mercoledì 7 agosto 2013

A rotta di collo verso il precipizio di Dino Greco, Liberazione.it

Da Liberazione
Silvano Andriani, storia comunista, economista di solida cultura socialdemocratica, moderato alquanto, ha provato, sulle colonne de l’Unità, a riportare sulla terra temi che il Pd ha confinato nell’iperuranio, per consegnarsi ad un vacuo galleggiamento nell’orrido governo delle “larghe intese”, formula che produce ormai un involontario effetto comico, grottescamente irridente, considerata l’incapacità/impossibilità dell’esecutivo di offrire uno straccio di risposta alla serissima crisi che sta devastando l’economia del Paese e la vita di gran parte dei suoi cittadini.
Ma cosa dice mai, Andriani, di così straordinario? Nulla, a ben vedere ma, intanto, prova ad alzare il volto dalla greppia.
La prende larga, opportunamente, segnalandoci che nei diciotto anni del periodo che ormai denominiamo con il nome di Berlusconi il centrosinistra ha governato per sei anni, e che in quell’arco di tempo “le realizzazioni più importanti sono appunto frutto di decisioni di quei governi”.
Andriani le cita (con qualche omissione di cui diremo poi) queste “realizzazioni”: l’avvio della riforma delle pensioni, le privatizzazioni, la flessibilizzazione del mercato del lavoro, l’entrata nell’euro. E cosa hanno prodotto queste innovazioni strategiche? Andriani è molto preciso: “La riforma delle pensioni – scrive – ci consegna un sistema previdenziale la cui finalità resta oscura e che continua a redistribuire non, come dovrebbe fare un sistema pubblico, a favore dei meno abbienti, ma a favore dei più abbienti”. Quanto alle privatizzazioni, “esse sono state realizzate più secondo i canoni imposti dai mercati che non per realizzare, con una politica industriale, un disegno di ricollocazione delle nostre grandi imprese nel mercato mondiale e per dare ad esse una governance confacente”. Le più appetibili delle nostre imprese vengono acquisite da capitali esteri, mentre altre (Telecom e Alitalia) sono avviate sulla stessa china e la situazione di Finmeccanica “appare ben più grave di quanto si voglia ammettere”.
Le stesse liberalizzazioni – continua Andriani – “hanno un segno di sinistra solo se si inseriscono in un contesto in cui le disuguaglianze diminuiscono”. Se invece le disuguaglianze aumentano “le maggiori possibilità generate dalle liberalizzazioni si distribuiscono in modo iniquo”. Come provano Stati uniti e Inghilterra, “dove le disuguaglianze sono aumentate molto e la mobilità sociale, lungi dall’aumentare, è diminuita”.
Quanto alla flessibilizzazione del mercato del lavoro, “essa è stata conseguita con leggi che hanno favorito la diffusione massiccia del precariato ed una utilizzazione usa e getta del lavoro che è la causa principale della scarsa crescita della produttività del nostro paese”.
La requisitoria di Andriani coinvolge la stessa acritica adesione dell’Italia all’Europa, essendo essa stata fondata solo sulla moneta, per concludere che “non possiamo più permetterci di espungere la politica estera dal dibattito politico e di avere governi privi di politica estera”. Così come “dobbiamo smettere di affrontare i problemi del welfare solo come problemi di bilancio, cedendo alla falsa convinzione che la crisi dei bilanci pubblici dipenda dall’eccesso di welfare”.
Nel ‘rosario’ snocciolato da Andriani c’è spazio anche per un’ultima annotazione. Quella secondo cui “è indispensabile rifondare una politica industriale che ricostruisca gli strumenti dell’intervento pubblico, visto che quelli usati nel passato sono tutti collassati”.
L’analisi – come si vede – è impietosa, benché tralasci di riferire delle altre macerie precipitate sul paese nelle due più recenti fasi in cui centrosinistra e centrodestra hanno collaborato. Quella del governo Monti, che ha realizzato con scrupolo i diktat della Troika, e quella dell’attuale intesa “organica” del governo Letta, cronicamente incapace di affrontare anche uno solo dei problemi sollevati da un moderatissimo Silvano Andriani.
Questo è il vero dramma politico e democratico che l’Italia vive nel tempo presente.
L’agenda del governo, semplicemente, non c’è. Né ci può essere. Dopo cento giorni si naviga al buio, prigionieri dei ricatti del caimano e in un mare in tempesta.
L’ostinazione autolesionista con cui il Partito democratico difende lo status quo è il sintomo più preoccupante di un’assoluta assenza di progetto e di strategia. La subalternità del Pd al capitale finanziario e all’assetto di potere a-democratico ed extra-costituzionale che tiene in pugno l’Europa è cosa assodata e neppure labilmente contrastata.
Si traccheggia così in una sostanziale vacanza di potere, che riduce il conflitto politico ad aspetti marginali, una sorta di stucchevole “ammuina”, mentre il timone resta saldamente in mano altrui.
Dino Greco

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