La storia di discriminazione rivelata da Carlo Tecce sul
«Fatto» di ieri mette seriamente a repentaglio le nostre relazioni con
l’illuminata monarchia saudita, tanto più che i protagonisti italiani
sono alti funzionari ministeriali e megadirigenti di aziende pubbliche e
private. Persone di indubbia autorevolezza e di ancora meno dubbia
cultura, che sanno dire «è mio» in tutte le lingue del mondo.
I fatti. Era la notte dell’8 novembre e i nostri bighellonavano nel
palazzo reale di Ryad al seguito di Renzi in missione per conto di Io,
quando i dignitari sauditi hanno offerto a ciascun ospite un pacchetto
infiocchettato. I lupetti alfa dell’economia italica lo hanno scartato
con la ritrosia golosa di un bimbo alle prese con la slitta di Babbo
Natale, salvo scoprire che qualcuno aveva ricevuto un micragnoso
cronografo da poche migliaia di euro, mentre altri - non si sa in base a
quali meriti - si ritrovavano gratificati di un Rolex del valore di un
monolocale in centro. I cronografati vivevano la disparità di
trattamento come un insulto al loro prestigio. I muri del palazzo
rimbombavano delle urla di questi nullatenenti da un milione l’anno di
stipendio che si contendevano gli orologissimi polso a polso. Per
rimediare, sia pure tardivamente, al sopruso commesso, i sauditi hanno
rovesciato sui rivoltosi una pioggia di Rolex di tutte le taglie che in
un soprassalto di dignità nazionale gli uomini della scorta di Renzi si
sono premurati di requisire. Pare che adesso giacciano in un forziere
segreto di Palazzo Chigi, pronti a essere riconvertiti in reddito di
cittadinanza per manager disoccupati.
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