Oggi siamo in Val di Susa alla grande manifestazione contro la Tav e l'occupazione militare della Maddalena. Le ragioni della nostra opposizione alla Tav sono note: in Val di Susa esiste una linea ferroviaria internazionale che è utilizzata al 30%. Perché bisogna sprecare 20 miliardi di euro per fare una nuova linea ferroviaria che non servirebbe a nulla e che trasformerebbe la Valle Susa in un cantiere per i prossimi 15 anni? Perché non ci sono i soldi per la sanità e l'istruzione invece trovano 20 miliardi per fare un'opera inutile e dannosa? Per questo siamo stati, siamo e saremo contro la Tav in Val di Susa.
Ieri e oggi a Roma, al teatro Vittoria di Testaccio, nella riunione dei Comitati per l'acqua pubblica, si discute di come valorizzare il risultato dei referendum, evitando che venga scippato da un parlamento orientato in larga parte a proseguire sulla nefasta strada della privatizzazione dell'acqua. Per questo i Comitati - e noi con loro - chiedono che venga approvata in parlamento la legge di iniziativa popolare avanzata dai comitati per sancire per legge che l'acqua in Italia deve essere pubblica.
Queste iniziative sono legate da un doppio filo rosso. Da un lato perché il popolo dell'acqua pubblica e il popolo della Val Susa si trovano a combattere contro lo stesso avversario: un capitalismo che cerca di mercificare e di estrarre profitto da ogni ambito della vita umana e da ogni territorio. Dall'altra perché il popolo dell'acqua pubblica e il popolo della Val di Susa hanno come obiettivo la trasformazione dell'acqua come della Val Susa in un bene comune.
Realtà così distanti hanno cioè identici avversari ed identici obiettivi. Ma lo stesso varrebbe se avessimo parlato del lavoro: la Fiom si trova a lottare contro questo capitalismo globalizzato e nello stesso tempo pone il problema che il lavoro deve diventare un bene comune e non più una merce, per di più assai svalorizzata.
Questo non accade a caso. Da un lato il capitalismo oggi, nella crisi del neoliberismo, mostra appieno il suo volto distruttivo e moltiplica i soggetti che ne pagano i costi. Non è però solo l'avversario che unifica i movimenti: lo sono anche le parole d'ordine, l'obiettivo condiviso e praticato dei beni comuni. Parlare oggi di beni comuni vuol dire parlare di demercificazione e di partecipazione popolare alle decisioni.
Demercificare vuol dire innanzitutto liberare dalla logica del profitto la produzione dei beni e dei servizi che servono alla riproduzione del genere umano. Significa mettere al centro il valore d'uso e non il valore di scambio. Partecipazione popolare significa che la crisi delle democrazie rappresentative non deve essere piegata in direzione populista e leaderistica ma può essere invece superata in direzione di una socializzazione della democrazia, attraverso la partecipazione diretta delle popolazioni alla gestione dei beni comuni.
Penso sia necessario cogliere il punto fondamentale di questa situazione.
Per la prima volta da decenni, i movimenti di lotta non sono soltanto protagonisti di una lotta difensiva, ma avanzano rivendicazioni unificanti che superano l'orizzonte socialdemocratico, riformistico, per porre obiettivi comunisti, di socializzazione della gestione della riproduzione umana e di socializzazione della democrazia.
In questo contesto è importantissimo stare dentro le lotte e i movimenti, lavorare per ottenere risultati concreti. Diventa però altrettanto importante operare per costruire una Costituente dei Beni Comuni, un luogo di relazioni e di iniziativa che unifichi i diversi movimenti che si pongono il problema di uscire dal neoliberismo e di generalizzare i beni comuni. A dieci anni da Genova, la strutturazione di una soggettività antiliberista, la capacità di costruire istituzioni di movimento che connettano i saperi sociali di cui questi movimenti si nutrono, non solo è un obiettivo necessario ma anche praticabile. Cominciamo, dall'alto e dal basso, dai territori come dal livello nazionale a costruire la Costituente dei beni comuni. Se unico è l'avversario e comune è l'obiettivo, non c'è tempo da perdere.
Paolo Ferrero, segretario PRC
Ieri e oggi a Roma, al teatro Vittoria di Testaccio, nella riunione dei Comitati per l'acqua pubblica, si discute di come valorizzare il risultato dei referendum, evitando che venga scippato da un parlamento orientato in larga parte a proseguire sulla nefasta strada della privatizzazione dell'acqua. Per questo i Comitati - e noi con loro - chiedono che venga approvata in parlamento la legge di iniziativa popolare avanzata dai comitati per sancire per legge che l'acqua in Italia deve essere pubblica.
Queste iniziative sono legate da un doppio filo rosso. Da un lato perché il popolo dell'acqua pubblica e il popolo della Val Susa si trovano a combattere contro lo stesso avversario: un capitalismo che cerca di mercificare e di estrarre profitto da ogni ambito della vita umana e da ogni territorio. Dall'altra perché il popolo dell'acqua pubblica e il popolo della Val di Susa hanno come obiettivo la trasformazione dell'acqua come della Val Susa in un bene comune.
Realtà così distanti hanno cioè identici avversari ed identici obiettivi. Ma lo stesso varrebbe se avessimo parlato del lavoro: la Fiom si trova a lottare contro questo capitalismo globalizzato e nello stesso tempo pone il problema che il lavoro deve diventare un bene comune e non più una merce, per di più assai svalorizzata.
Questo non accade a caso. Da un lato il capitalismo oggi, nella crisi del neoliberismo, mostra appieno il suo volto distruttivo e moltiplica i soggetti che ne pagano i costi. Non è però solo l'avversario che unifica i movimenti: lo sono anche le parole d'ordine, l'obiettivo condiviso e praticato dei beni comuni. Parlare oggi di beni comuni vuol dire parlare di demercificazione e di partecipazione popolare alle decisioni.
Demercificare vuol dire innanzitutto liberare dalla logica del profitto la produzione dei beni e dei servizi che servono alla riproduzione del genere umano. Significa mettere al centro il valore d'uso e non il valore di scambio. Partecipazione popolare significa che la crisi delle democrazie rappresentative non deve essere piegata in direzione populista e leaderistica ma può essere invece superata in direzione di una socializzazione della democrazia, attraverso la partecipazione diretta delle popolazioni alla gestione dei beni comuni.
Penso sia necessario cogliere il punto fondamentale di questa situazione.
Per la prima volta da decenni, i movimenti di lotta non sono soltanto protagonisti di una lotta difensiva, ma avanzano rivendicazioni unificanti che superano l'orizzonte socialdemocratico, riformistico, per porre obiettivi comunisti, di socializzazione della gestione della riproduzione umana e di socializzazione della democrazia.
In questo contesto è importantissimo stare dentro le lotte e i movimenti, lavorare per ottenere risultati concreti. Diventa però altrettanto importante operare per costruire una Costituente dei Beni Comuni, un luogo di relazioni e di iniziativa che unifichi i diversi movimenti che si pongono il problema di uscire dal neoliberismo e di generalizzare i beni comuni. A dieci anni da Genova, la strutturazione di una soggettività antiliberista, la capacità di costruire istituzioni di movimento che connettano i saperi sociali di cui questi movimenti si nutrono, non solo è un obiettivo necessario ma anche praticabile. Cominciamo, dall'alto e dal basso, dai territori come dal livello nazionale a costruire la Costituente dei beni comuni. Se unico è l'avversario e comune è l'obiettivo, non c'è tempo da perdere.
Paolo Ferrero, segretario PRC
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