venerdì 30 agosto 2013

La sinistra e il tabù dell’uscita dall’euro di Enrico Grazzini, Micromega

Finalmente una testata autorevole per la sinistra europea come Le Monde Diplomatique ha pubblicato in prima pagina un lungo e argomentato articolo titolato “Uscire dall'euro? Contro un'austerità perpetua” . L'articolo rompe un tabù: finora “solo” gli economisti anglosassoni, qualche isolato economista europeo e italiano considerato originale e strambo , e qualche formazione estremista, soprattutto di destra, hanno osato parlare della possibilità di uscire dall'euro. Finalmente, grazie all'autorevolezza riconosciuta della testata francese (certamente non estremista), dovrebbe essere possibile avviare anche in Italia un dibattito critico e approfondito sull'euro e sull'Unione Europea, senza illusioni romantiche sul radioso avvenire dell'Europa, senza subalternità ideologiche e senza censure. Gran parte della sinistra italiana, sia quella tradizionale che quella cosiddetta radicale e alternativa, finora ha chiuso occhi, orecchie e bocca sulla moneta unica europea: ma la sinistra dovrebbe cominciare a ripensare radicalmente l'euro e riconoscere che l'Unione Europea ha cambiato natura genetica rispetto agli ideali originari .

La sinistra finora ha ignorato la drammaticità del problema della moneta unica. Ma non dovrebbe assolutamente lasciare alla destra fascisteggiante, reazionaria e sciovinista il monopolio della protesta sulla questione scottante dell'euro e della sovranità nazionale. Sollevare il problema dell'euro tedesco non dovrebbe essere considerato sintomo di bieco nazionalismo: la sinistra dovrebbe invece affrontare con coraggio il problema se non vuole che il populismo di destra – alla Le Pen, alla Berlusconi o alla Bossi, che sono molto critici verso l'euro e la UE – si affermi facilmente presso le fasce popolari. Anche perché ormai, come vedremo, i sondaggi indicano che l'euro e l'Unione Europea sono visti dall'opinione pubblica certamente più come un problema che come una soluzione.

La sinistra dovrebbe addirittura spingersi a proporre un referendum sulle drammatiche questioni dell'euro e del fiscal compact. Questa proposta non dovrebbe essere tacciata pregiudizialmente di populismo. Al di là dei risultati del voto popolare, avrebbe comunque il merito di rilanciare la discussione su due problemi fondamentali: l'euro a direzione tedesca e la sovranità nazionale come forma basilare e irrinunciabile di democrazia. Una consultazione pubblica a livello nazionale è difficile da realizzare ma sarebbe salutare. Infatti è indubbio che allo stato attuale i popoli dell'Europa si possano esprimere democraticamente solo a livello nazionale. Il popolo europeo non esiste ancora come popolo sovrano, è troppo diviso e frammentato in lingue, culture, situazioni e aspirazioni diverse per riuscire a esprimersi democraticamente. Il popolo dell'Europa non è neppure rappresentato dalle istituzioni europee che sono fondamentalmente interstatali - a parte il Parlamento Europeo, che però, pur essendo eletto, ha pochissimi poteri -. Referendum sulle questioni europee e sull'euro sono stati tenuti in paesi come Francia, Olanda, Danimarca, Svezia e Irlanda. Perché allora non avviare anche in Italia un ampio dibattito e cercare il voto popolare su una questione centrale che impatta drammaticamente la vita dei cittadini? I popoli sono spesso più saggi dei politici e non si dovrebbe avere timore della democrazia.

