Informazione. La
pessima legge che consegna al governo il monopolio sulla tv pubblica
dimostra come l’emergenza democratica italiana sia sempre più
profondamente radicata nella costruzione eteronoma della coscienza
collettiva
Un piccolo assaggio di quel che sarà la Rai plasmata dalla nuova
legge renziana si è avuto martedì scorso. La conferenza-stampa di fine
anno del presidente del Consiglio è stata somministrata in tutte le
salse, sicché nessuno ha potuto risparmiarsi lo spettacolo grottesco di
un premier che si erge ad antidoto contro il populismo nel momento
stesso in cui punta tutto su un referendum costituzionale che già si
profila come l’apoteosi del martellamento propagandistico in stile
plebiscitario.
Ma attenzione. Oggi è ancora possibile avanzare e diffondere qualche
pur debole obiezione, costringendo il pinocchio nazionale ad
arrampicarsi sui vetri e a scoprire il fianco di una retorica sempre più
frusta. Domani il governo sarà monopolista assoluto del cosiddetto
servizio pubblico e non avrà ostacoli nell’intrappolare il popolo
televisivo — il grosso dei sudditi — in una narrazione lontana dalla
realtà.
Della nuova legge sulla Rai già non si parla più. Le regole
dell’informazione non fanno sconti, l’attenzione si brucia in un paio di
giorni al massimo. Ma in questo caso si deve resistere, la partita
è vitale. Ricalcando il modello della «buona scuola», la nuova Rai sarà
nelle mani di un amministratore delegato scelto in sostanza dal governo
e dotato di poteri pressoché assoluti. Come in un’azienda privata, l’ad
non solo provvederà alla gestione del personale e all’attuazione del
piano industriale, ma avrà anche potere di nomina dei dirigenti (a
cominciare dai direttori di rete, canale e testata) e potrà firmare in
autonomia tutti i contratti di importo inferiore ai dieci milioni.
È vero che a nominarlo sarà il Cda su proposta del Tesoro. Ma il
nuovo Cda sarà composto per la quasi totalità (6 membri su 7) da
personale politico governativo (4 parlamentari generati in regime di
Italicum e due membri designati direttamente dal Consiglio dei
ministri). Insomma il gioco è fatto ed è di una semplicità disarmante.
Palazzo Chigi (o Venezia) detterà, e la Rai, amplificando, trasmetterà.
O forse non ci sarà nemmeno bisogno di dettare, dato lo zelo degli
interpreti legittimi e dei ventriloqui.
È la Rai consegnata al governo (che, con la legge di Stabilità, si
è riservato anche il controllo anno per anno dei finanziamenti del
servizio pubblico). È la post-democrazia 2.0, senza troppi fronzoli.
È il modello dell’uomo solo al comando che scende «per li rami», come ha
involontariamente ammesso anche uno dei fautori del nuovo corso. Grazie
alla legge, ha sottolineato il capogruppo Pd in Commissione Lavori
pubblici del Senato, l’ad potrà «guidare l’azienda senza dovere tener
conto dei desideri dei partiti». Vero: potrà fare di testa sua in quanto
fiduciario e portavoce dell’esecutivo.
Ci si lamentava un tempo della cappa democristiana sulla tv di
Bernabei e già oggi è peggio, come puntualmente documentano gli
osservatori imparziali. Con la nuova legge si profila un controllo
governativo sul servizio pubblico ancora più assorbente, totalitario.
L’informazione Rai sarà l’esatto contrario di quel potere indipendente —
di quel contropotere — che dovrebbe incarnare in una democrazia, stando
a quel fastidioso rudere che è la Costituzione repubblicana del ’48.
Naturalmente Renzi è convinto che sarà lui a beneficiare di questa
innovazione, ma non è sicuro che andrà così e che non stia invece
servendo su un piatto d’argento il controllo della tv pubblica
all’avversario che potrebbe vincere le prossime elezioni e sfrattarlo
finalmente da palazzo Chigi. Sin dai primi anni Novanta
(dall’introduzione del maggioritario) i geniali strateghi del partito
dei progressisti moderati ci hanno abituato ad astute manovre rivelatesi
dei boomerang. Chissà che il film non si ripeta anche stavolta nel
paese di Berlusconi, ancora padrone di metà della comunicazione
televisiva e quasi monopolista dell’editoria.
Comunque sia, questa partita dimostra la centralità del tema
egemonico, cioè del terreno cognitivo: del controllo della comunicazione
pubblica e dei cosiddetti apparati ideologici. Centralità esasperata
dall’elevato grado di mistificazione delle narrazioni diffuse dal
governo con la complicità di un sistema mediatico in larga misura
omogeneo e connivente. E da ultimo drammatizzata dalla scommessa
annunciata da Renzi sul referendum confermativo sulla controriforma
costituzionale come autodafé nel quale giocarsi faccia e carriera. Il
che equivale ad annunciare sin d’ora che non si baderà a mezzi pur di
convincere un’opinione pubblica disinformata e di estorcerle
l’autorizzazione a manomettere definitivamente in senso autocratico la
forma di governo di quella che fu a suo tempo pensata come una
Repubblica parlamentare.
Ha ragione Vincenzo Vita nel suo recente commento alla
«legge-porcata» sulla Rai (il manifesto del 23 dicembre): tra voto
amministrativo e referendum costituzionale, l’anno che incombe porta con
sé un drammatico finale di partita, e dio non voglia che Renzi vinca la
sua scommessa. Ma in questo quadro tutto si tiene, come in un gioco di
società. Lungi dall’essere un fuor d’opera, la nuova Rai sarà uno
strumento decisivo di governo in un paese in cui metà del corpo
elettorale diserta le urne e un altro buon 25% è prigioniero di una
messinscena che lo induce a votare inconsapevolmente contro i propri
propositi e interessi. Anche questa pessima legge dimostra come
l’emergenza democratica italiana sia sempre più profondamente radicata
nella costruzione eteronoma della coscienza collettiva, tema
concretissimo, materialissimo, che ha a che fare nientemeno che con la
produzione della soggettività.
Come sappiamo sin dai tempi di Pericle, una democrazia non vive senza
sfera pubblica o con una sfera pubblica ridotta a un simulacro perché
ostaggio di un’oligarchia di poteri sovraordinati e coesi. Lo si veda
o meno, è proprio questa la condizione verso cui stiamo rapidamente
scivolando, anche per effetto di questa nuova controriforma. Dopodiché
il cerchio della servitù involontaria rischia di saldarsi ed evadere da
questa invisibile prigione non sarà per niente agevole.
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