E’
come un incubo febbrile: tutte le estati il Paese riscopre il problema
delle pensioni d’oro contrapposte a milioni di pensioni da fame. Tutte
le estati si discute animatamente una settimana e poi si ripone il
problema nel cassetto. Quest’anno qualcuno ha anche scoperto che altrove
– come in Germania, per esempio -la forbice delle pensioni è molto più
ristretta che da noi come dovrebbe essere ovvio: se le differenze di
retribuzione sono giustificate da una differenza nel lavoro, che senso
hanno quando ci si mette a riposo e quel lavoro non lo si svolge più?
Infatti quello che da noi colpisce è che non ci sono solo le pensioni
d’oro, ma anche quelle d’argento, di rame, di peltro che galleggiano
fiere sul mare di quelle di merda, che nei trattamenti di quiescenza
come burocraticamente si chiamano, si conservino e si acuiscano tutte
le disuguaglianze sociali, le iniquità si mostrino spogliate dagli
orpelli ed emerga il panorama di una società arcaica e ingiusta. Con il
passaggio al sistema contributivo, tutto si è immiserito, vaste fasce
sociali sono state di fatto private della pensione anche se ancora non
lo sanno, ma le differenze tra i garantiti, chi ha guadagnato
bene nella propria vita e chi ha invece fatto fatica vengono
sottolineate e moltiplicate rispetto al sistema retributivo. Se come
nella vicina Germania si ponesse un tetto di 3500 euro sulle pensioni,
si potrebbero risparmiare non meno di 12 miliardi l’anno ed elevare a
1000 euro le pensioni sociali e minime con immediati benefici
sull’economia.
Certo il discorso sarebbe lungo perché ciò che è entrato in crisi è
la pensione come parte essenziale del welfare, divenendo un risparmio
forzoso che nell’era della precarietà servirà solo a dare una mancia
nemmeno di sopravvivenza alla maggior parte della popolazione. Qui mi
vorrei concentrare sul fatto che ogni intervento sulla riduzione delle
pensioni d’oro viene escluso come una lesione di diritti acquisiti:
politici e Corte Costituzionale (tutti tra l’altro direttamente
interessati alla questione) sono corali su questo: i primi con la
circolarità ipocrita della ricerca di consenso, i secondi con le
sentenze. Naturalmente hanno ragione, ma è proprio qui che si rivela la
sostanza iniqua della società italiana: perché la riforma Fornero andava
proprio a toccare e ad eliminare i diritti acquisiti di milioni di
persone, di gente che ha fatto delle scelte di vita e di lavoro in vista
di un trattamento pensionistico che è stato improvvisamente cambiato. E
questo non coinvolge solo gli esodati che sono solo un caso speciale di
cialtroneria dentro un patto sociale spezzato e buttato alle ortiche..
Però in questo caso, trattandosi di persone senza potere e prive di
una vera rappresentanza politica, il discorso dei diritti acquisiti non
si è nemmeno affacciato all’orizzonte, non c’è stata Corte
Costituzionale e nemmeno l’inutile ipocrisia da consenso di qualche
onorevole: è sembrato del tutto naturale che i diritti acquisiti di
cittadini senza rilievo di casta, di clan, di censo, di clientela o di
visibilità venissero calpestati e aboliti. A volte nemmeno le stesse
vittime se ne sono sorprese, pur essendo travolte, incazzate,
inviperite. E allora diventa chiaro che qui non si parla tanto di
diritti acquisiti, ma di diritti senza altri aggettivi: diritti che solo
una minima parte della popolazione possiede ancora, mentre la
stragrande maggioranza ne è privata con la scusa della necessità. Chi ha
di più se lo tiene e chi ha poco viene man mano depredato anche di
quello: non è uno scandalo, è la linea politica di questi anni.
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