Non facciamoci illusioni. La crisi dell'euro e quindi dell'Unione Europea continuerà e probabilmente precipiterà. Purtroppo non stiamo uscendo dalla crisi, come afferma il governo Letta. Ha ragione Le Monde Diplomatique quando afferma che l'euro genera un'austerità senza fine, e che è quasi certo che, comunque vada, la moneta unica cesserà di esistere. La scienza economica non è una scienza esatta e il futuro è intrinsecamente imprevedibile. Tutte le previsioni sono degli azzardi. Ma l'euro così come è attualmente è insostenibile e irriformabile semplicemente perché la Bundesbank e la politica tedesca non vogliono riformarlo. Molte persone colte e competenti possono suggerire alla Germania che cosa dovrebbe fare per superare l'austerità e rinvigorire l'Europa : ma è inutile perché i governanti tedeschi non hanno la volontà e l'interesse a seguire i consigli altrui. L'alternativa reale sembra questa: o la speculazione internazionale romperà l'eurozona e provocherà il caos, o i paesi dell'eurozona concorderanno in qualche maniera la rottura della moneta unica per salvare almeno parzialmente l'Unione Europea . Le Monde propone realisticamente di “fare un passo indietro” e di passare dalla moneta unica a una “moneta comune” concordata, che permetta però valute nazionali autonome. Ma al di là della questione cruciale di come uscire dalla camicia di forza della moneta unica, il problema dell'euro non è solo economico e tecnico, ma anche e soprattutto politico, democratico, istituzionale, e riguarda direttamente il presente e il futuro dell'Unione Europea.


La morte dell'Europa democratica e federale

Quasi certamente gli storici ricorderanno questo periodo come quello della morte dell'idea nobile dell'Europa come unione volontaria e paritaria degli stati in una entità solidale, federata, democratica e cooperativa. L'Unione Europea sta agonizzando e ha modificato il suo DNA proprio con la nascita dell'euro. Gli italiani erano tra i più entusiasti dell'Unione Europea, la consideravano come un progresso democratico, come un passo verso la modernità e come fattore di sviluppo. L'Unione Europea oggi appare piuttosto come il duro e autoritario guardiano sovranazionale dei “compiti” che ogni Stato deve fare “a casa” per abbattere il welfare e fare regredire il benessere popolare. Non è più possibile nutrire illusioni romantiche: esiste ormai un abisso incolmabile tra le idee del Manifesto di Ventotene, gli sforzi di De Gasperi, Adenauer e Shuman per costruire una Europa unita e pacifica, e l'Unione Europea attuale. I trattati e i vincoli europei, a partire dal trattato di Maastricht (definito “stupido” da Romano Prodi) e quello di Lisbona, delineano una Unione Europea ultraliberista e autoritaria. Il ritornello della campagna elettorale di Angela Merkel è questo: “l'Europa il 7% degli abitanti nel mondo, il 25% del prodotto totale il 50% delle spese per il welfare: non possiamo più permettercelo” e quindi ogni Stato deve fare i “compiti a casa” per ridurre la spesa sociale e aumentare la produttività. In questo contesto e in base a questa ideologia di centrodestra, l'Unione Europea è diventato il ragioniere che controlla la riduzione dei bilanci sociali dei singoli stati, e il poliziotto vigile che cura lo svolgimento dei “compiti a casa” indipendentemente dalla volontà popolare, e anzi contro la volontà popolare. Dopo i diktat, le sanzioni e le multe sono dietro l'angolo.


Il risveglio della potenza tedesca e l'egemonia sull'Europa

Spesso l'Europa è stata accusata di essere l'Europa dei banchieri e delle banche: ma questa accusa non è più vera. E' superata dalla realtà, e in peggio. La UE è l'Europa delle banche e della finanza tedesca e degli altri paesi creditori del Nord Europa, come Olanda e Finlandia, che guadagnano dalla crisi europea. Sulla volontà egemonica tedesca sull'Europa vale la spiegazione data (e riportata da questo sito) da Marco D'Eramo . Dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, la Germania sta uscendo prepotentemente dalla subalternità e, grazie al successo della sua unificazione, pretende il suo posto preminente in Europa e nel mondo globale. Vuole affermare la sua potenza e la sua autonomia. Non a caso, contrariamente ad altre potenze occidentali, ha deciso, per esempio, di non partecipare alle azioni militari in Libia e in Siria.

Le Monde indica che l'euro – così come è stato costruito secondo i dettami della Germania socialista di Schroeder e della democristiana Merkel – contrasta la sovranità dei popoli e dei singoli stati. E' in gioco niente di meno che la sovranità nazionale dal momento che la politica monetaria è decisa dalla Banca Centrale Europea e che anche la politica fiscale dei singoli stati è dettata dalla Germania e da trattati intergovernativi capestro, come quello del fiscal compact che produrrà effetti disastrosi (impone infatti una rapidissima e automatica riduzione delle spese pubbliche anche nei periodi di crisi, strozzando l'economia e il welfare ). Non è esagerato affermare che l'Unione Europea è diventata il gestore del neocolonialismo finanziario a guida tedesca. E come tutte le forme neocoloniali, la UE opprime gli stati subalterni, li rende servili, impedisce la loro crescita e schiaccia le classi popolari e i ceti medi. Per i popoli europei diventa impossibile decidere democraticamente e con un minimo di autonomia il proprio destino.

