sabato 10 aprile 2010

Italiani più poveri, giù redditi e consumi

Le chiacchiere stanno a zero. Per verificare se «gli italiani» stanno meglio o peggio c'è un sistema antico quanto il mondo: la dinamica dei consumi. Quando guadagni di meno, tendi a controllare molto di più le tue uscite. Anche per beni indispensabili.
I dati diffusi ieri dall'Istat - e in contemporanea quelli di Adiconsum e Federconsumatori - non permettono giochi di prestigio con le parole. Nel quarto trimestre del 2009 il reddito disponibile delle famiglie è diminuito del 2,8% rispetto allo stesso periodo del 2008, mentre la spesa è calata dell'1,9). Di conseguenza, è diminuita anche la «propensione al risparmio», anche se nella misura dello 0,7%. Brutalmente: non riesci più a risparmiare nemmeno volendo.
Ancora più interessanti i dati relativi al «tasso di investimenti delle famiglie» (acquisto di abitazioni o di beni strumentali per le imprese fino a 5 dipendenti, racchiuse nello stesso indice): -8,8% rispetto allo stesso periodo del 2008. Segno certo che l'atteggiamento prevalente è quello di chi aspetta «che passi la nottata», senza scommettere più sul futuro.
A chiudere il cerchio arrivano poi altri due dati, relativi alle «società non finanziarie» (società di persone e di capitale con oltre cinque addetti). Il primo riguarda la quota di profitto (40,3%), peggiorata di quasi due punti percentuali in un anno, ma sopravvissuta grazie a risultati di gestione che hanno parzialmente compensato la contrazione del valore aggiunto. In parole povere: i guadagni sono stati mantenuti solo ricorrendo a «economie gestionali». La riprova arriva dal tasso di investimento di questa fascia di società, sceso del 2,6% rispetto al 2008. A pesare è stato il crollo degli investimenti fissi lordi, ben 15 punti in meno dell'anno precedente.
Fin qui l'Istat. Se la parola passa alle associazioni di categoria la situazione prende corpo anche più concretamente. Confcommercio piange per una caduta dei consumi calcolata -1,4%, che imputa senza giri di parole all'aumento della disoccupazione e alla riduzione della produzione industriale. Al punto da decretare immediatamente «il secondo inciampo consecutivo della ripresa». A pagare dazio sono i prodotti più comuni (surgelati, cibi pronti, bevande, prodotti per la cura della casa e della persona, tabacchi, ecc); mentre l'auto è rimasta il bene privilegiato fin quando sono stati in vita gli incentivi. In lieve controtendenza solo tv e telefonini, ma anche qui solo grazie a generosi sconti praticati dalle catene di distribuzione più grandi.
Scendendo ulteriormente nei dettagli, l'Adoc sostiene che «il calo dei prodotti alimentari sarebbe stato del 5% senza l'apporto dei discount». Una famiglia su tre ormai fa la spesa soltanto qui. Mentre, dovendo mantenere un certo volume di acquisti, si preferisce abbassare la qualità dei prodotti per ridurre l'esborso monetario. Stessa sorte per scarpe e vestiti. Non sembra più nemmeno provocatoria la proposta del Codacons: «incentivi all'acquisto di prodotti alimentari». Appena due giorni fa, sparando in prima pagina una lunga fila di auto ferme in autostrada, Il Giornale - diretto da Belpietro e posseduto da un Berlusconi minore (Paolo) - titolava «la crisi è andata in vacanza». Ora sappiamo che «quattro famiglie su 10 hanno tagliato il contenuto del carrello della spesa». Il segretario generale della Cgil coglie questo dato come «la dimostrazione che non siamo fuori dalla crisi». Per Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, la radice del calo dei consumi va invece trovata nelle «politiche di moderazione salariale e di estensione della precarietà del lavoro».



Francesco Piccioni, Il Manoifesto

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