giovedì 22 agosto 2013

Il diavolo sta nei dettagli (o negli spiragli) di Alfonso Gianni, http://www.huffingtonpost.it

Letta Alfano
Le cronache riferiscono di un totale fallimento dell'incontro Alfano-Letta di ieri. L'ultimo tentativo di risolvere la questione della permanenza in Senato di Berlusconi per via politica non avrebbe avuto successo. Via dunque alla linea dura da entrambi i lati. Ma è proprio così?
Ascoltando meglio i mormorii di fondo che accompagnano questa incredibile vicenda, sembrano prendere corpo anche altre ipotesi tali da fare impallidire argomenti causidici di democristiana memoria. Mi pare che gli irriducibili stiano lavorando sui cosiddetti spiragli che il colloquio tra Alfano e Letta avrebbero lasciato aperti.
Da un lato, quelli della destra hanno deciso che se il Pd vota contro Berlusconi in Commissione si ritirano dal governo. Tale decisione sembrerebbe nella forma difficilmente modificabile, una volta annunciata con tale enfasi. Ma questo non significa necessariamente fare cadere il governo Letta, provocare una crisi al buio o reclamare immediate elezioni anticipate con un Porcellum che il prossimo 3 dicembre subirà il vaglio della Consulta e che quindi potrebbe essere probabilmente bocciato, rendendo la permanenza in carica di un nuovissimo Parlamento insostenibile. Un governo potrebbe anche essere appoggiato dall'esterno, in attesa che maturino tempi migliori. Anzi, così il potere di conzionamento della destra potrebbe persino essere maggiore.
Infatti gli strateghi - si fa per dire - raccolti attorno al Berlusconi condannato sanno che Napolitano è contrario a elezioni anticipate con l'attuale sistema. Quest'ultimo, di fronte a una caduta di Letta, potrebbe tentare di cercare una nuova maggioranza nell'attuale Parlamento - anzi sarebbe un suo preciso dovere farlo - , rilanciando la palla ai grillini. Questi però sono tornati opachi e sordi a sollecitazioni politiche che essi non valutino direttamente fruttifere per propri vantaggi. Lo dimostra anche, dopo un buon filibustering sul decreto del fare, la pantomima parlamentare di metà agosto, con annesse dichiarazioni di "mai con il Pd". Oppure il Capo dello Stato potrebbe dimettersi, considerando fallita la missione per cui era stato inusitatamente chiamato a un secondo mandato presidenziale, rimettendo al suo successore la patata bollente.
Entrambe le decisioni sono indigeribili per questa destra, poiché sarebbero di fatto la sconfessione delle sue ultime scelte politiche, senza farla avanzare di un passo sul fronte divenuto principale della salvezza del condannato dalla sua giusta pena.
Sull'altro versante il Pd non può recedere, almeno ufficialmente, dalla decisione di dare corso alla sentenza, pena la deflagrazione interna e la perdita di un rapporto con il sentire popolare che su questa questione è molto vigile. Ma nello stesso tempo non vede convenienza e non trova il coraggio necessario per cercare un cambio di maggioranza che si preannuncia arduo.
L'ipotesi che circola in queste ore - e che parrebbe gradita anche a Sel - di un governo di scopo per fare la legge elettorale e per rispondere alle esigenze di esodati e cassaintegrati, guidato da Renzi, appare poco credibile non tanto perché in ogni caso la legge elettorale la fa il Parlamento e non il governo, neppure perché è dubitabile che la sorte di chi ha perso il lavoro sia veramente in cima ai pensieri del sindaco di Firenze, ma soprattutto perché quest'ultimo ha ambizioni ben più grandi che non fare il traghettatore.
Per tutte queste ragioni sembra stia conquistando posizioni nel Pd l'idea di dilatare i tempi della decisione della Commissione, magari con invocando - ma la cosa mi sembra insostenibile sotto ogni profilo - l'intervento della Consulta, o più semplicemente "approfondendo" la discussione sulle implicazioni o le eventuali scappatoie della legge Severino (votata dallo stesso Pdl), sperando che questo plachi gli animi più vendicativi, consenta a Letta di governare e a Berlusconi di salvare in qualche modo la ghirba.
Spettacolo, in ogni caso, umiliante. La "cosa" non può essere quindi lasciata nelle mani degli attuali ceti politici, compresi i malpancisti del Pd, i quali, se lo volessero, avrebbero una strada maestra per dimostrare il loro diverso sentire: votare contro il governo delle larghe intese alla prima occasione. Così si fa in una democrazia parlamentare, se realmente la si vuole difendere, anche se questo può costare qualcosa sul piano personale.
Bisogna che i cittadini e i movimenti scendano direttamente in campo. L'idea di dare corpo a un nuovo spazio politico costruito a partire dalla difesa della Costituzione e attento alle grandi questioni sociali - lanciato da Stefano Rodotà in un editoriale dell'altro giorno su Repubblica - può essere un ottimo punto di partenza.
L'assemblea dell'8 settembre e la manifestazione del 5 ottobre sono appuntamenti da non mancare. Il conflitto sociale che tutti si attendono per l'Autunno, ma che andrebbe organizzato e non lasciato alla pura spontaneità (lo sciopero del 18 ottobre dei sindacati di base è buona cosa, ma non basta), può aggiungere il tassello decisivo.
Non possono vincere - avrebbe detto Jannacci - quelli che... Berlusconi non si batte con la giustizia ma con la politica e poi fanno il governo insieme con lui e sono alla ricerca di una "soluzione politica" contro una sacrosanta sentenza.

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