Il vero e grave limite della politica tedesca di austerità consiste però nel fatto che è talmente rigida, assurda e controproducente da diventare insostenibile. Secondo la maggioranza degli economisti anglosassoni è difficile che l'euro possa resistere: la politica di austerità alimenta la crisi e divarica drammaticamente le nazioni europee, già così differenti dal punto di vista economico, sociale e politico. Per la Merkel tutti gli stati europei dovrebbero essere più produttivi, più competitivi, ottenere surplus commerciali per ridurre i debiti esteri e raggiungere il pareggio del bilancio pubblico, proprio come fa la Germania. Ma il modello mercantilista tedesco fondato sull'abnorme surplus dell'export non può essere trasferito a tutti i paesi europei. E' insostenibile. Il tentativo vero della Merkel è probabilmente di indebolire e subordinare gradualmente gli altri paesi UE senza però farli crollare del tutto, fino a dominare di fatto l'economia europea: ma questo gioco è estremamente pericoloso e incerto, ed è probabile che si riveli impraticabile.


L'insostenibilità del modello tedesco e la proposta di Le Monde Diplomatique

Per salvarsi, alcune economie indebitate e in deficit commerciale, meno produttive, dovrebbero svalutare, mentre la Germania dovrebbe rivalutare in maniera tale da contenere il suo avanzo commerciale con gli altri paesi europei. La proposta di Le Monde è che gli stati europei concordino di passare da una moneta unica a un sistema di cambi fissi intraeuropei: l'euro rimarrebbe però come moneta comune sui mercati internazionali di fronte al dollaro e alle altre valute extraeuropee. Il punto debole di questo piano è che appare troppo razionale per essere applicato nel contesto dell'attuale egemonia finanziaria tedesca. È più probabile che la Germania continui a gestire la crisi per tentare di raggiungere il dominio economico, e che però alla fine il tentativo fallisca e porti alla rottura incontrollata dell'euro. Le incognite per il mantenimento dell'euro attuale sono troppo numerose: il risultato delle elezioni tedesche; la sentenza della Corte Costituzionale tedesca; la ripresa della speculazione internazionale conseguente alla stretta prevista della Federal Reserve; la crescita dei debiti dei paesi del sud Europa; il possibile fallimento di qualche banca europea. Inoltre nuovi movimenti politici (di destra o di sinistra) potrebbero scatenarsi contro il fiscale compact, la riduzione drastica del welfare e le imposizioni autoritarie della UE. In effetti la costruzione di questa Europa ultra-autoritaria a guida tedesca si dimostra sempre più complessa e sempre più improbabile. Gli stati litigano già sul bilancio europeo e riducono i finanziamenti alla UE; in Germania l'opinione pubblica considera lazzaroni e sfaticati i paesi del sud Europa; la Gran Bretagna medita di uscire dalla UE; la Spagna ha perfino iniziato a lottare contro i resti dell'impero britannico a Gibilterra, mentre la Grecia reclama il pagamento dei debiti di guerra al governo tedesco. La solidarietà europea sta cedendo di fronte alla competizione generata dall'euro a guida tedesca. E la Merkel non vorrà mai una Europa federata che metta a rischio l'autonomia e l'egemonia tedesca. Non a caso la Germania opera soprattutto attraverso trattati intergovernativi al di fuori della UE. Il fiscal compact è un trattato intergovernativo e il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), detto anche Fondo salva-stati, è stabilito da un accordo tra governi.


