La manovra concordata sotto traccia da governo e opposizioni taglia oggi il traguardo. Una volta compreso che, sotto l'alto patrocinio del Presidente della Repubblica, la bordata sarebbe andata a segno senza soverchi problemi, l'esecutivo ci ha dato dentro senza remore e ritegno. Le forbici hanno continuato a tagliare, compulsivamente, facendo lievitare, di ora in ora, l'entità dell'operazione giunta ormai a superare, sul filo di lana, i 70 miliardi di euro. Proviamo ad elencare, scontando il rischio di perdere per strada qualche capitolo del salasso propinato. Ricompaiono i tickets su visite diagnostiche e pronto soccorso; le pensioni - anche quelle di modesto e modestissimo importo - non saranno rivalutate che parzialmente; il pensionamento, già a far data dal 2013 slitterà in rapporto alla speranza di vita; è prorogata la moratoria sui contratti e sugli incrementi retributivi degli statali; d'ora in avanti, il lavoratore che adirà le vie legali in relazione a contenziosi in materia di lavoro, dovrà pagare una tassa che, palesemente, inibirà molti ricorsi; resta, malgrado i primi segni di ravvedimento, l'improvvido balzello sui titoli finanziari, anche per risibili pezzature; c'è il taglio lineare del 15 per cento su pressoché tutte le voci di spesa che incrociano col welfare, col sistema di protezione sociale: vengono così decurtate le agevolazioni fiscali su asili, spesa sanitaria, redditi da lavoro, figli a carico, studenti unversitari. Insomma, una vera gelata, che si abbatte come un flagello sulla parte più debole della società, già provata da un altissimo livello di disoccupazione e di precarietà, soprattutto giovanile. Alla quale fa da infame contrappunto l'inesistenza di un pur labile provvedimento che chieda ai ricchi di concorrere al rientro dal debito o che provi a intaccare i privilegi di casta, a partire da coloro che in queste ore stanno adottando, senza batter ciglio, misure draconiane sulla pelle del proprio popolo. Si aggiunga a questo idilliaco quadretto - come documenta l'Istat - che l'aumento dei generi alimentari di prima necessità (3,5%), quello della benzina (11%) e quello dei trasporti ferroviari 8(%) hanno già mortificato i redditi più bassi. Ma, come abbiamo sottolineato nell'edizione di ieri, il colpo più micidiale, quello che imprime il proprio marchio ad una più generale strategia economica e sociale è il colpo di scure con cui si penalizzano i comuni cosiddetti «non virtuosi», vale a dire quelli che non si acconciano ad alienare, a vendere, a privatizzare servizi essenziali (come i trasporti) e aziende pubbliche, come le municipalizzate, secondo una logica che impone l'ipoteca del profitto sul patrimonio della collettività, sui beni comuni, rovesciando diametralmente - come ci spiega più sotto Marco Bersani - l'orientamento popolare affermatosi con i referendum. Non ha torto Liberal, che su questo genere di cose ha la vista lunga, e che titolava l'edizione di ieri con un eloquente «L'Italia bipartisan va meglio» e che si chiedeva, non meno esplicitamente, «perché non trasformare l'unità di questi giorni in un governo». Su quella strada sembra esserci solo l'ostacolo di un ormai stracotto Berlusconi. Ma il cerchio sta chiudendosi. A quali condizioni, a quale prezzo e per andare dove ora è sotto gli occhi di tutti.
Dino Greco, Liberazione
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