di Paolo Ferrero
il manifesto –
Bisogna costruire una forza che si opponga senza ambiguità alle
politiche neoliberiste europee. E che sia fuori e contro il Pd. Servono
dei «garanti», il tempo stringe
Enrico Letta ha annunciato nei giorni scorsi un grande piano di
privatizzazioni. Utilizzando la scusa del debito pubblico, il governo
italiano si sta apprestando a svendere l’argenteria di famiglia, a
partire dalle poche imprese pubbliche che ancora esistono in Italia.
L’annuncio si accompagna alle azioni devastanti già messe in campo da
questo governo, a partire dal via libera alle trattative per il
Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip). Questo trattato,
finalizzato alla costruzione di un’area di libero commercio tra Europa e
Nord America – oltre ad enormi effetti geopolitici – avrebbe
conseguenze devastanti su agricoltura, ambiente, welfare e aumenterebbe
la concorrenza tra lavoratori. Il governo italiano e l’Unione Europea si
apprestano quindi ad un ulteriore deregulation, ad incrementare ancora
la capacità dei potentati economici di ricattare l’umanità,
precarizzando a dismisura la vita delle persone. Non a caso l’altro
progetto del governo Letta è la manomissione della Costituzione,
ritenuta – a ragione un ostacolo al dispiegarsi della potenza del
capitale. Queste azioni sono progettate e realizzate da un governo
bipartisan in piena continuità con le politiche di austerità e le
devastazioni fatte dal governo Monti. È una offensiva generale delle
classi dominanti e delle principali forze del sistema politico –
italiano ed europeo – che usano la crisi del capitale e della
globalizzazione per distruggere gli elementi di civiltà costruiti in
Europa dopo la seconda guerra mondiale: i diritti dei lavoratori, il
welfare, la democrazia. Vi sono toni e accenti diversi ma la musica non
cambia: in Italia come in Europa centrodestra e centrosinistra sono i
protagonisti di questa rivoluzione conservatrice. Non si tratta di una
parentesi ma di una strategia consolidata da tempo. Né possiamo non
vedere come questa offensiva si saldi con un deciso salto di qualità
nella repressione delle lotte sociali: le grottesche accuse di
terrorismo piovute sul movimento No Tav nei giorni scorsi ci parlano di
questo, e anche qui il Pd è in prima fila tra gli avversari.
L’assenza
di una risposta collettiva – di cui portano una responsabilità
gravissima i gruppi dirigenti del sindacato confederale – asseconda e
accentua gli elementi di passivizzazione. Il senso di impotenza, di
ineluttabilità, di rabbia priva di sbocchi pervade il corpo sociale. I
femminicidi rappresentano l’emblema di questa situazione barbarica, in
cui l’impotenza maschile si presenta nella forma della possessività
omicida: un impasto micidiale tra la “lunga durata” del dominio maschile
e le nuove devastazioni che la crisi produce nella testa delle persone e
nel tessuto sociale. Non a caso gli omicidi delle donne si accompagnano
alle gesta razziste che hanno individuato nella ministra Kyenge il
bersaglio preferito. L’imbarbarimento rischia di essere il risultato
principale della guerra che le elites stanno conducendo contro i popoli
europei. Credo che non possiamo più stare a guardare, a commentare, ad
analizzare senza proporre. In questa crisi esiste un’Italia che non si è
piegata e rassegnata, dalla Val Susa a chi si batte per la difesa della
Costituzione, del lavoro, dei diritti, dell’acqua pubblica, come
segnalava qualche giorno fa Alberto Lucarelli. Questa Italia che non si è
piegata – fatta di centinaia di migliaia di uomini e donne che fanno
parte di comitati, associazioni, sindacati e partiti – rappresenta una
forza in grado di invertire la tendenza in atto. Perché il governo e le
classi dominanti vincono ma non convincono, hanno il potere ma non hanno
l’egemonia sulla società: usano lo spaesamento, la paura e la
repressione come armi per evitare che emerga una alternativa. È così
evidente che la prospettiva delle classi dominanti è folle, che la loro
forza risiede principalmente nella mancanza di una alternativa, di un
punto di vista strutturato e credibile alternativo al loro. Io penso che
dobbiamo costruire questo punto di vista alternativo, strutturato e
credibile.
Penso che dobbiamo costruire la sinistra, una sinistra, come
scriveva alcuni giorni fa Alfonso Gianni, fuori e contro il Pd. Fino ad
oggi l’aggregazione delle variegate forze di alternativa è riuscita a
livello locale, basti pensare alle positive esperienze delle ultime
elezioni amministrative. Si tratta di riuscire a fare un salto
costruendo questa prospettiva sul piano nazionale, come negli altri
paesi europei, fanno Syriza, Izquierda Unida, il Front de Gauche e tanti
altri. Ed è chiaro che questa strada non si può percorrere ripetendo
gli errori del passato: le forme pattizie, fatte di accordi di vertice
non funzionano, come dimostra da ultimo la vicenda di Rivoluzione
Civile. Una sinistra non si può costruire attraverso percorsi
scarsamente o per nulla democratici e politicamente ambigui: una
sinistra va costruita attraverso un percorso di partecipazione
democratica basato sul principio di una testa un voto e su chiari
elementi di prospettiva politica. La definizione di una alternativa alle
politiche neoliberiste italiane ed europee – e quindi al centro destra e
al centro sinistra che ne sono interpreti – e la totale democraticità e
trasparenza nell’organizzazione, devono essere le pietre miliari della
costruzione della sinistra, che superi la divisione tra chi è iscritto
ad un partito e chi no. Marco Revelli qualche giorno fa diceva che serve
un catalizzatore e che alcune persone potrebbero dare il segnale di
inizio: sono d’accordo. Alcune persone che si propongano come garanti di
un processo democratico chiaro nel suo indirizzo politico, potrebbero
costituire il punto di partenza necessario per aggregare la sinistra.
Ragioniamoci, parliamo, ma troviamo il modo perché il tempo stringe e
sarebbe folle ripetere malamente gli errori già fatti in passato,
registrando passivamente la frammentazione o arrivando a mettere insieme
improbabili aggregazioni a pochi mesi dalle elezioni europee. Mettiamo
facce nuove ma mettiamole. Peccare humanum est, perseverare autem
diabolicum .
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