
politico. Dunque non si comprende (se non con l’emozione di un lutto mai
rimarginato per la scomparsa di una persona molto cara) l’uscita di Ilda
Boccassini che intima addirittura a Ingroia di “vergognarsi” perché avrebbe
“paragonato la sua piccola figura di magistrato a quella di Falcone” distante
da lui “milioni di anni luce”. Siccome Ingroia non s’è mai paragonato a
Falcone, la Boccassini dovrebbe scusarsi con lui per gl’insulti che, oltre a
interferire pesantemente nella campagna elettorale, si fondano su un dato
falso. Ciascuno è libero di ritenere un magistrato migliore o peggiore di un
altro, ma non di raccontare bugie. Specie se indossa la toga. E soprattutto se
si rivolge a uno dei tre o quattro magistrati che in questi 20 anni più si sono
battuti per scoprire chi uccise Falcone e Borsellino. Roberto Saviano tiene a
ricordare che “Falcone non fece mai politica”: ma neppure questo è vero.
Roberto è troppo giovane per sapere ciò che, in un’intervista per MicroMega,
Maria Falcone mi confermò qualche anno fa: nel '91 suo fratello decise di usare
il dissidio fra Craxi e Martelli per imprimere una svolta alla lotta alla mafia
dall’interno del governo Andreotti, pur sapendo benissimo di quale sistema
facevano o avevano fatto parte quei politici. Difficile immaginare una scelta
più politica di quella. Ora però sarebbe il caso che tutti – politici,
magistrati e giornalisti – siglassero una moratoria su Falcone e Borsellino,
per evitare di tirarli ancora in ballo in campagna elettorale. Tutti, però: non
solo qualcuno. Anche chi, l’estate scorsa, usò i due giudici morti per
contrapporli ai vivi: cioè a Ingroia e Di Matteo, rei di avere partecipato alla
festa del Fatto, mentre “Falcone e Borsellino parlavano solo con le sentenze”.
Plateale menzogna, visto che entrambi furono protagonisti di centinaia di
dibattiti pubblici, feste del Msi e dell’Unità, programmi tv, libri, articoli.
Queste assurde polemiche dividono e disorientano il fronte della legalità,
regalando munizioni a chi non chiede di meglio per sporchi interessi di
bottega. Ma vien da domandarsi perché né la Boccassini né la Falcone aprirono
bocca due anni fa, quando Alfano, ministro della Giustizia di Berlusconi, si
appropriò di Falcone per attribuirgli financo la paternità della controriforma
della giustizia. Né mai fiatarono ogni volta che politici collusi o ignavi
sfilarono in passerella a Palermo negli anniversari delle stragi, salvo poi
tradire la memoria dei due martiri trattando con la mafia, o tacendo sulle
trattative, o depistando le indagini sulle trattative. Chissà poi dov’erano le
alte e basse toghe che ora si stracciano le vesti per la candidatura di Ingroia
quando entrarono in politica Violante, Ayala, Casson, Maritati, Mantovano,
Nitto Palma, Cirami, Carrara, Finocchiaro, Carofiglio, Della Monica, Tenaglia,
Ferranti, Caliendo, Centaro, Papa, Lo Moro, su su fino a Scalfaro. E dove
spariscono quando si tratta di dedicare a Grasso le critiche riservate a
Ingroia. Se poi Ingroia deve espiare la colpa di aver indagato su mafia e politica,
di aver fatto condannare Contrada, Dell’Utri, Inzerillo, Gorgone e di aver
mandato alla sbarra chi trattò con i boss che avevano appena assassinato
Falcone e Borsellino, lo dicano. Così almeno è tutto più chiaro.
Falconi e avvoltoi/2
La polemica tra la pm Boccassini e l'ex pm Ingroia
porta a galla le inquietudini del passato e del futuro. L'eliminazione
delle dissonanze dalle esigenze della Due
giorni dopo il battibecco Boccassini-Ingroia sulla memoria di Falcone,
tutti hanno già dimenticato chi ha cominciato: la Boccassini, col suo
“vergognati” a Ingroia per un paragone mai fatto fra se stesso a
Falcone. Non è la prima volta che la valorosa pm perde la trebisonda
appena sente nominare l’amico ucciso. Il 25 maggio ’92, commemorandolo
al Palagiustizia di Milano subito dopo Capaci, puntò il dito su un
esterrefatto Gherardo Colombo: “Anche tu diffidavi di Giovanni, perché
sei andato al suo funerale?”. E ricordò che, a lei, Falcone telefonava
ogni giorno e le aveva confidato “l’ultima ingiustizia subita proprio
dai pm milanesi, che gli avevano mandato una rogatoria senza allegati.