L'Europa senza consenso popolare

Si sta costruendo un'Europa senza consenso popolare. L'opinione pubblica europea è sempre più contraria a questa Europa e a questo euro. Lo dimostrano i risultati della rilevazione compiuta a livello europeo da parte dell'autorevole e neutrale Pew Research Center condotta nel maggio 2013 e significativamente intitolata: “Il nuovo malato d'Europa: l'Unione Europea stessa” . Secondo questa indagine la fiducia verso la UE è al punto più basso dalla sua creazione. La UE è vista con favore da meno della metà della popolazione europea, cioè dal 45% del totale (rispetto al 60% del 2012). In Grecia solo il 33% è favorevole alla UE, in Francia e in Gran Bretagna solo il 41-43%, in Spagna il 46%. Solamente in Germania (60%) e in Italia (58%) resiste un'opinione pubblica maggioritaria favorevole alla UE. Tuttavia la fiducia verso la UE sta crollando a causa della crisi economica: dal 2007 al 2013 il sentimento positivo verso lo stato dell'economia è sceso di 61 punti in Spagna, 54 in Gran Bretagna, 22 in Italia, 21 in Francia e nella Repubblica Ceca. Le divaricazioni aumentano. Tutte le nazioni europee meno la Germania vedono nell'occupazione il problema principale. Secondo l'opinione pubblica di tutti i paesi europei, meno la Germania, i politici nazionali gestiscono male l'Unione Europea. La crisi economica sta “creando forze centrifughe che dividono l'opinione pubblica europea, separando in particolare la Germania da tutti gli altri paesi europei”, in particolare dai francesi e dai paesi del sud Europa. Solo l'1% dei Greci, il 3% degli italiani e il 9% dei francesi sono soddisfatti della situazione economica attuale, contro il 75% dei tedeschi. Il 60% degli europei (e il 90% dei francesi) pensa che i figli staranno peggio dei padri. Il 77% crede che questo sistema favorisca solo i ricchi. L'85% ritiene che il gap tra i ricchi e poveri sia aumentato negli ultimi cinque anni, e il 66% pensa che questo gap costituisca un grave problema.

In Grecia il 78% ritiene che l'appartenenza alla UE abbia indebolito l'economia: la pensano allo stesso modo il 75% degli italiani e il 60% degli spagnoli. La maggioranza guarda sfavorevolmente a Bruxelles e ad una maggiore integrazione europea. A dispetto della crisi e delle disillusioni su Bruxelles e l'Unione Europea, il 69% dei greci, il 67% degli spagnoli, il 66% dei tedeschi, il 64% degli italiani e dei francesi vogliono però mantenere l'euro. Forse l'euro viene percepito come un male ormai irreversibile e l'uscita è considerata più dannosa che benefica. Comunque i sondaggi parlano chiaro: l'Europa è deludente ed è un problema in cerca di soluzione.

Ovviamente non si tratta di decidere le proprie politiche in base ai sondaggi, ma di prendere atto che il sentimento popolare verso l'Europa sta rapidamente e radicalmente cambiando, e di tenere conto della percezione negativa della UE. Spesso l'opinione pubblica è più ragionevole e critica dei politici, degli economisti e dei tecnocrati. Non si tratta evidentemente di rinunciare all'Europa unita e di essere “meno europeisti”: si tratta invece di prendere finalmente atto della realtà politica attuale, senza illusioni e idee preconcette.


Opporsi a questa Europa per un'altra Europa possibile

Occorre contrastare questo euro fallimentare e la passiva subalternità dei governi italiani (e del centrosinistra) alle politiche tedesche ed europee. Si tratta di denunciare il fiscal compact e questa Europa autoritaria e neocoloniale, di prepararsi alla rottura della moneta unica, e di ritornare all'idea originaria di una Europa democratica e cooperativa. Bisogna iniziare una battaglia culturale e politica per modificare sostanzialmente i trattati esistenti e costruire un'altra Europa. Un'Europa in cui le sovranità nazionali non vengano schiacciate, un'Europa magari con un euro comune ma (come suggerisce Le Monde) anche con monete nazionali il cui valore sia concordato. E' auspicabile una Europa non presidenziale ma in cui il Parlamento – magari con due camere, una eletta dal popolo, l'altra rappresentativa degli stati membri – conti davvero e generi un governo condiviso senza gerarchie schiaccianti tra gli stati. Occorreranno certamente più tempo e maggiori sforzi per costruire l'Europa dei popoli: ma è questa l'Europa che vogliamo.

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