Nel dibattito che si è aperto intorno al Pd, alla sua crisi e al suo futuro, è opportuno ritornare sul documento reso pubblico da Fabrizio Barca, che indubbiamente rappresenta il tentativo più compiuto di ridefinire il profilo del partito come partito di sinistra. È stato già notato che si tratta di un documento complesso, nel quale non mancano spunti interessanti e tanti buoni propositi. Come i richiami alla Costituzione (ma, significativamente, non all’articolo 3, ossia all’uguaglianza, che coniugandosi con la libertà costituisce l’asse su cui ruota l’intero impianto costituzionale), la necessità dell’insediamento nel territorio, la separazione netta tra partito e Stato per riformare lo Stato e il partito. Tuttavia, se al di là delle formule più o meno accattivanti si va alla sostanza del problema - quale partito, ovvero con quale base sociale, con quale finalità - il risultato è deludente ed elusivo.
Il documento si intitola «Un partito nuovo per un buon governo». E già qui, se non si vuole scadere nella banalità, si pone una prima questione: cosa s’intende per buon governo? Un governo di brave persone, oneste, competenti? Dovrebbe essere la regola, ma non basta. Ci può essere un governo di persone oneste e competenti che fa un politica apertamente di destra nell’interesse delle banche e del capitale. Del resto, tutti si propongono di governare bene. Si è mai visto qualcuno che fonda un partito per governare male? La questione dirimente dunque non è questa. Ma: governare bene nell’interesse di chi? In rappresentanza di quali classi e ceti sociali? Sulla base di quale blocco sociale? Per un partito di sinistra il problema andrebbe posto quindi in altri termini: rappresentare e organizzare le nuove classi lavoratrici, compreso il vasto mondo del non lavoro, per farle diventare classe dirigente, portandole al governo e mettendole in condizioni di governare bene. Ma per fare ciò, come dimostra anche l’esperienza più recente, ci vuole un partito che sappia fare (bene) l’opposizione per poter poi governare (bene).
Seconda questione: in che rapporto sta il buon governo, che nell’accezione classica dovrebbe assicurare il benessere dell’intera popolazione, con la crisi attuale del capitalismo? In altri termini: la crisi che attraversiamo dipende solo dal malgoverno dell’Italia, dalla corruzione, dal degrado della politica ecc. ecc.? O queste sono altrettante aggravanti di una crisi di sistema che coinvolge l’Europa e tutto l’Occidente? Alla radice della crisi sta, come convengono ormai in molti (e tra questi liberal come Krugman e Stiglitz), l’enorme disuguaglianza tra gli esseri umani. Che fa sì che l’un per cento della popolazione mondiale, ovvero un pugno di proprietari universali, domini sul resto del mondo. Paul Krugman (come già aveva scoperto Karl Marx ai tempi suoi) osserva oggi che «ciò che il più ricco un per cento della popolazione desidera diventa ciò che la scienza economica ci dice che dobbiamo fare», e che la politica - compresa la sinistra del capitale - si sforza di applicare.
Allora, se le cose stanno così, la questione centrale del buon governo consiste nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che stanno alla base della disuguaglianza, schiacciano la persona umana e impediscono la realizzazione dell’uguaglianza sostanziale. Ma non si può conseguire questo obiettivo se coloro che subiscono gli effetti distruttivi della crisi, le persone che vivono del proprio lavoro, non si organizzano, non lottano, non partecipano direttamente all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Esattamente come la Costituzione prevede nella sua straordinaria lungimiranza. Da qui noi dovremmo cominciare in Italia, portando questa impostazione in Europa. Tanto più che siamo diventati uno dei Paesi più disuguali e più poveri dell’Occidente. Perciò è indispensabile che le lavoratrici e i lavoratori si organizzino politicamente in un partito capace di rappresentarli e di farli assurgere a classe dirigente. Questo dovrebbe essere il compito di una sinistra vera, non nominale, che non sia una sinistra del capitale altrimenti denominata riformista. E per questa ragione di fondo è necessario un partito nuovo.
Il documento si intitola «Un partito nuovo per un buon governo». E già qui, se non si vuole scadere nella banalità, si pone una prima questione: cosa s’intende per buon governo? Un governo di brave persone, oneste, competenti? Dovrebbe essere la regola, ma non basta. Ci può essere un governo di persone oneste e competenti che fa un politica apertamente di destra nell’interesse delle banche e del capitale. Del resto, tutti si propongono di governare bene. Si è mai visto qualcuno che fonda un partito per governare male? La questione dirimente dunque non è questa. Ma: governare bene nell’interesse di chi? In rappresentanza di quali classi e ceti sociali? Sulla base di quale blocco sociale? Per un partito di sinistra il problema andrebbe posto quindi in altri termini: rappresentare e organizzare le nuove classi lavoratrici, compreso il vasto mondo del non lavoro, per farle diventare classe dirigente, portandole al governo e mettendole in condizioni di governare bene. Ma per fare ciò, come dimostra anche l’esperienza più recente, ci vuole un partito che sappia fare (bene) l’opposizione per poter poi governare (bene).
Seconda questione: in che rapporto sta il buon governo, che nell’accezione classica dovrebbe assicurare il benessere dell’intera popolazione, con la crisi attuale del capitalismo? In altri termini: la crisi che attraversiamo dipende solo dal malgoverno dell’Italia, dalla corruzione, dal degrado della politica ecc. ecc.? O queste sono altrettante aggravanti di una crisi di sistema che coinvolge l’Europa e tutto l’Occidente? Alla radice della crisi sta, come convengono ormai in molti (e tra questi liberal come Krugman e Stiglitz), l’enorme disuguaglianza tra gli esseri umani. Che fa sì che l’un per cento della popolazione mondiale, ovvero un pugno di proprietari universali, domini sul resto del mondo. Paul Krugman (come già aveva scoperto Karl Marx ai tempi suoi) osserva oggi che «ciò che il più ricco un per cento della popolazione desidera diventa ciò che la scienza economica ci dice che dobbiamo fare», e che la politica - compresa la sinistra del capitale - si sforza di applicare.
Allora, se le cose stanno così, la questione centrale del buon governo consiste nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che stanno alla base della disuguaglianza, schiacciano la persona umana e impediscono la realizzazione dell’uguaglianza sostanziale. Ma non si può conseguire questo obiettivo se coloro che subiscono gli effetti distruttivi della crisi, le persone che vivono del proprio lavoro, non si organizzano, non lottano, non partecipano direttamente all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Esattamente come la Costituzione prevede nella sua straordinaria lungimiranza. Da qui noi dovremmo cominciare in Italia, portando questa impostazione in Europa. Tanto più che siamo diventati uno dei Paesi più disuguali e più poveri dell’Occidente. Perciò è indispensabile che le lavoratrici e i lavoratori si organizzino politicamente in un partito capace di rappresentarli e di farli assurgere a classe dirigente. Questo dovrebbe essere il compito di una sinistra vera, non nominale, che non sia una sinistra del capitale altrimenti denominata riformista. E per questa ragione di fondo è necessario un partito nuovo.
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