L’autore di “Gomorra” scrive una lettera aperta in cui annuncia, fra l’altro, che forse lascerà la Mondadori, casa editrice del presidente del Consiglio
Una risposta veemente, quella di Roberto Saviano, indirizzata al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dopo le accuse lanciate contro l’autore di “Gomorra” che ha descritto per la prima volta agli italiani la violenza della camorra nel casertano e scoperto il volto dei boss casalesi che hanno martoriato un’intera Regione per decenni nel silenzio e nell’omertà più assoluti.
Accuse assurde, che soltanto Silvio Berlusconi poteva partorire e, nello stesso tempo, un attacco alla libertà di pensiero e di cronaca, in un mondo che dovrebbe essere, per il nostro premier, silenziato, per non fare pubblicità alla criminalità organizzata. Ma ora è lo stesso Saviano a rispondere con una razionale e argomentata lettera pubblica. «Si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d'Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt'ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire» scrive e attacca: «Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?».
Saviano ricorda che il boss mafioso Michele Greco (detto il papa, messo a capo della cupola dallo stesso Totò Riina) attribuiva a libri come “Il padrino” di Mario Puzo la responsabilità per il carcere cui erano soggetti dei “galantuomini” come loro e che i casalesi hanno sempre negato alla radice i fatti raccontati da “Gomorra”, accusando l’autore di essere il vero camorrista. «Il silenzio è ciò che vogliono – scrive Saviano – Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri. Ma non è così. E' mostrando, facendo vedere, che si ha la possibilità di avere un contrasto. Lo stesso Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito perché è stata accesa la luce sull'organizzazione dei casalesi prima nota solo agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti».
D’altronde, nulla di nuovo sotto il sole, ricorda Saviano. Da sempre i libri di accusa come il suo suscitano polemiche, vengono accusati di “diffamare” un’intera popolazione, un’intera terra di persone oneste. «Guardando a chi ha pagato con la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante pensare che il silenzio sia l'unica strada raccomandabile» aggiunge Saviano. Eppure, continua rivolgendosi direttamente a Berlusconi, «avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l'impegno antimafia degli italiani. Avrebbe potuto raccontare che l'Italia è il paese con la migliore legislazione antimafia del mondo. Avrebbe potuto ricordare di come noi italiani offriamo il know-how dell'antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni criminali in questa fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei sistemi finanziari ed economici dell'occidente e oggi gli esperti italiani vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a combattere le organizzazioni criminali di ogni genealogia. E' drammatico - e ne siamo consapevoli in molti - essere etichettati mafiosi ogni volta che un italiano supera i confini della sua terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio che mostriamo di essere diversi e migliori».
Saviano ricorda i martiri dell’antimafia, Giovanni Falcone, don Peppe Diana, perché è soprattutto a loro che il premier dovrebbe chiedere scusa. Poi, ricordando di aver pubblicato per le sue case editrici (Mondadori, Einaudi) si chiede se sia mai possibile continuare a farlo, dopo le accuse che il suo proprietario ha lanciato. «La cosa che farò sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall'accusa di essere editor, uffici stampa, dirigenti, "comprati". E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E' da loro che voglio risposte». Ed infine, una solenne promessa: «Lo giuro Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo”
Una risposta veemente, quella di Roberto Saviano, indirizzata al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dopo le accuse lanciate contro l’autore di “Gomorra” che ha descritto per la prima volta agli italiani la violenza della camorra nel casertano e scoperto il volto dei boss casalesi che hanno martoriato un’intera Regione per decenni nel silenzio e nell’omertà più assoluti.
Accuse assurde, che soltanto Silvio Berlusconi poteva partorire e, nello stesso tempo, un attacco alla libertà di pensiero e di cronaca, in un mondo che dovrebbe essere, per il nostro premier, silenziato, per non fare pubblicità alla criminalità organizzata. Ma ora è lo stesso Saviano a rispondere con una razionale e argomentata lettera pubblica. «Si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d'Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt'ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire» scrive e attacca: «Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?».
Saviano ricorda che il boss mafioso Michele Greco (detto il papa, messo a capo della cupola dallo stesso Totò Riina) attribuiva a libri come “Il padrino” di Mario Puzo la responsabilità per il carcere cui erano soggetti dei “galantuomini” come loro e che i casalesi hanno sempre negato alla radice i fatti raccontati da “Gomorra”, accusando l’autore di essere il vero camorrista. «Il silenzio è ciò che vogliono – scrive Saviano – Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri. Ma non è così. E' mostrando, facendo vedere, che si ha la possibilità di avere un contrasto. Lo stesso Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito perché è stata accesa la luce sull'organizzazione dei casalesi prima nota solo agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti».
D’altronde, nulla di nuovo sotto il sole, ricorda Saviano. Da sempre i libri di accusa come il suo suscitano polemiche, vengono accusati di “diffamare” un’intera popolazione, un’intera terra di persone oneste. «Guardando a chi ha pagato con la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante pensare che il silenzio sia l'unica strada raccomandabile» aggiunge Saviano. Eppure, continua rivolgendosi direttamente a Berlusconi, «avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l'impegno antimafia degli italiani. Avrebbe potuto raccontare che l'Italia è il paese con la migliore legislazione antimafia del mondo. Avrebbe potuto ricordare di come noi italiani offriamo il know-how dell'antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni criminali in questa fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei sistemi finanziari ed economici dell'occidente e oggi gli esperti italiani vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a combattere le organizzazioni criminali di ogni genealogia. E' drammatico - e ne siamo consapevoli in molti - essere etichettati mafiosi ogni volta che un italiano supera i confini della sua terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio che mostriamo di essere diversi e migliori».
Saviano ricorda i martiri dell’antimafia, Giovanni Falcone, don Peppe Diana, perché è soprattutto a loro che il premier dovrebbe chiedere scusa. Poi, ricordando di aver pubblicato per le sue case editrici (Mondadori, Einaudi) si chiede se sia mai possibile continuare a farlo, dopo le accuse che il suo proprietario ha lanciato. «La cosa che farò sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall'accusa di essere editor, uffici stampa, dirigenti, "comprati". E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E' da loro che voglio risposte». Ed infine, una solenne promessa: «Lo giuro Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo”
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