Giovanni mi telefonò: ‘Che amarezza, non si fidano del direttore degli
Affari penali’”. In realtà il pool Mani Pulite di Falcone si fidava: non
si fidava di altri dirigenti del ministero, tipo Filippo Verde, poi
coinvolto nell’inchiesta Toghe Sporche della stessa Boccassini per
rapporti finanziari con Previti & C. Oggi tutti criticano Ingroia
per avere ricordato ciò che pensava Borsellino di lui e della
Boccassini, perché il giudice non può smentire né confermare. Ma nel ’92
la Boccassini fece la stessa cosa, svelando confidenze di Falcone
senz’altro vere, che però Falcone non poteva smentire né confermare. Ma
in fondo è una fortuna che quel “vergognati” sia toccato a Ingroia.
Immaginiamo se un qualunque pm, a tre settimane dalle elezioni, avesse
urlato “vergognati” a Berlusconi, Bersani, o Monti. Sarebbe finito sotto
ispezione e processo disciplinare, tv e giornali sarebbero pieni di
politici, editorialisti, Csm e Anm strepitanti contro i pm che fanno
politica e interferiscono nel voto. Invece niente, silenzio di tomba.
Anzi, la prova della politicizzazione dei pm è proprio Ingroia, pm in
aspettativa, e non il pm che l’ha insultato con la toga addosso. La
macchina del fango è, come sempre, trasversale. Severgnini Casco
d’Argento va dalla Bignardi e di chi parla? Di Ingroia, che “chiama la
sua lista Rivoluzione civile come se le altre fossero incivili”
(potrebbe aggiungere che il Pd si chiama Democratico come se gli altri
fossero tirannici, ma non l’aggiunge: “Renzi e Letta mi han chiesto di
candidarmi”, povera stella). Panorama accusa Ingroia di avere “sprecato
milioni di risorse dello Stato” per indagare sulla trattativa
Stato-mafia (avrebbe dovuto pagare di tasca sua). Il mèchato di Libero
lo accusa di “minacciare la Boccassini” e svela – intimo com’era di
Borsellino – che l’amico Paolo lo chiamava “gobbetto comunista”.
Repubblica intervista Grasso che, essendo candidato del Pd, gli insegna a
“non usare il ruolo di pm a fini politici”. Poi fa attaccare Ingroia da
un noto eroe dell’antimafia: Micciché, quello che voleva togliere i
nomi di Falcone e Borsellino dall’aeroporto Punta Raisi perché
allontanano i turisti. Il Corriere ricorda che “Falcone non partecipava a
convegni di folle osannanti” (è una balla, Falcone andava persino alle
Feste dell’Unità e al Costanzo Show, ma fa lo stesso). La Pravdina del
Pd, la fu Unità, con tutto quel che succede nel mondo e a Siena, apre la
prima pagina col titolo “Ingroia, scontro su Falcone”, lo accusa di
“antimafia elettorale” e di essere “un magistrato in prima linea” (si
ri-vergogni). Staino fa dire a Berlusconi: “Ma cosa vuole questo Ingroia
da noi? Tratta la Boccassini peggio di come la tratto io… si candida in
Lombardia per aiutarci a vincere… che si è messo in testa?”. Ma sì,
dai, Ingroia è pagato da B. (e pazienza se in Lombardia Ingroia appoggia
Ambrosoli mentre l’alleato Monti candida Albertini). Poi finalmente, a
pag. 11, un luminoso esempio da seguire: Ottaviano Del Turco. Per chi
non l’avesse ancora capito: nel paese governato da ladri, affaristi e
mignotte, il problema è Ingroia. Invece di nominare Falcone invano, vada
a rubare come tutti gli altri.
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