mercoledì 14 aprile 2010

Niente mensa per i bambini poveri, ma dialetto

Deve essere il nuovo corso del Carroccio trionfante: pane e acqua per i bambini poveri, soprattutto se figli di immigrati, e corsi di vernacolo per gli stranieri che aspirano a "integrarsi". Ad Adro, nel bresciano, dove la Lega Nord governa, sola, col 61% dei voti, il sindaco, quel tal Oscar Lancini tristemente noto alle cronache per la taglia sui "clandestini" (500 euro ai vigili urbani per ogni sans papier portato in questura), ne ha pensata un'altra per rendere difficile la vita ai non autoctoni: niente pasti agli alunni i cui genitori, in gran parte immigrati, non ce la fanno a pagare la retta per la mensa. Qualche settimana fa, la stessa cosa a Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza: la sindaca leghista ha punito i bambini "morosi" mettendoli, letteralmente, a pane e acqua. A ben riflettere, i due episodi hanno qualche nesso, politico e simbolico, con un'altra trovata: quella dell'assessore al lavoro e all'istruzione della Provincia di Belluno, il leghista - ça va sans dire - Stefano De Gan, che ha destinato all'insegnamento del dialetto locale il 35% dei fondi per l'integrazione sociale e lavorativa degli stranieri. Se gli abitanti autoctoni della sua provincia non conoscono la lingua madre né altra lingua, non è che li si aiuta con corsi d'italiano (e magari perfino d'inglese o francese): questo succederebbe in un paese civile. No, nelle plaghe amministrate dagli spiriti illuminati del Carroccio non s'incrementa l'apprendimento dell'italiano; si propone, invece, la regressione al dialetto anche di coloro (i migranti) che di lingue, di solito, ne conoscono due o tre. Fra i tre fatti, dicevamo, c'è un nesso politico e simbolico: è il razzismo plebeo e populista del "padroni a casa nostra", che usa perfino i bilanci e il welfare state per tracciare una netta linea di confine fra "noi" e "loro". Davvero un bel progresso. E io che pensavo che arretrato fosse il piccolo mondo antico della mia infanzia. Quando si riteneva che l'apprendimento della lingua italiana fosse strumento di emancipazione e d'integrazione nazionale. Quando alle elementari la refezione gratuita era garantita agli orfani e ai figli d'indigenti, ma solo a loro (così che io li invidiavo, quei bambini che potevano pranzare in allegra compagnia e mangiare ciò che mi era proibito).
Davvero un bel progresso: il paternalismo compassionevole di società in cui ognuno doveva stare al posto che gli era destinato dalla gerarchia di classe non è stato sostituito da uno Stato sociale universalista, efficiente, capillare, indifferente alle origini dei cittadini; ma dalla ferocia verso i poveri coniugata con la regola della discriminazione e con il culto dell'ignoranza.

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