Edward Luttwak, invitato da Michele Santoro alla trasmissione Anno Zero in qualità di esperto di politica estera americana, ha spiegato, di fronte ad un’esterrefatta platea, che Emergency, proprio in quanto votata a curare senza esclusioni tutti coloro, belligeranti o meno, che ne hanno bisogno, dunque anche i talebani, non fa che protrarre i tempi della guerra perché guarisce persone le quali, una volta ristabilite, tornano a combattere. Se invece fossero lasciate morire, la guerra si estinguerebbe, in virtù di una più rapida e definitiva eliminazione del nemico. Ecco spiegato, con raggelante cinismo, senza bisogno di ulteriore istruttoria, il motivo per cui i servizi di ogni Paese ingaggiato nel conflitto afgano, non meno delle gerarchie dei contingenti militari impiegati sul campo, considerano come fumo negli occhi l’attività umanitaria che i volontari prestano negli ospedali, assimilata - secondo lo schema binario, bianco/nero, amico/nemico - all’attività terroristica. Va da sè che a questa meritoria “opera di bene” si possa pagare qualche prezzo. Come occultare la verità, neutralizzare ogni testimonianza che possa dare conto dei delitti, delle violenze, anche le più efferate e gratuite che il conflitto genera quotidianamente. A partire dal massacro di inermi, in primo luogo bambini, che affollano (pardon: affollavano) l’ospedale di Lashkar Gah, da due giorni chiuso dai signori della guerra, plastica rappresentazione di un orrore senza fine. Un massacro che rende insopportabile l’ipocrita retorica somministrata per reclutare le truppe di occupazione fra i peacekeeper fra i portatori della democrazia, fra i difensori di una sicurezza internazionale che i «nostri ragazzi» generosamente difenderebbero dal flagello terroristico.
Presa a calci da Luttwak (e da un ministro come La Russa, al quale manca solo indossare stivali e camicia nera d’orbace per aderire, lombrosianamente, all’immagine del fascista d’annata), la verità, come abbiamo scritto qualche giorno fa, è la prima vittima della guerra.
Ma di essa si può fare poltiglia anche fuori dal contesto bellico. E, forse, è proprio lo sdoganamento della guerra a rendere tutto possibile.
Cambiamo scena, ma non spartito. Ieri l’altro, il caudillo che regna come un satrapo sull’Italia si è spinto oltre una soglia che sembrava insuperabile, quando nel corso di una conferenza stampa con ministri al seguito, ha spiegato che sono trasmissioni come La Piovra e libri come Gomorra a nuocere all’immagine del nostro Paese. Si è osservato con ragione che l’uomo non è nuovo a simili sproloqui. Questa volta, tuttavia, egli ha aggiunto una cosa in più, e cioè che l’opera di Saviano rappresenta un vero e proprio «supporto promozionale alla mafia».
Occorre superare il moto di ribrezzo che una simile affermazione suscita per comprenderne il senso profondo. Berlusconi crede che il problema non sia la mafia, ma chi la racconta. Che la verità, non sia condizione necessaria per la presa di coscienza, a sua volta premessa di una lotta alla mafia che per essere vincente deve divenire «movimento culturale e morale per rompere la catena dell’omertà e delle complicità». Berlusconi - da autocrate che guarda al popolo come ad una massa plebea ignorante, preda del suo populismo demagogico - non sa cosa sia la “società civile”, non ha la più pallida idea di cosa sia la democrazia. Anzi, egli ne teme la refrattarietà al comando unilaterale, egli aborre l’irriducibilità dei cittadini a volgo servile dominato da egoistici istinti. Il capo dell’esecutivo, impegnato a trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale e a riassumere in se stesso un potere assoluto privo di contrappesi, pensa che i tempi siano maturi per una simile svolta. Occorrerà svegliarsi in fretta, affinchè questa stagione da incubo non si volga in tragedia. Per tutti noi. Perchè nel Pantheon di Berlusconi non troveremo combattenti per la libertà, ma Licio Gelli e Marcello Dell’Utri. Ieri, in piazza San Giovanni, abbiamo capito che, malgrado tutto, c’è speranza, sotto questo cielo grigio.
Presa a calci da Luttwak (e da un ministro come La Russa, al quale manca solo indossare stivali e camicia nera d’orbace per aderire, lombrosianamente, all’immagine del fascista d’annata), la verità, come abbiamo scritto qualche giorno fa, è la prima vittima della guerra.
Ma di essa si può fare poltiglia anche fuori dal contesto bellico. E, forse, è proprio lo sdoganamento della guerra a rendere tutto possibile.
Cambiamo scena, ma non spartito. Ieri l’altro, il caudillo che regna come un satrapo sull’Italia si è spinto oltre una soglia che sembrava insuperabile, quando nel corso di una conferenza stampa con ministri al seguito, ha spiegato che sono trasmissioni come La Piovra e libri come Gomorra a nuocere all’immagine del nostro Paese. Si è osservato con ragione che l’uomo non è nuovo a simili sproloqui. Questa volta, tuttavia, egli ha aggiunto una cosa in più, e cioè che l’opera di Saviano rappresenta un vero e proprio «supporto promozionale alla mafia».
Occorre superare il moto di ribrezzo che una simile affermazione suscita per comprenderne il senso profondo. Berlusconi crede che il problema non sia la mafia, ma chi la racconta. Che la verità, non sia condizione necessaria per la presa di coscienza, a sua volta premessa di una lotta alla mafia che per essere vincente deve divenire «movimento culturale e morale per rompere la catena dell’omertà e delle complicità». Berlusconi - da autocrate che guarda al popolo come ad una massa plebea ignorante, preda del suo populismo demagogico - non sa cosa sia la “società civile”, non ha la più pallida idea di cosa sia la democrazia. Anzi, egli ne teme la refrattarietà al comando unilaterale, egli aborre l’irriducibilità dei cittadini a volgo servile dominato da egoistici istinti. Il capo dell’esecutivo, impegnato a trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale e a riassumere in se stesso un potere assoluto privo di contrappesi, pensa che i tempi siano maturi per una simile svolta. Occorrerà svegliarsi in fretta, affinchè questa stagione da incubo non si volga in tragedia. Per tutti noi. Perchè nel Pantheon di Berlusconi non troveremo combattenti per la libertà, ma Licio Gelli e Marcello Dell’Utri. Ieri, in piazza San Giovanni, abbiamo capito che, malgrado tutto, c’è speranza, sotto questo cielo grigio.
Dino Greco, Liberazione 18.04.2010
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